Le ultime settimane dell'anno che l’Italia ha attraversato hanno suscitato e suscitano lo stupore degli osservatori stranieri. Fino a ottobre, la maggior parte delle grandi capitali dell'Unione europea considerava il Paese come uno dei malati del continente, a causa delle pessime performance economiche, dello stato delle finanze pubbliche e di un presidente del Consiglio dalla credibilità sempre più fragile. Ma poi, grazie a uno dei “miracoli” cui ci ha abituati, Silvio Berlusconi ha ceduto il posto a Mario Monti e alla sua squadra di professori ed esperti.
Così, ora, l'Italia raccoglie elogi. Angela Merkel ha smesso di considerarla come il peggiore scolaro dell'Eurozona. A Nicolas Sarkozy è venuto in mente che Roma potrebbe giocare un ruolo nei progetti europei della Francia. Insomma, è bastato qualche giorno affinché l'Italia ritrovasse un'aura scomparsa da molto tempo, anche se al prezzo di una manovra particolarmente dura. Tuttavia questo repentino capovolgimento di immagine non può certo rimuovere molti e seri motivi di perplessità.
L'insediamento del governo Monti ha confermato un'insolita disposizione da parte della Repubblica italiana. Da tempo le élite hanno iniziato a disconoscersi reciprocamente; e solo quando il Paese si è trovato sul bordo del precipizio si sono rivelate capaci di inventarsi meccanismi di mediazione da “grande coalizione” di unità nazionale, senza però esplicitarla né tanto meno prevederne le conseguenze. L'exploit è senz’altro notevole ma suscita molti interrogativi. Alcuni sono propriamente politici. Riguardano, innanzitutto, la durata dell'esperimento di cui ogni giorno parlano i media; in secondo luogo, toccano il processo di ricomposizione del sistema partitico che si è avviato: al bipolarismo del 1994 è succeduta nel 2008 una bozza di bipartitismo, che a sua volta si è rapidamente trasformata in una sorta di quadriglia bipolare (Pdl e Lega Nord da un lato, Pd e Italia dei valori dall'altro). Ora, sotto l’effetto di forze centrifughe, assistiamo a un fenomeno di generalizzata parcellizzazione. Ma, alla fine e soprattutto, l'insediamento del governo Monti prova la debolezza della classe politica, quella stessa classe politica così nettamente rifiutata e disprezzata dall'opinione pubblica. Il che, dal momento che l'ampiezza della crisi colpisce più in Italia che altrove e il potere effettivo della classe dirigente si è ridotto, contribuisce evidentemente ad aggravare la crisi della rappresentanza politica. La domanda dunque è: come rimediare a questo ulteriore calo di legittimità delle élite?
Vengono poi altri interrogativi, di ordine sociale. Sino a quando gli italiani potranno accettare un simile programma di lacrime e sangue? Per il momento l’azione del governo appare giustificata dalla necessità di scongiurare il rischio di fallimento. Ma, per mobilitare a lungo le energie, bisognerebbe saper suscitare un dibattito pubblico e un vero contraddittorio al fine di stilare un bilancio di questo momento e di indicare gli obiettivi per il futuro: sottolineando le grandi sfide da affrontare e proponendo un progetto di lungo periodo. In altri termini, iniziando a fare grande politica.
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