Tutto tace in questa domenica che nel pomeriggio canterà, incoronando il vincitore della più prestigiosa gara musicale d’Abruzzo: il Concorso Internazionale di Canto “Maria Caniglia”. Sono a Sulmona per ascoltare quattro baritoni e due soprani coreani, un tenore cinese e un soprano ancora dalla Turchia, i finalisti della XXVIII edizione che ha contato la partecipazione di 107 candidati provenienti da 16 paesi, e che anche nel cuore dell’Italia rurale celebra lo stradominio dell’Estremo Oriente. Stamattina però il destino mi ha voluta in un cammino a ritroso, risalendo alle origini musicali di questa terra. Mi sono spinta quasi per caso ai lembi del centro storico, valicando il ponte issato sopra il fiume Vella, che dopo lo straripamento della scorsa primavera sembra l’ombra di se stesso, ridotto a un rigagnolo inoffensivo. Di fronte a me si staglia la sagoma sghemba del Cristo Re, la chiesa progettata negli anni Settanta da Carlo Mercuri con le sue anse a pergamena, i volumi flessi da piegature che suggeriscono la sagoma di giganteschi papiri arrotolati, custodi di chissà quante preghiere. Il cemento crudo si confonde con lo sfondo, una cintura di monti tra cui primeggia il Morrone, dove si nasconde l’eremo di Celestino V.
È in quella lettura panoramica, all’incrocio tra le vie Silvio Spaventa e Suor Pia Bafile, che ho visto sbucare l’uomo in fisarmonica. L’ozio domenicale mi ha indotto ad andare dietro a quello strumento che in Abruzzo è a casa sua, con i tornei che riempiono le piazze, le feste popolari a base di "pulekett", le polke che i bambini ballano ancora, con eroi dei tasti e dei bottoni che si chiamano Fausto Di Cesare, Cesare Chiacchiaretta, Massimiliano Pitocco, Renzo Ruggieri, Dario Flammini, Germano Scurti, Mario Stefano Pietrodarchi, Adriano Ranieri, Luca Colantonio. Un getto di interpreti continuo, che copre il passare del tempo e dei maestri.
Seguo l’uomo in fisarmonica, ma a ben vedere sulle sue spalle pende il "Ddu bott", l’organetto tipico di questa regione. So che mi porterà da qualche parte speciale. Da via Papa Giovanni XXIII dove mi precede, il musicista cammina a passi svelti verso il centro. Le strade lastricate si inclinano strette nel nucleo romanico di una città ancor più arcaica. La pietra, la pietra abruzzese, è l’unità di misura con cui dosare lo sguardo, un’occhiata s’inarca sulle facciate calcaree delle chiese, poi corre lungo le pareti di palazzi riparati da spesse mura, con gli stemmi cesellati sui portoni, fruga nelle ombrose corti interne dove le scale, ripide e quadrangolari, conducono al ballatoio del piano superiore chi volesse pensare, o spiare. La nostalgia dell’Aquila è intensa. Non esiste un luogo simile al capoluogo più di questa città magnifica che non ostenta, dove l’acqua scende dalla Majella sino alle sue propaggini di fontane e cannelle.
Con il naso all’insù perdo le tracce dell’uomo e del suo “Ddu bott”. Ma sono le orecchie a guidarmi: dietro l’angolo i tipici accenti evocati dai colpi di mantice, sostenuti dal tamburello e dagli ancestrali gorgoglii del putipù, aprono la vista su uno scenario dove il granello è fermo nella clessidra: al centro di piazza Garibaldi sette uomini suonano per il pubblico della domenica. Il 2 ottobre è anche la festa dei nonni e loro, che si fanno chiamare “Gli Amici delle Due Note”, si sono riuniti per celebrare il puro piacere di rivivere la musica dei padri, e dei padri dei padri. Alla spicciolata la platea s’infittisce. Nella ressa sbucano occhi a mandorla: qualche cantante del “Maria Caniglia” osserva questi anziani come fossero marziani. Ma su questi immutati volti d’Abruzzo si legge a grandi lettere l’orgoglio fisarmonico, che lo scorso settembre ha gonfiato anche il petto nella realizzazione, per la prima volta, del Campionato Mondiale, ospitato in provincia di Teramo, a Pineto, attraendo concorrenti da quaranta nazioni.
La gara del giorno però è il "Caniglia", intitolata in onore del soprano originario di Rivisondoli, località poco distante da Sulmona. L’avvocato Filippo Tella, infaticabile anima culturale di queste parti, compirà tra qualche settimana novant’anni, ma è ancora lui il nume tutelare di una manifestazione capace, come ogni anno, di una giuria di prim’ordine: Cecilia Gasdia, June Anderson e il presidente Teresa Berganza sono state le stelle di questa edizione. Poco importa la vittoria con lacrime del bravo soprano turco Pervin Chakar. Ciò che più conta è che il teatro di uno sperduto paese come Pratola Peligna fosse pieno all’inverosimile per seguire le impegnative tre ore e più di serata finale, conta il rispetto con cui il pubblico sulmonese maneggia la musica, e l’accoglienza riservata a una strepitosa amica della lirica come Adua Veroni, omaggiata dall’Associazione Maria Caniglia con il premio alla carriera, il cui carisma pasionario esonda oltre gli argini di ex moglie di Luciano Pavarotti. D’altronde qui la musica non è un passatempo da trascorrere con noia borghese, ma un dono da condividere in famiglia. È gioia collettiva tramandata nella liturgia popolare.
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