Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
L’avanzata verso Kiev oggi, così come la quantità di truppe ammassate per mesi al confine ucraino, indicavano fin da subito che l’invasione non avrebbe preso le forme della spedizione punitiva. Dal punto di vista militare appare evidente come uno degli obiettivi sia annichilire la capacità di difesa del vicino riottoso.
Lo sdegno e la rabbia per quanto Mosca ha scelto di fare, la condanna di Putin e di un regime che è sempre meno simile persino a una parvenza di democrazia, non deve però impedire di provare a capire perché siamo arrivati a questo punto.
Lo sdegno e la rabbia per quanto Mosca ha scelto di fare, la condanna di Putin e di un regime che è sempre meno simile persino a una parvenza di democrazia, non deve però impedire di provare a capire perché siamo arrivati a questo punto.
Da anni l’Ucraina è un campo di battaglia, contesa tra l’influenza russa e quella occidentale. Potremmo tornare più indietro nel tempo, ma diciamo che questa fase della lunga crisi comincia nel 2014, quando il filo russo Yanukovich venne cacciato dalla piazza. Su quella vicenda circolano leggende, fake e sospetti; non si trattò di un complotto della Cia, ma la piazza venne sostenuta in maniera sostanziale dall’Occidente, che fece finta di ignorare che una parte di quella protesta era fatta da nazionalisti di estrema destra. Non condannare e isolare quelle forze è stato un errore grave: Stati Uniti, Nato ed Europa sapevano che a Mosca c’era preoccupazione per la collocazione di Kiev e per la volontà ucraina di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica ed era naturale che questa preoccupazione sarebbe aumentata con la presenza e il ruolo di milizie dalle idee filonaziste (e sebbene Putin nel suo discorso televisivo abbia dato una lezione di storia davvero improbabile, qui il passato c’entra eccome). C'è uno scontro vero tra una popolazione che non vuole troncare il legame con la Russia e chi vorrebbe aderire all'Ue o alla Nato. I primi sono in minoranza, i secondi hanno un nemico grande e grosso a pochi chilometri di distanza.
Dopo il 2014 abbiamo assistito a un progressivo avvicinamento di Kiev all’Occidente e a una serie di scelte sbagliate da parte occidentale
Dopo il 2014 abbiamo assistito a un progressivo avvicinamento di Kiev all’Occidente e a una serie di scelte sbagliate da parte occidentale. Contribuire al riarmo di Kiev è stato un errore. Accogliere la domanda di Kiev di ingresso alla Nato senza avere un piano per farcela entrare lo è stato altrettanto: tutti sapevano che l’Ucraina non sarebbe entrata a far parte dell’Alleanza (lo hanno ribadito Scholz e Macron nei giorni che hanno preceduto l’invasione) ma nessuno ha lavorato per individuare una formula di collocazione di Kiev che non fosse tanto indigesta per Mosca. Dopo il 2014 è un continuo di scaramucce, dispetti e tensioni tra Mosca e Kiev. In questa partita l’Ucraina è certo il soggetto fragile, ma la copertura occidentale consente alcune scelte e atti «anti-russi» che fanno infuriare Mosca (ad esempio gli arresti domiciliari per Viktor Medvedchuk, leader filo russo con un legame personale con Putin). Poi abbiamo Crimea, Donbass e guerra con brutalità commesse da milizie di entrambi i fronti. In questi anni la Nato ha agito secondo la logica per cui il nemico del mio nemico è mio amico e l’Europa non ha saputo proporre ipotesi che rassicurassero in primis gli ucraini ma anche un po’ Mosca sulla collocazione dell’Ucraina. Non va dimenticato come su un fronte diverso, la Turchia e la Russia si contendano l’influenza nel Caucaso (e in Siria).
L’umiliazione del post ’89 per un regime nazionalista come quello putiniano non è più digeribile. Ignorare questo aspetto, non mettersi nella testa dell'avversario con il quale si dovrebbe negoziare è un errore
A modo suo quindi la Russia pone una questione reale: l’umiliazione del post ’89 per un regime nazionalista come quello putiniano non è più digeribile. Ignorare questo aspetto, non mettersi nella testa dell'avversario con il quale si dovrebbe negoziare è un errore.
Ovviamente, questa lunga premessa non implica che Putin abbia ragione. Una parte importante delle adesioni dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia all’Alleanza atlantica non è figlia della volontà espansionistica americana ma della volontà di quei Paesi di sentirsi al sicuro dopo 50 anni da vassalli sovietici. In questi anni, poi, Putin non ha fatto nulla per cambiare il suo Paese che, pur avendo un enorme potenziale, come è ovvio, rimane corrotto, in mano ad oligarchi amici del potere e con una economia che dipende in maniera crescente dal prezzo del gas. In un Paese del genere, con una simile politica, il consenso dipende dunque molto dalla capacità di mostrare i muscoli, all'interno cancellando sistematicamente l'opposizione, all'esterno alimentando la proiezione imperiale dalla Cecenia alla Siria.
Oltre alla questione Nato, che è importante, c'è dunque anche un problema di consenso interno: Putin deve trovare strade per giustificare la sua permanenza al potere. La strada scelta è quella che gli è congeniale: è l'uomo che fa judo, cavalca a petto nudo, ispezione sottomarini nucleari; minaccia, come ha fatto in questi giorni, «conseguenze catastrofiche per chi ci sfiderà». Molti hanno scritto e detto, poi, che la permanenza al potere senza rivali per troppi anni, l’assenza di voci di dissenso nella propria cerchia, non contribuisce alla lucidità del presidente russo.
Nell'ammassare truppe per mesi ai confini ucraini Putin ha scommesso sulla debolezza e le divisioni americane (Trump ha elogiato il russo): probabilmente è un errore. Non certo perché in questa fase gli Stati Uniti non siano indeboliti e divisi. L'America è indebolita, ma non è debole e non si può a sua volta permettere di essere umiliata. Ma certo e per fortuna, non avendo intenzione di portare truppe Nato in Ucraina, ha armi relativamente spuntate. La Russia si è preparata all’evenienza di sanzioni de-dollarizzando la propria economia e stringendo accordi con la Cina, scelte che non cancelleranno l’impatto delle sanzioni, ma lo attutiranno. Qualcuno a cui vendere il gas, magari a un prezzo favorevole, si trova sempre.
L'Europa dal punto di vista economico e militare pagherà più conseguenze e per questo ha cercato la mediazione e la diplomazia fino a farsi umiliare da Putin: ciò ha rafforzato dentro la Nato la posizione di chi era contrario a cedere alle richieste russe o ad avanzare proposte. Si tratta un errore da parte di Putin: se vuoi far sedere qualcuno a un tavolo e fargli comprendere le tue ragioni, utilizzare modi e toni da despota da operetta non è la strada giusta. Il presidente russo ha immaginato di potersi permettere quei toni perché sa quanto alcuni Paesi, segnatamente l’Italia e la Germania, abbiano assoluto bisogno del gas russo. Il tira e molla sull’esclusione di Mosca dal sistema di transazioni Swift è un segnale in questo senso, anche se mentre scriviamo la brutalità dell’invasione sta producendo un progressivo isolamento di Mosca dai circuiti finanziari internazionali.
Putin voleva questo epilogo come dicono gli americani fin dal primo giorno? Chi può dirlo. Ha tirato la corda nella convinzione di un'America debole e di un'Europa divisa ma di fronte alla risposta Nato ha dovuto essere conseguente. A cosa porterà questa scelta? Si fanno mille ipotesi, quella dell’occupazione appare improbabile. Quella dell’annessione delle regioni indipendentiste e di porzioni di terreno che colleghino Mosca alla Transnistria moldava più credibili. Difficile immaginare un cambio di governo che sostituisca il presidente Zelensky con un filo-russo. Non è da escludere uno scenario simil Bosnia nelle regioni autonome, con i russi a fare i «caschi blu». Certo è che quella porzione maggioritaria del popolo ucraino che preferisce l’Europa alla Russia verrà spinta ancora di più verso le proprie convinzioni. Se, infine, questa forzatura brutale di Putin servirà a far immaginare nuovi rapporti con gli Stati Uniti e l’Europa e un ruolo «finlandese», meno schierato dell’Ucraina è davvero difficile a dirsi. In queste settimane si dice che Washington e Teheran sarebbero vicini a un nuovo accordo sul nucleare. Se ci sono due nemici, questi sono proprio loro e un accordo indicherebbe una volta di più che è tra nemici che si fa la pace.
Venendo all’Europa e all’Italia, la realtà dei fatti ‑ l’opposizione italiana all’esclusione di Mosca dallo Swift, la volontà di mediazione espressa con la previsione di una missione di Draghi, le parole del ministro Guerini ‑ ci dice che anche per noi le cose sono più complicate. Ripeto, questa è una guerra di aggressione provocata in maniera evidente dalle scelte di Putin ma non è una lotta tra democrazia e despotismo. L’elenco degli ex ministri e premier a libro paga delle multinazionali russe, così come gli ottimi rapporti con l’Arabia Saudita o l’Egitto o la vicenda di Hong Kong ci raccontano come equilibri complicati tendano ad avere la meglio sui diritti umani o la democrazia. A soffrire saranno gli ucraini, quelli europeisti e i filorussi cui probabilmente verrà imposta una pace da Mosca o da un accordo con Mosca. Immaginarne uno equo, duraturo e di pace dovrebbe essere il compito dell’Europa. Infine, che in Russia, nonostante i pericoli per chi sceglie di protestare, ci siano manifestazioni di dissenso, è un segnale davvero molto positivo.
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