Andrebbe meno denigrato il genere libro-intervista. Perché spesso è uno strumento utile, specie quando è sincero e poco rielaborato, come appare questa “intervista sulla cultura” dove Marino Sinibaldi si confronta con Giorgio Zanchini. C'è tanta radio, ovviamente, e tanti libri. Ma pure molto altro. Perché se le definizioni di cultura conviene lasciarle agli antropologi, qui piuttosto troviamo l'idea del cosa si possa e debba intendere per fare cultura, pur senza alcuna presunzione sia chiaro. L'idea del lavoro prezioso per muovere la cultura, distribuirla, farla crescere allargandone gli spazi, anche con molta sperimentazione e creatività laddove possibile. In fondo è il lavoro che fanno le trasmissioni di Radio3, e non c'è quindi da sorprendersi se lo scambio tra Zanchini e Sinibaldi procede così spedito, senza intoppi seppure saltabeccando un po' qua e un po' là. Anche per questo il libro si legge volentieri, nel continuo puntualizzare di Sinibaldi sulla provvisorietà delle considerazioni che mano a mano prendono forma, nella inevitabile semplificazione che sembra molto preoccuparlo. Quasi a smarcarsi da ogni rischio di apparire troppo saggio agli occhi delle tante professoresse democratiche, categoria limitante ma efficace per immaginare il pubblico femminile colto e preparato della radio che ogni giorno segue quello che fu il Terzo programma. Domanda dopo domanda, senza tralasciare i riferimenti autobiografici, si ritrovano pezzi importanti e a volte trascurati della storia d'Italia di quasi mezzo secolo, ed emerge snodandosi tra evoluzione mediatica e mutamenti sociali la vicenda di un Paese in cui il melodramma e la predisposizione per il carattere immaginativo sembrano dopo tutto prevalere sempre. Dove la stagione dei festival ci ha illusi che potessero esserci spazi nuovi e in aggiunta a quello che ci si ostina a chiamare il panorama culturale, in grado di aggregare nuovi utenti. Insomma cittadini che grazie a un'aria meno serioso e più partecipata diventassero parte di quella minoranza colta o presunta tale di cui da decenni lamentiamo l'assenza. Richiamando una citazione di Romano Prodi ripresa da Tullio De Mauro in un libro fondamentale uscito sempre per Laterza in questa stessa collana (La cultura degli italiani), “Potete sperare di essere ignoranti e ricchi per una generazione, non per due”. Peccato che nel frattempo ignoranti siamo rimasti in tanti e ricchi sempre meno, anche se quei meno sempre di più. Ecco, anche il tema generazionale esce fuori con forza dalle parole di Sinibaldi, che cedendo a un flashback autobiografico cita Dylan quando chiede ai più vecchi di farsi da parte e ai più giovani di pretenderlo. Così come molti altri temi decisivi nel decidere l'evoluzione o piuttosto l'involuzione della società italiana e dei suoi consumi culturali, alti o bassi che siano. Come detto e come previsto, il libro, anzi il “non libro”, come Sinibaldi dice di considerarlo nella sua provvisorietà di conversazione, tratta inevitabilmente di libri. Dell'oggetto libro ma tutto sommato poco della perversione che a volte ci prende per esso e molto della sua contemporaneità. C'è una sorta di canto innamorato per la sua fisicità, ma anche una grande e bella apertura per il cambiamento che travolge la lettura e i suoi supporti possibili. In questo, come per la dimensione digitale in cui lasciamo che le nostre vite restino avvolte, e come potremmo fare altrimenti, si coglie una straordinaria positività, quasi aprioristica potremmo dire, che contrasta nettamente con l'arroccarsi sull'eremo della parola scritta e stampata che caratterizza molti lettori non ancora quarantenni. L'assoluta devozione da parte di Sinibaldi per le minoranze, che nella Rete speso trovano uno spazio un tempo insperato e in fondo il loro riscatto, spiega almeno in parte un simile atteggiamento sinceramente democratico. Ma tutto il discorso che si sviluppa su come internet abbia cambiato in particolare i consumi di contenuti, alti e bassi che siano nel robusto e confondente rumore di fondo della Rete, gode dell'insieme di possibilità, presenti e soprattutto future, a fronte delle controindicazioni. L'accumulo di cose belle e intelligenti non può avere fine, per quanto già tante se ne siano accumulate. E della Rete conviene vedere soprattutto le opportunità. Certo, aggiungiamo noi, in qualche modo dovremo imparare a trarne più benefici possibili, e qualche rumore di fondo in meno. Ma questo è un altro discorso.
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