Per Matteo Renzi ha inizio la fase più dura. Sin qui si è rivelato un formidabile animale politico, in linea con le attese di tanti italiani non solo di centrosinistra, mostrandosi capace di rispondere perfettamente alla loro richiesta di un uomo nuovo. I tanti epiteti cui ricorrono gli analisti o i giornalisti per cercare di definirlo rispecchiano l’originalità che egli rappresenta: «l’erede a sinistra di Berlusconi», «il leader post-berlusconiano», «post-ideologico», «antipolitico», «populista», «outsider», «genio della comunicazione, dell’immagine, dei media» – e la lista non finisce qui. Renzi infatti si è dimostrato anche un «killer», cacciando una larga parte della vecchia guardia del Partito democratico, e un abile manovratore: non ha in effetti esitato a fare il contrario di quanto annunciava a proposito del governo Letta, ricorrendo a metodi degni dei costumi della Prima Repubblica (la stessa che, come gli piace ricordare, non ha conosciuto direttamente).
Ora però il «mago» della politica si trova obbligato a imparare in fretta a fare il «tecnico» della politica, possibilmente senza rinunciare alle caratteristiche che sono state alla base del suo successo. Renzi ha annunciato un ambizioso programma di riforme a scadenze mensili, correndo in questo modo il rischio di venire rapidamente smentito dalla realtà. Perché l’uomo frettoloso che è dovrà imparare a gestire un governo, trattare con la sua maggioranza, imporsi all’amministrazione, lavorare con il presidente della Repubblica, negoziare con le parti sociali e i sindacati, prendere in considerazione i vincoli economici, discutere con l’Unione europea. In breve, non potrà più, semplicemente, fare comunicazione ma dovrà agire nel reale: in altri termini, fare politica in una situazione di responsabilità. Riformare è un imperativo e, contrariamente a una leggenda ben radicata, l’Italia ha dimostrato di avere questa capacità – si pensi, ad esempio, all’ingresso nell’euro o alla delicatissima questione pensionistica – benché la partita delle riforme sia tutt’altro che conclusa. Matteo Renzi ha energia e dinamismo e una parte del Paese è pronta a seguirlo. Ma dovrà dimostrare di farcela.
La sua età è un handicap? Anche altri leader europei sono arrivati al vertice giovani quasi quanto lui: Felipe Gonzalez arrivò al potere in Spagna a 40 anni, nel 1982, Laurent Fabius è stato Primo ministro di François Mitterrand a 38 anni, nel 1986, Tony Blair aveva 44 anni quando nel 1997 entrò al 10 di Downing Street. Tutti costoro però avevano un’esperienza parlamentare alle spalle: di cinque anni per Gonzalez, di quattordici per Blair, di otto per Fabius, che era anche stato ministro per tre anni prima di diventare capo del governo. In questo senso l’ingresso di Matteo Renzi a Palazzo Chigi rappresenta un inedito assoluto, ma anche un fatto exciting, si direbbe in inglese, ben più per l’Italia gerontocratica che per l’Europa. Al nuovo presidente del Consiglio, d’ora in avanti, toccherà dimostrare di essere the right man at the right place.
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