L’uccisione del cooperante italiano Giovanni Lo Porto, vittima di un attacco “mirato” condotto dai droni americani al confine tra Pakistan e Afghanistan, ci avvicina dolorosamente a una realtà, quella dei cosiddetti targeted killings, rimasta finora troppo nell’ombra. L’uccisione di Lo Porto rappresenta un caso eccezionale che merita di essere indagato a fondo: non solo si tratta di un cittadino italiano, uno dei 38 occidentali uccisi finora tramite esecuzioni extragiudiziali,ma soprattutto si tratta del primo tra questi “occidentali” ucciso senz’altro per errore dai droni americani.

Poco si sa di questa pratica che ha soppiantato la cattura come pilastro della strategia statunitense antiterrorismo causando negli ultimi anni migliaia di vittime, tra cui molte centinaia di civili innocenti.

Grazie anche all’impiego dei droni – che hanno reso tali esecuzioni più economiche, meno rischiose (per le forze armate del Paese che lancia l’operazione) e (teoricamente) più precise – il ricorso alla pratica dei targeted killings si è impennato: solo in Pakistan i dati indicano che l’amministrazione Obama ha lanciato circa nove volte più attacchi di quanti ne avesse compiuti l’amministrazione Bush durante tutto il suo mandato e in meno anni (364 su 415 attacchi).

I droni hanno preso il posto di Abu Ghraib e di Guantanamo come simboli globali di questa “guerra al terrorismo” in costante espansione. Ma, sebbene l’opposizione a tale pratica sia in aumento, purtroppo non è ancora efficace come quella contro la tortura.

Dal 2004, secondo le stime più attendibili, dalle 4.000 alle 5.500 persone sarebbero state uccise in attacchi condotti dai droni americani in Yemen, Pakistan e Somalia, Paesi con cui gli Stati Uniti non sono formalmente in guerra, senza contare gli attacchi condotti in Afghanistan e Iraq, con cui invece erano in guerra.

I numeri - imprecisi per mancanza di fonti ufficiali - sono enormi; le stime dei civili uccisi sono incerte ma proprio per questo estremamente preoccupanti. Ed è l’assoluta mancanza di trasparenza da parte dei governi, in particolare di quello americano, a preoccupare sopra ogni cosa.

Come ha fatto osservare Philip Alston, l’ex Special Rapporteur incaricato dall’Onu, gli Stati Uniti finora si sono rifiutati di specificare quali siano le giustificazioni legali per la loro politica di omicidi mirati. Ancora peggio, si sono rifiutati di comunicare ufficialmente chi sia stato ucciso, per quali ragioni e con quali “effetti collaterali”.

I singoli individui sono posti sulla cosiddetta Kill List direttamente su decisione del presidente. Obama approva la lista di coloro che sono destinati a essere uccisi, spesso mediante operazioni compiute tramite droni in Paesi terzi e al di fuori di un conflitto armato. Le informazioni sulla Kill list non sono date ufficialmente dall’amministrazione statunitense e sono pertanto limitate ai report dei media, che a loro volta si basano su indiscrezioni riferite da ufficiali americani, pakistani, yemeniti, o altri soggetti “bene informati”.

In verità non si sa neppure chi sia stato ucciso. La mancanza di trasparenza da parte dei governi è totale: secondo i recenti dati dell'organizzazione inglese Reprieve, alcuni individui inclusi nella Kill list sarebbero “morti” fino a sette volte. Reprieve ha identificato 41 casi di persone destinate a essere uccise mediante un’operazione di targeted killing più di tre volte prima di essere davvero uccise. Viene dunque da chiedersi chi sia stato ucciso al loro posto. Nella maggior parte dei casi la domanda è destinata purtroppo a rimanere senza risposta, poiché la stragrande maggioranza delle vittime rimane senza nome.

La stessa fonte rivela che in totale ben 1.147 persone sarebbero state uccise nel tentativo di eliminare questi 41 obiettivi. Il che evidentemente solleva pesanti dubbi rispetto alla precisione dell’intelligence alla base della decisione di procedere con un attacco letale mediante i droni.

Anche in occasione dell’uccisione del cooperante italiano Giovanni Lo Porto e del suo collega americano, il portavoce della Casa Bianca ha dichiarato che gli Stati Uniti “non avevano alcuna ragione per credere che gli ostaggi fossero presenti” nel luogo dell’attacco.

Come ha ricordato il "Washington Post", Lo Porto non è certo la prima vittima innocente degli attacchi dei droni americani e l’amministrazione Obama ne è perfettamente al corrente. Nel caso in questione, grazie al passaporto della vittima, il governo americano ha per lo meno dovuto ammettere l’errore, sebbene con un ritardo inaccettabile: ci sono voluti oltre tre mesi per informare il governo che un cittadino italiano era rimasto vittima (collaterale?) di un attacco compiuto dai droni. Come ha riferito il ministro Gentiloni, nella tarda serata del 22 aprile scorso, il presidente Obama avrebbe informato il premier Renzi “della morte di Giovanni Lo Porto e dell’altro ostaggio americano in un bombardamento effettuato a metà gennaio con velivoli a pilotaggio remoto. Tale informazione è stata fornita appena iniziate le verifiche condotte da parte statunitense. Verifiche che si sono protratte per tre mesi per la particolarissima natura del contesto”.

Giovanni Lo Porto è solo un deprecabile effetto collaterale? In realtà potrebbe essere l’effetto collaterale che mette in crisi il sistema, se solo il nostro governo decidesse di reagire in modo appropriato. In questo senso l’Italia si trova ad avere una grande responsabilità, avendo in mano l’opportunità di pretendere chiarezza a nome delle vittime. Un’opportunità preclusa invece alla stragrande maggioranza delle vittime dei droni, innocenti e anonime, destinate a rimanere tali anche a causa della debolezza politica dei loro governi.

Per quanto benvenute, le parole di rammarico pronunciate dal presidente Obama, che si è assunto pubblicamente la responsabilità dell’accaduto, non sono sufficienti. Servono conseguenze. Serve trasparenza. Serve un cambio di rotta. A cominciare, come richiesto dal Parlamento europeo, dall’interruzione della complicità – a livello politico, militare e di intelligence – dei governi europei a questa pratica illegale: è di questi giorni la notizia che le operazioni dei droni americani sono rese possibili grazie a informazioni satellitari che provengono dalla base di Ramstein in Germania.

 

[L'autrice ha scritto di questi temi sul “Mulino” n. 5/13, pp. 852-860: Fare la guerra con omicidi mirati tra questioni morali e aspetti giuridici, acquistabile qui]