Il fenomeno della radicalizzazione e del terrorismo islamico esercita effetti preoccupanti sulla percezione dell’islam e sulle relazioni con i cittadini di religione islamica residenti o di passaggio sul territorio italiano, e rischia di compromettere gravemente il dialogo con queste comunità, già di per sé difficile a causa dell’alterità religiosa e culturale di cui sono portatrici. L’Osservatorio di Pavia, che da tempo indaga le forme di attenzione riservate dai media tradizionali all’immigrazione e alle comunità straniere in Italia, guarda ora con interesse ai social media per esplorare le opinioni che circolano in una sfera comunicativa come questa, più spontanea, meno strutturata e più «libera» perché sottoposta a minori controlli e vincoli normativi. Una prima indagine esplorativa si è focalizzata in particolare su Twitter, analizzando i tweet in lingua italiana contenenti determinate parole chiave relative alla religione islamica e all’islam radicale. Il campione si riferisce all’arco temporale dal 18 al 22 maggio, un periodo privo di eventi eccezionali che abbiano potuto provocare concentrazioni anomale dell’attenzione mediatica.
L’analisi ha permesso di classificare i tweet in quattro grandi tipologie, suddivise a loro volta in varie sotto-categorie, come riassunto in questa tabella.
La prima tipologia (che ha riguardato il 72,3% dei tweet: «ostilità verso l’islam e i musulmani») è stata suddivisa a fini analitici in quattro sotto-categorie, in base alla particolare declinazione del discorso, che corrisponde anche a diversi livelli di “gravità” dei propositi espressi:
1) Una quota minoritaria (1,4%) è costituita da discorsi aggressivi, offensivi e minacciosi, espressi con particolare virulenza e rivolti contro la religione islamica in generale, membri di questa comunità religiosa o ancora contro rappresentanti delle istituzioni italiane considerati complici. È la parte di tweet che si avvicina di più a ciò che viene definito hate speech.
2) Più numerosi (63,1%) sono i tweet che, senza arrivare allo stesso livello di aggressività, contribuiscono alla circolazione di opinioni e informazioni ostili all’islam. Si tratta talvolta di commenti spontanei di singoli soggetti oppure, nella grande maggioranza dei casi, del retweet di notizie o commenti di opinion leader chiaramente connotati in senso anti-islamico, corredati o meno da chiose personali. Emerge, in particolare, un’idea dell’islam come religione violenta, assolutista e anti-democratica, avversa ai diritti e alle libertà personali e incompatibile con i nostri valori. Frequente anche l’assimilazione pura e semplice del musulmano al terrorista.
3) Altri tweet (3,3%), nell’esprimere una analoga avversione per l’islam, presentano una specificità: l’impronta allarmistica e i toni della paura.
4) Infine, alcuni tweet (4,5%) adottano un registro ironico. L’effetto è piuttosto sdrammatizzante rispetto alle tipologie precedenti ma rimane evidente il sentimento retrostante di ostilità all’islam.
Una seconda tipologia 2 (14,7% dei tweet: «Diffusione di informazioni sul tema») rappresenta in un certo senso un terreno neutro ed è composta da informazioni che, a partire da fonti giornalistiche, rimbalzano poi tra le reti di contatti (9,2%) e dalla segnalazione di studi, convegni e incontri dedicati all’islam (5,4%).
I tweet (4,1% del totale) che ricadono nella categoria «Aperture verso l’islam e i musulmani», minoritari, esprimono sentimenti di tolleranza, apertura, moderazione nei confronti della fede e della comunità islamica. Non evitano le critiche ma rifuggono la demonizzazione. Introducono distinguo o preferiscono concentrarsi sui punti di contatto piuttosto che su quelli di rottura. Alcuni rivolgono la loro critica contro le chiusure e le responsabilità nostrane.
Infine, in una quarta tipologia (8,9% dei tweet: «Adesione all’islam») ricadono i tweet postati con ogni probabilità da persone di fede islamica. Si distinguono in due sotto-tipologie:
1) Quella maggioritaria (8,7%) consiste essenzialmente in citazioni del Corano o di altri testi della tradizione islamica, e in espressioni di fede. Questo tipo di tweet proviene in larga parte da due fonti, che comunicano essenzialmente attraverso i versetti tratti dal testo sacro. Tra i testi postati, nessuno sembra sollevare questioni particolarmente spinose, mentre sono vari quelli che lasciano trasparire un’idea serena e pacifica della religione e suggeriscono punti di contatto tra la religione islamica e quella cristiana.
2) Soltanto 2 tweet (0,1%), sembrano invece espressioni di una visione più radicale dell’islam: il primo esprime apprezzamento per un video fruibile sul canale islamico YouTube «The Merciful Servant». Si tratta di un sermone del predicatore Ahmed Jibril, noto per essere un punto di riferimento per i foreign fighters. Il secondo riporta un testo attribuito ad Abd al-Aziz Ibn Baz e Muhammad Ibn al Uthaymin, teologi sauditi del XX secolo e figure di spicco del wahhabismo, espressione ultraconservatrice dell’islam sunnita: «Nella nostra epoca, a causa della debolezza dei Musulmani, non resta che il jihad con la Dawah ad Allah». Il testo non è del tutto privo di ambivalenza, data la polisemia del termine jihad – che potrebbe qui riferirsi a un impegno attivo nel ricostruire una buona società musulmana –, e data anche una certa ampiezza semantica del concetto di dawha: il termine indica il proselitismo, la «chiamata a Dio» ma ha assunto significati parzialmente diversi nel tempo e nelle diverse correnti di pensiero, dall’incoraggiamento rivolto ai musulmani a perseguire la fede in tutti gli aspetti della loro vita fino all’educazione delle masse islamiche su come realizzare il califfato. Tuttavia, in questo specifico caso, l’interpretazione in senso estremista della frase non è affatto da escludere: in primo luogo, dal nome dell’account, Salafi_Italia, traspare un’adesione al pensiero salafita, a cui si richiamano molti gruppi estremisti. In secondo luogo, il concetto di jihad come guerra santa è del tutto compatibile con il pensiero degli autori citati.
[La versione integrale dell’indagine è consultabile sul sito dell’Osservatorio di Pavia, a questo link]
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