All’alba del 20 luglio scorso un muro che sembrava indistruttibile è stato abbattuto. Dopo un’estenuante maratona negoziale, il Consiglio europeo ha infine preso una decisione di portata storica, la mutualizzazione del debito europeo. I drammatici effetti sulle vite umane e sulla crescita economica del Covid-19 hanno alla fine avuto ragione di tutti coloro che per più di vent’anni si sono opposti a questo principio solidaristico.

Le proposte non sono mancate, ma non c’è mai stata una discussione sul merito. La prima, immediatamente rispedita al mittente, fu quella avanzata da Jacques Delors alla ricerca di investimenti per finanziare le misure di rilancio economico contenute nel suo Libro bianco su crescita, competitivitàa e occupazione. Ne seguirono molte altre, tra cui quella italiana di Romano Prodi e Alberto Quadro Curzio. Tutte erano inevitabilmente destinate ad infrangersi sul muro dell’intransigenza degli Stati membri «rigoristi». Evocare le euro-obbligazioni ha finito per essere un vero e proprio tabù.

Se ne accorse da ultimo Manuel Barroso, quando, per drenare risorse da mettere in campo per rilanciare l’economia europea dopo la Grande recessione del 2008-2010, volle presentare un timido documento di opzioni sulla possibilita di introdurre gli Eurobond. L’indomani, raccontano le cronache dell’epoca, ricevette una secca telefonata da Berlino. Il suo Libro verde fu immediatamente riposto nei cassetti, insieme alle altre proposte, senza ulteriori seguiti.

C’è voluta l’emergenza Coronavirus ad aprire la strada allo storico cambiamento di rotta. Lo scorso 27 maggio, la presidente della Commissione europe, Ursula Von der Leyen ha proposto un ambizioso Recovery Plan (Next Generation EU) da 750 miliardi di euro che è centrato, dal lato delle entrate, sul principio della mutualizzazione del debito.

La svolta è stata possibile grazie al sostegno del ritrovato spirito di collaborazione del direttorio franco-tedesco. Accanto a Francia e Germania, anche la maggior parte degli altri Stati membri hanno riscoperto che l’interesse nazionale coincide con l’interesse europeo. Al contrario di altri Paesi che, stretti attorno alla loro identita «frugale», hanno cercato fino all’ultimo di indebolire l’innovativo accordo del Consiglio europeo.

Le passate cronache comunitarie ci ricordano il clima da battaglia che caratterizzano i negoziati sul quadro finanziario dell’Unione europea. Se in tempi «normali» sono nervosi ed estenuanti, al tempo del Coronavirus, lo sono state ancora di più, a causa, come si è visto dell’agguerrito fronte «frugali». Come in passato, i compromessi raggiunti dal Consiglio europeo riflettono luci ed ombre.

La luce è la decisione sul Recovery Plan, l’ombra è l’accordo al ribasso sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 con sensibili tagli alle risorse finanziarie destinate ad alcune politiche comuni e gli sconti (rebates) concessi a Paesi con un alto prodotto interno lordo.

Se luci ed ombre sono una costante del processo di costruzione europea non stupisce che l’Unione europea abbia trovato la forza di raggiungere un accordo per risollevarsi da una crisi cosi drammatica come quella del Covid-19, anche a costo di compromessi che da molti, compreso il Parlamento europeo, sono considerati al ribasso.

Contrariamente a cio che sostengono i sovranisti, l’Europa comunitaria continua a rappresentare la soluzione e non il problema. È questo, nell’essenza, il messaggio politico e culturale che giunge dalla maratona di Bruxelles. Esso ritrova dopo il 20 luglio la sua centralità. È da qui che ora l’Europa delle isttuzioni deve ripartire. La domanda è naturalmente come.

Il punto di partenza è l’impegno a mettere efficacemente in atto il Recovery Plan. In tal modo, quello che oggi è concepito come uno strumento per sostenere la ricostruzione, potrà trasformarsi in uno strumento ordinario attraverso cui l’Unione europea sosterrà gli investimenti nei settori trainanti dell’economia verde e digitale. Parallelamente, deve proseguire l’azione di riforma della governance economica (dove le proposte innovative non mancano, come il Tesoro europeo) che metta nuovamente al centro le politiche, a partire dalla creazione di un autentico bilancio europeo alimentato da autentiche risorse europee.

Imboccata questa strada, è necessario trovare il coraggio di rompere altri tabù politici e culturali, come la dimensione costituzionale e l’Europa differenziata. La prospettiva costituzionale rappresenta per le forze liberal-democratiche europee l’occasione per rinnovare il modello di societa aperta ed inclusiva. Essa è infatti la premessa per stabilire un rapporto genuinamente democratico tra istituzioni europee e cittadini europei. Da cui deriva la capacità di produrre beni pubblici chiaramente percepibili e fruibili da parte dei cittadini. In parole chiare, la costituzione europea è la chiave per aprire la porta a un’autentica sovranità europea. Se la volontà di raggiungere questa prospettiva non fosse unanime sarebbe inevitabile riaprire senza timidezze e pregiudizi il tema dell’Europa differenziata.

Se il Next Generation EU appena approvato apporta investimenti materiali per il futuro degli europei, l’Europa ha già oggi un fondamentale patrimonio immateriale su cui investire per la sua evoluzione costituzionale. La società aperta con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, la rule of law sono elementi fondanti di questo patrimonio. Se riescono a mobilitare emozioni solo quando l’opinione pubblica ne avverte la fragilità e quali pericoli esse corrano, allora l’Europa non ha altra strada che riaprire un processo costituzionale che sappia suscitare emozioni positive in grado di raccogliere attorno a sé le forze vive e vitali della società europea.

Siamo certi che la Conferenza sul futuro dell’Europa, sia pure avvolta da incognite sulle sue finalità, sappia in ogni caso consegnare alle classi dirigenti nazionali e alle istituzioni europee una domanda forte di più democrazia e sovranità europea. A leggere i dati dell’Eurobarometro le premesse ci sono tutte: i cittadini continentali non si riconoscono in questa Unione europea, ma sollecitano risposte comuni europee. Saremo allora forse in grado di rompere nuovi tabù, e ad avviarci in modi e tempi condivisi lungo la dimensione costituzionale dell’integrazione europea e, se necessario, a un’Europa differenziata.

 

[Le opinioni espresse dall’autore sono a titolo personale e non riflettono quelle dell’istituzione di appartenenza]