L’eurofilia degli italiani è finita da un pezzo. Come da tempo è finito il disinteresse per le istituzioni europee, e le due cose sono associate. Facile pensare bene di una istituzione della quale si sa poco e di cui tutti o quasi parlano bene. Ragionevole essere sospettosi quando la si conosce meglio e molti la criticano per svariate ragioni. Forse proprio per questo l’eurofobia ha tratti sfuggenti. Moltissimi in questi anni hanno criticato l’Europa per la gestione dell’immigrazione e della crisi economica. Questo è senza dubbio un aspetto centrale degli atteggiamenti anti-europei. Riguarda politiche economiche o migratorie della cui inefficacia o criticità per altro non sono nemmeno responsabili per intero le istituzioni europee, ma semmai lo scontro tra legittimi interessi nazionali che le classi dirigenti ritengono spesso a somma zero. Altrettanto importante è la sensazione che con l’euro e il crescente ruolo delle istituzioni europee nelle politiche nazionali abbiamo perso le chiavi di casa. Per esempio la libertà (si fa per dire) di gestire la nostra economia grazie a ricorrenti svalutazioni della lira. Tra il dissenso sulle politiche europee e le preoccupazioni per la perdita di sovranità nazionale vi può essere certamente un nesso. Ma è evidente che sono atteggiamenti diversi. Alcuni elettori potrebbero perfino pensare che le politiche di austerità di questi anni avrebbero potuto essere diverse se le istituzioni europee avessero avuto capacità di manovra maggiori di quanto hanno avuto, non minori.
Gli atteggiamenti sovranisti hanno diversa natura. Nascono dalla nostalgia degli Stati nazionali dei primi decenni del secolo scorso, con la novità non di poco conto (rispetto alla storia grande e terribile del nazionalismo europeo) che il rimpianto non sembra tradursi ancora nel sentimento che sia dolce sacrificarsi sino alla morte per la grandezza della propria nazione, come giustamente aveva osservato Paolo Prodi su queste pagine parlando delle trasformazioni dello Stato nazionale. Dunque l’euroscetticismo si articola in vari atteggiamenti di massa collegati forse tra loro, ma da distinguere. Prenderne le rispettive misure non è tuttavia cosa semplice da fare. Non stimola nemmeno a farlo la grande narrazione di questi anni per la quale l’euroscetticismo è tutto ascrivibile a un'unica motivazione: quella di chi preferisce alzare muri simbolici e reali ai confini nazionali. La linea di faglia tra chiusura e apertura rappresenta certamente una delle cause della polarizzazione delle opinioni sull’Europa, ma non è la sola. Soprattutto non è una linea di faglia che ha completamente soppiantato, entro i sistemi politici nazionali, quella tra sinistra e destra. Lungo la quale tende(va) a riverberarsi in parte il conflitto sulle politiche europee.
L’evoluzione dell’opinione pubblica italiana di questi ultimi anni offre un’opportunità per capire se l’alternativa sinistra e destra strutturi ancora le opinioni sull’Europa. Lo è anzitutto per ragioni oggettive. La crisi economica non è finita soprattutto nel sentire diffuso degli italiani e i flussi immigratori rappresentano una sfida reale a come ci siamo percepiti, come italiani, sino a oggi. Poi sono diventati più insistenti gli appelli di partiti e leader (per esempio la Lega Nord, Fratelli d’Italia e anche i 5 Stelle) che indicano nel recupero della sovranità nazionale la soluzione di tutti i nostri problemi. Uno stile retorico al quale per altro è parsa ricorrere, in alcune occasioni di diverbio con Bruxelles, anche la leadership del Pd. Ci si potrebbe aspettare che per effetto di tutto ciò siano aumentati gli atteggiamenti contrari a una maggiore integrazione europea, a sinistra come a destra. Invece non è andata così.
Nella figura 1 sono messe a confronto le opinioni sul processo di integrazione europea espresse da un campione di elettori di alcuni partiti intervistati due volte, nel giugno 2014 (rettangoli scuri) e nell’ottobre 2016 (rettangoli chiari). Le due linee orizzontali rosse indicano il valore da 0 a 10 che divide a metà il campione di intervistati nel 2014 e nel 2016 (valore mediano). I rettangoli relativi a ogni partito indicano quanti elettori, nei due anni, hanno opinioni che si distribuiscono tra il primo e il terzo quartile, mentre la linea orizzontale entro il rettangolo indica su quale valore della scala che misura l’opinione sull’integrazione europea i diversi elettorati si dividono a metà (valore mediano). Infine i baffi che si dipartono dai rettangoli mostrano che un certo numero di elettori ha opinioni estreme, più positive o più negative del grosso dell’elettorato di cui fa parte.
Tre sono le cose che possiamo osservare. Nel 2016 sono aumentate di un punto le opinioni a favore di una maggiore integrazione. Il valore mediano relativo al 2016 è 6, quello del 2014 era 5. L’aumento è attribuibile al fatto che in questi due anni un certo numero di elettori Pd ha cambiato opinione sull’Europa in senso più favorevole a una maggiore integrazione. Nel caso degli elettori di Sinistra italiana, che nel 2014 avevano votato la lista Tsipras-Sel, c’è stata una riduzione netta delle opinioni negative. La maggioranza degli elettori di Fratelli d’Italia e della Lega aveva opinioni sull’integrazione europea decisamente di tipo sovranista nel 2014 e da lì nel complesso non si è schiodata. Le opinioni invece degli elettori di Forza Italia e Ncd muovono verso il polo integrazionista. Lo stesso accade per chi vota per i 5 Stelle. Infine nei due anni considerati e per tutti i partiti c’è una quota di elettori che ha opinioni più estreme della maggioranza dei rispettivi elettorati. Per esempio, nel caso del Pd alcuni sembrano pensare che meno integrazione sia preferibile.
Questi dati vanno interpretati con le cautele che possiamo immaginare data la loro natura. Il quadro che tratteggiano suggerisce però alcune considerazioni. Anzitutto la maggioranza degli italiani non è euroentusiasta, ma è più favorevole all’integrazione di quanto non lo fosse nel 2014. Questo tipo di atteggiamenti sull’Europa non è quindi stabile. L’euroscetticismo non è distribuito egualmente a destra e a sinistra. Anzi, è la destra a essere divisa. Tra elettori che vogliono decisamene un ritorno alla sovranità nazionale ed elettori che invece pendono verso una maggiore integrazione europea. Insomma, contrariamente all’idea che sull’Europa ci si divida solo tra aperturisti e sovranisti, l’alternativa sinistra e destra non è scomparsa. Forse i suoi contenuti sono cambiati, come è probabile che a sinistra o a destra vi siano elettori critici verso le politiche attuate dall’Europa. Ma per il momento tali critiche sembrano adottare con chiarezza visioni sovraniste dell’interesse nazionale solo tra alcuni elettori di destra.
Riproduzione riservata