Alla fine Matteo Renzi si è lasciato convincere a escludere dal decreto legge antiterrorismo le norme che permettono le intercettazioni telematiche da remoto, con software spia, per acquisire informazioni utili dai computer e dai cellulari degli utenti sospettati di terrorismo. Il garante della Privacy Antonello Soro aveva già espresso seria preoccupazione su molti emendamenti approvati in Commissione. Secondo il suo giudizio, essi finivano per alterare il necessario equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela della privacy dei cittadini. Questo tema delicato verrà, dunque, affrontato in maniera più organica nel provvedimento sulle intercettazioni già in esame in Commissione. Si spera però che la discussione non si concentri solo sul tema delle intercettazioni.
Il decreto legge riguardante “misure urgenti per il contrasto del terrorismo”, entrato in vigore il 20 febbraio di quest’anno, pone infatti in modo ancor più drastico il dilemma tra sicurezza e difesa delle libertà individuali. In esso, oltre a misure di contrasto all’uso di internet per scopi di propaganda terroristica, vengono contemplate modifiche al codice penale con nuove figure di reato destinate ai foreign fighters e ai «lupi solitari». Viene inoltre introdotto un ampliamento significativo dei poteri dei Servizi di intelligence, incluse molte garanzie sulla non punibilità di alcune condotte compiute in condizioni di segretezza per scopi istituzionali. È importante perciò che si discuta, più di quanto sia stato fatto finora, dell’intera portata di questi provvedimenti.
Ci troviamo di fronte a una legislazione che richiede un’attenta valutazione critica al fine di scongiurare soluzioni improvvisate e potenzialmente lesive delle libertà dei cittadini. Per fortuna, i suggerimenti critici non mancano, grazie all’acceso dibattito sollevato negli Stati Uniti dal Patriot Act e dalle rivelazioni di WikyLeaks e Snowden. Ciò che si ricava da questo dibattito è che le esigenze di sicurezza devono produrre normative dai contorni ben definiti. Deve essere garantita, cioè, una ragionevole proporzionalità tra il tipo di sicurezza che va tutelato e la limitazione introdotta ai diritti individuali. Ma, soprattutto, emerge la necessità di sistemi di controllo efficaci e credibili sulle attività degli organi preposti alla sicurezza, specie quando tali organi operano sotto la copertura del segreto di Stato e in contesti emergenziali che ampliano i loro poteri di intervento. Solo una pluralità di efficaci controllori è in grado di rassicurare i cittadini sul fatto che la segretezza sarà realmente usata per proteggerne la sicurezza e non, piuttosto, per nascondere comportamenti illeciti e abusi di potere.
Detto questo, restano però scoperti alcuni problemi legati all’asimmetria informativa esistente tra controllori (potere legislativo e giudiziario) e controllati (esecutivo e apparati di intelligence). Sono infatti i controllati a conoscere meglio come sono stati gestiti i segreti. Se i supervisori non riescono a sollecitare la loro collaborazione le procedure di controllo finiscono per naufragare di fronte a una documentazione inadeguata o, peggio ancora, manipolata e ingannevole. Come è facile intuire, le difficoltà relative alla raccolta di informazioni adeguate, cui va incontro ogni sistema di controllo, appaiono particolarmente acute quando i controllati sono coperti dal segreto di Stato.
Queste difficoltà intrinseche agli assetti istituzionali regolativi del segreto di Stato hanno indotto molti osservatori a ritenere di vitale importanza le denunce circostanziate e non anonime, attuate da funzionari degli apparati di sicurezza (whistleblowing), relative a comportamenti illeciti e abusi di potere verificatisi in seno al sistema. La possibilità di ricatti e di sanzioni professionali informali messi in atto da chi è minacciato dallo svelamento di atti illeciti ha reso però questo tipo di denuncia piuttosto raro. Ciò ha portato a riconoscere l’utilità anche di denunce anonime, pur nella consapevolezza della possibile esistenza di «gole profonde» che agiscono a fini manipolatori e scandalistici. Tale rischio può essere senz’altro ridotto, ma non completamente eliminato, dalla presenza di media responsabili in grado di sottoporre a un costante controllo critico la validità delle loro fonti anonime. Su questi dilemmi occorre dunque un confronto serrato, non solo per delineare efficaci sistemi di deliberazione democratica ma anche per sollecitare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni preposte alla sicurezza.
Il terrorismo internazionale non può essere combattuto solo con strumenti legislativi e operazioni repressive. Sono pure necessarie azioni più generali di «contro-radicalizzazione», volte ad attivare le reti sociali dei potenziali terroristi in funzione educativa e dissuasiva. E anche su questo si apre uno spazio di discussione enorme.
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