La Salerno - Reggio Calabria era e resterà la grande incompiuta delle infrastrutture italiane: il 22 dicembre 2016 si è celebrata infatti una conclusione dei lavori che non era tale. Le celebrazioni erano funzionali per occultare le scelte reali riguardanti l’autostrada, sancite già dal Def 2015: cancellare il vero completamento, rinunciando allo stanziamento dei poco meno di 3 miliardi di euro necessari per l’ultimazione, dichiarati dal precedente direttore Anas Piero Ciucci più volte, anche davanti alle Commissioni Trasporti e Ambiente delle Camere. E annullando quindi anche i progetti esecutivi e la ristrutturazione degli ultimi 67,5 chilometri mancanti – i più pericolosi e incidentati – riguardanti i tratti calabresi di Altilia, Rogliano, Pizzo - S. Onofrio e Villa S. Giovanni - Reggio Calabria, che resteranno con il vecchio tracciato a due corsie.
Il reale completamento è stato azzerato per esigenze di bilancio, ma anche di «politica mediatica»: i circa 3 miliardi non erano disponibili alla luce del Patto di Stabilità, e soprattutto non si poteva aspettare il 2021 per la conclusione dei lavori. Così si è deciso di spacciare la chiusura dei cantieri aperti per la conclusione definitiva. Reggendo la farsa fino alla celebrazione di fine 2016 voluta dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal presidente dell’Anas da lui nominato Gianni Vittorio Armani. In una delle manifestazioni che hanno preceduto tale evento, che denunciavano appunto il bluff – certo con molta minore risonanza mediatica di quella cercata e ottenuta per l’«evento» – proprio un anziano operaio dell’Anas sottolineava come l’azione congiunta di governo e Anas fosse «particolarmente odiosa»: non solo perché sottraeva risorse preziose a una operazione infrastrutturale (e nella fattispecie anche occupazionale) certamente ancora utile e necessaria (nonostante il declino ormai strutturale del volume di traffico), ma soprattutto perché trattava i cittadini italiani, specie calabresi e siciliani, come «sudditi scemi» da ingannare e imbonire con le grancasse mediatiche.
In occasione della falsa conclusione, molti media riportavano che «la costruzione della Salerno - Reggio Calabria è durata cinquant’anni». In realtà non è proprio così. Prevista già dagli anni Trenta e inserita nella programmazione istituzionale dal 1955, la costruzione della Salerno - Reggio Calabria, con la «prima pietra» posta nel 1962 dall’allora ministro Amintore Fanfani, fu eseguita tra il 1964 e il 1972, presentando tempi e costi almeno equiparabili ai valori medi del periodo. Collaudata nel 1974, la realizzazione comportò un costo totale di 368 miliardi di lire (poco meno di 200 milioni di euro), per un costo unitario di circa 860 milioni di lire a chilometro (420 mila euro circa), contro un costo medio unitario per opere analoghe di 800 milioni di lire a chilometro (circa 380 mila euro). Peraltro solo questa «modesta» differenza spingeva Pino Arlacchi (La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, 1983), come altri osservatori, a parlare di «rischio Calabria» aggiuntivo; dovuto sostanzialmente ai costi di «interazione» con la criminalità organizzata. La ristrutturazione – che in genere conta per una semplice quota parte rispetto alla costruzione – è costata invece circa 22 milioni di euro a chilometro (45 miliardi circa delle vecchie lire): oltre il mille per cento rispetto alla prima costruzione.
Già poco tempo dopo l’apertura, le «particolari» caratteristiche geometriche e costruttive di alcuni tratti richiedevano operazioni di manutenzione straordinaria, tali da farne invocare a molti il rifacimento completo. Operazione che già alla fine degli anni Settanta veniva «dichiarata» nei documenti ministeriali, per essere compresa nella programmazione ufficiale con i programmi ex lege 64/86 «Per l’accelerazione e la realizzazione di opere pubbliche», l’ultima imponente cascata di grandi opere programmate, progettate e in qualche caso realizzate dai partiti di centrosinistra della Prima Repubblica.
Peraltro i lavori di manutenzione erano talmente frequenti e ampi da far pensare – e non solo agli osservatori meno attenti – a una prosecuzione della prima costruzione o a un avvio del rifacimento. Tale operazione, inserita dopo Tangentopoli nei programmi sia di centrodestra (1994) sia di centrosinistra (1996), fu poi avviata effettivamente a fine ’96; per durare vent’anni, fino alla recente «interruzione definitiva».
Un aspetto quasi sempre sottovalutato nelle analisi sulla Salerno - Reggio riguarda gli impatti ambientali, territoriali e paesaggistici. All’epoca della prima costruzione non esisteva alcuna normativa, neppure a livello internazionale, sulla valutazione d’impatto ambientale. Anzi, l’«avvento della modernità doveva lasciare i propri segni». Come notava tra gli altri Guglielmo Zambrini, oltre agli antesignani degli ambientalisti, tra cui Antonio Cederna, «qualche preoccupazione destavano gli effetti sul paesaggio»; ma prevaleva l’idea di «potenza e perfezione dell’opera d’arte» tecnica, icona dello sviluppo che l’autostrada doveva evocare e indurre laddove arrivava. La presenza di una certa disciplina da parte degli apparati tecnici ministeriali che sovrintendevano alla realizzazione era testimoniata allora dalla propensione al ripristino della qualità dei luoghi – per quanto possibile – alla chiusura dei cantieri (certo fenomeni più complessi quali i dissesti di alcuni versanti impattati o la distruzione di habitat strutturanti non erano colti, vista la mancanza di analisi mirate). Ciò che invece non si registra oggi, al termine dei lavori di ristrutturazione, che pure sono stati effettuati con il regime normativo su Via e Valutazione strategica pienamente cogente.
Invocati a gran voce dalle popolazioni, i lavori di rifacimento, che pure interessavano spesso contesti già fragili o degradati da insediamenti o dissesti idrogeologici, sono stati effettuati senza alcuna analisi d’impatto. Cosa che ha accentuato gli elementi di degrado e detrazione del paesaggio già presenti, causandone di nuovi. Colpisce, lungo tutto il tracciato, il perdurante effetto degradante dei cantieri sui luoghi interessati. Anas, infatti, come ormai prassi nella costruzione di grandi opere, a fine lavori si limita a chiudere le operazioni con la messa in sicurezza del cantiere; senza badare al ripristino ambientale e paesaggistico dei luoghi. Questo comporta danni ingenti ai territori investiti, che, per la parte calabrese, hanno avuto pure una quantizzazione di massima: per i lavori eseguiti fino al 2011 gli impatti delle operazioni in corso hanno comportato dissesti, frane, cedimenti, crolli, modifiche irreversibili e rotture o distruzioni di habitat per un valore superiore ai 4 miliardi di euro. Che la Regione Calabria potrebbe reclamare dalla concessionaria per conto dello Stato, l’Anas.
Altro danno è costituito dall’abbandono delle tratte dismesse, ma non interessate dal rifacimento: enorme spreco, in quanto manca qualsiasi piano di riutilizzo. Per il tratto dismesso Bagnara - Scilla, nella parte reggina del macro-lotto VI, vi fu qualche anno addietro addirittura l’interessante proposta di farne una «strada solare» al sevizio del territorio locale, ma con un parco lineare di produzioni energetiche da pannelli fotovoltaici.
Oggi Anas dichiara che spenderà circa un miliardo di euro per «rendere smart» almeno una parte dell’autostrada. Sarebbe invece corretto e anche urgente completarla davvero. Recuperando le risorse per il rifacimento dei circa 70 chilometri più pericolosi. E quindi effettuare le necessarie operazioni di ripristino dei luoghi e di adeguamento dell’opera al paesaggio.
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