Magdalena Andersson, la leader dei socialdemocratici svedesi in carica dal 30 novembre 2021, sarà ricordata non solo per essere stata la prima donna a ricoprire la carica di Primo ministro del Paese, ma anche per aver intrapreso un cambiamento epocale nella politica estera e di sicurezza di una nazione che era il simbolo della neutralità (o meglio, della libertà da alleanze militari): l’adesione alla Nato, un traguardo che i partiti di centrodestra inseguivano da decenni ma non erano mai riusciti a realizzare. Tuttavia, dalla campagna elettorale culminata nelle votazioni dell’11 settembre 2022 sia la Nato sia la guerra in Ucraina sono state quasi del tutto assenti. A monopolizzare l’attenzione sono state le sparatorie tra gang di giovani immigrati, un fenomeno in ascesa (benché nel contesto di una generale diminuzione degli omicidi), di cui hanno fatto le spese anche persone innocenti, che ben si presta a stigmatizzare le culture "altre" e a mettere sotto accusa politiche migratorie considerate troppo generose. La crisi dei rifugiati del 2015 ha segnato uno spartiacque anche in Svezia, che ne ha accolti moltissimi, ma da allora ha visto corrodersi sempre di più il consenso trasversale sulle politiche di accoglienza.

Non stupisce dunque che il buon risultato di Andersson (oltre il 2% in più rispetto al 2018) sia stato oscurato dal trionfo dei Democratici di Svezia, che, con il 20,54% dei voti, diventano il secondo partito del Paese e il primo del centrodestra: una svolta storica, in un sistema politico tradizionalmente stabile come quello svedese, che tuttavia negli ultimi anni ha subito diversi scossoni. Il risultato del partito guidato dal 2005 da Jimmie Åkesson va inserito nel quadro della costante ascesa, a partire dalla fine degli anni Ottanta-inizio anni Novanta, del populismo di destra anche nei Paesi nordici. Se la Finlandia ha una storia a sé (con una lunga tradizione di populismo "centrista", di derivazione agraria, soppiantato, a partire dal 1995, dal nazionalismo dei "Veri Finlandesi"), in Danimarca e Norvegia rispettivamente il Partito popolare e il Partito del progresso hanno saputo imporre la loro agenda politica, dal governo come dall’opposizione.

La domanda "come è possibile che anche in Svezia si affermi un partito della destra radicale?" andrebbe quindi rovesciata, chiedendosi piuttosto come mai i Democratici di Svezia abbiano acquisito soltanto nel 2022 un ruolo decisivo nella formazione dei governi. La risposta sta nel cosiddetto "cordone sanitario" che il sistema politico svedese ha eretto nel 2010 – quando il partito di Åkesson è entrato per la prima volta in parlamento – per bandire dal salotto buono della politica (leggi: negoziati tra i partiti ma anche trasmissioni televisive, interventi nelle scuole e così via) un’organizzazione considerata impresentabile. Tale ostracismo – criticato dai Democratici di Svezia in quanto lesivo della loro libertà di espressione – derivava da due peculiarità. La cultura politica svedese è (era?) caratterizzata da un’interpretazione sostanziale della democrazia, rispetto a quella più procedurale degli altri Paesi nordici; individuando i valori chiave della democrazia svedese nell’uguaglianza e nella solidarietà (a livello nazionale e internazionale), un partito che esplicitamente li rigettava non poteva trovar posto nel discorso pubblico. Si può ovviamente discutere sull’ipocrisia di fingere che i Democratici di Svezia non esistessero, quando conquistavano un numero crescente di amministrazioni locali e infine, nel 2010, la rappresentanza parlamentare. Vi era però un elemento che distingueva questo partito dalle formazioni populiste di destra degli altri Paesi nordici: le origini esplicitamente neonaziste, in un milieu di gruppi tra cui spiccava "Mantieni la Svezia svedese".

La domanda "come è possibile che anche in Svezia si affermi un partito della destra radicale?" andrebbe quindi rovesciata, chiedendosi piuttosto come mai i Democratici di Svezia abbiano acquisito soltanto nel 2022 un ruolo decisivo nella formazione dei governi

Negli anni, Åkesson si è mosso su due fronti: la presa di distanza dal passato (anche suo), definito un capitolo chiuso, e un utilizzo dei cospicui finanziamenti comunali e statali per costruire un’organizzazione capillare (che dalla Scania, la regione più meridionale del Paese, si è estesa a tutto il territorio) e coesa. Non trapelano mai divisioni interne, la leadership di Åkesson è indiscussa così come il ruolo di ideologo di Mattias Karlsson, che nel 2020 ha lanciato il think tank Oikos, strumento di quella contro-egemonia culturale che vuole sradicare definitivamente socialismo e liberalismo, spesso equiparati sotto la bandiera del politically correct.

Il nodo del passato, tuttavia, è lungi dall’essere sciolto. Non solo perché nel corso degli anni numerosi esponenti dei Democratici di Svezia hanno continuato una propaganda antisemita e antimusulmana non di rado sconfinata nei crimini d’odio (e qualcuno di loro è finito nei guai, a conferma di una scarsa moralità di questo ceto politico, anche per crimini violenti), ma anche perché da una ricerca effettuata ad agosto è emerso come dei 289 candidati alle elezioni parlamentari che risultavano avere legami con l’estrema destra 215 appartenessero ai Democratici di Svezia.

Tutte le preoccupazioni che hanno motivato il cordone sanitario sussistono, quindi: Åkesson e i suoi sono sempre gli stessi, solo più scaltri; a cambiare sono stati gli altri partiti. A cominciare dal centrodestra: Moderati e Cristianodemocratici hanno cominciato a corteggiarli dopo la sconfitta del 2018; anche i Liberali, che fino all’anno scorso avevano preferito un’intesa con i socialdemocratici a un governo dipendente dall’appoggio dei Democratici di Svezia, hanno ingoiato il rospo, soprattutto con la nuova leadership di Johan Pehrson. Unica eccezione, nel centrodestra, il Partito di centro di Annie Lööf, che ha ribadito, in questa campagna elettorale, la posizione assunta tre anni fa: meglio con i socialdemocratici che con l’estrema destra, dichiarandosi anzi disponibile a entrare in un governo da loro guidato. Il Centro però ha subito un tracollo e Lööf si è prontamente dimessa, dopo undici anni al vertice del partito: l’avvicinamento alla coalizione rosso-verde (oltre ai socialdemocratici, il Partito della sinistra e i Verdi) è stato sonoramente bocciato dagli elettori.

I tre partiti del centrodestra disponibili all’accordo con i Democratici di Svezia hanno avanzato proposte sconcertanti, che rompono con la cultura liberale e conservatrice del Paese

I tre partiti del centrodestra disponibili all’accordo con i Democratici di Svezia hanno avanzato proposte sconcertanti, che rompono con la cultura liberale e conservatrice del Paese: test linguistici e cognitivi (con un grado variabile di obbligatorietà) da effettuare su bambini e bambine in tenerissima età (dai due anni in su) esclusivamente nei "sobborghi degradati"; un’espressione, questa, così abusata da essere diventata inutile per comprendere le sfaccettature dell’esclusione sociale. Tuttavia, il mutamento più sconcertante riguarda non il centrodestra (pronto a tutto, pur di tornare al governo, ma ora costretto a inchinarsi a quegli estremisti che, in una corsa al ribasso, ha cercato di emulare, se non superare, nell’oltranzismo xenofobico), ma la socialdemocrazia. Se già con Stefan Löfven il partito aveva scelto di rispondere alla penetrazione dei Democratici di Svezia tra le fila del suo elettorato, in particolare quello operaio, non con il rilancio del Welfare (del cui smantellamento è corresponsabile), bensì con l’adozione di politiche migratorie sempre più restrittive, con Andersson la torsione xenofoba si è fatta ancora più pronunciata. Il modello sono i socialdemocratici danesi, che, fra le altre cose, hanno autorizzato la polizia a irrompere senza mandato in abitazioni considerate sospette (nei "sobborghi degradati", naturalmente), inasprito le pene e introdotto criteri etnici nell’assegnazione delle abitazioni.

I Democratici di Svezia avevano dunque vinto già prima delle elezioni: buona parte del sistema politico, con l’eccezione del Partito della sinistra, i Verdi e il Partito di centro, ha fatto a gara per difendere la svedesità a scapito della solidarietà. Alla fine, come sempre, l’elettorato ha premiato chi deteneva il copyright (dell’intolleranza), punendo al contempo chi, incapace di proporre una sua visione della società – e soluzioni all’altezza delle crisi in corso – ha semplicemente cercato di gridare più forte.