Il ballottaggio in Georgia del 6 dicembre, valido per le elezioni di midterm, è stato decisivo, come a inizio 2021, per aver definito l’ultimo seggio della composizione del Senato, che con il successo del georgiano democratico Raphael Warnock su Herschel Walker conta oggi 51 democratici (uno in più, recuperato in Pennsylvania) e 49 repubblicani (uno in meno). La scelta del 9 dicembre scorso della democratica Krysten Sinema di cambiare affiliazione, passando al gruppo indipendente, ha reso però più incerta la stabilità della maggioranza, anche perché la senatrice dell’Arizona non ha ancora dichiarato esplicitamente se farà caucus con i democratici, come gli altri indipendenti Bernie Sanders e Angus King.
A prescindere da decisioni simili che nei prossimi mesi potrebbero prendere altri componenti della risicata maggioranza – come Joe Manchin, senatore del West Virginia che nel 2021 aveva bloccato il Build Back Better Act di Biden – quello del voto di novembre è stato un esito che nessun sondaggio prefigurava. Basti considerare che negli ultimi venticinque anni solo in sei casi il partito d’opposizione non è riuscito a conquistare il Senato alle elezioni di midterm, pur sempre ottenendo in media una trentina di deputati alla Camera, mentre nel 2022 i repubblicani ne hanno eletti appena nove, un risultato molto al di sotto delle aspettative.
In campo repubblicano il deludente midterm e la nuova discesa in campo ufficializzata da Donald Trump a Mar-A-Lago il 14 novembre hanno poi riacceso polemiche interne tra fazioni più o meno favorevoli alla nomination dell’ex presidente. Il tutto in un contesto in cui alla Camera, dal gennaio 2023, siederanno quaranta componenti del blocco più oltranzista del Freedom Caucus pronto a complicare, con il suo candidato Andy Biggs, la nomina di Kevin McCarthy a speaker della Camera, dove l’attuale leader di minoranza aspira a subentrare a Nancy Pelosi dopo il cambio di maggioranza.
Proprio l’ottantaduenne leader democratica, una settimana dopo il voto, ha ufficializzato la storica decisione di rinunciare alla carica di capogruppo che ricopre dal 2003. Prima e a oggi unica speaker donna della storia americana, Nancy Pelosi è stata eletta per la prima volta nel 1986 alla Camera ed è col tempo diventata uno dei volti più noti e carismatici di un Congresso che nel suo discorso post-elettorale ha definito, con toni solenni, “il tempio della democrazia americana, della Costituzione e dei suoi più alti ideali”. Da quel momento in poi ha alternato praticamente senza soluzione di continuità incarichi da speaker e da leader di minoranza sotto quattro presidenze, da George W. Bush fino al collega di partito Joe Biden.
Prima e a oggi unica speaker donna della storia americana, Nancy Pelosi è stata eletta per la prima volta nel 1986 alla Camera ed è col tempo diventata uno dei volti più noti e carismatici del Congresso
“È giunta l’ora per una nuova generazione di assumere la guida del caucus democratico. Ora dobbiamo muoverci con coraggio verso un futuro fondato sui principi che ci hanno portato così lontano, aperti alle nuove possibilità che il futuro ci prospetta”, ha sentenziato preparandosi a completare il suo mandato da rappresentante del dodicesimo distretto californiano e aprendo una fase inedita per un partito che insegue la rapida trasformazione della società e della sua constituency, in senso sempre più inclusivo e rappresentante della diversità.
Se trentacinque anni fa Pelosi si apprestava a giurare in un Congresso dove le donne erano appena 25, nel 2023 siederanno tra Camera e Senato 149 donne (di cui 107 democratiche): un numero che supera di due unità il record di due anni prima, ma che rappresenta una percentuale ancora troppo bassa, ossia il 27% dei rappresentanti. Nel 1987 erano in carica appena tre governatrici, dal 2023 il 25% degli Stati avrà alla sua guida una donna (quattro repubblicane e otto democratiche).
L’unica costante rispetto agli scenari sempre più nuovi dal punto di vista della diversificazione della classe politica sembra invece quella anagrafica: il Congresso che si scioglierà a fine anno sarà infatti ricordato come quello dell’età media più alta della storia, 61,7 anni contro i 59,2 del Congresso eletto, con 107 membri over 70. Non è un caso che Joe Biden sia il primo presidente della storia ad aver festeggiato i suoi ottant’anni alla Casa Bianca e, salvo sorprese, sarà il primo over 80 a partecipare a una campagna elettorale per la corsa alla presidenza.
Le nuove linee programmatiche e i nuovi posizionamenti interni del Partito democratico, che ha portato in Congresso il primo deputato della generazione Z, Maxwell Frost, attivista classe 1997 eletto in Florida, sembrano assecondare le pressioni di chi chiede una rappresentanza sempre più affine alla base elettorale. Anche in questa tornata elettorale i democratici devono difatti molto del loro successo ai giovani e all’elettorato femminile, anche per l’eco del dibattito sull’aborto dopo la clamorosa sentenza della Corte Suprema di fine giugno.
Con la rinuncia di Nancy Pelosi e del suo storico vice e coetaneo, il deputato del Maryland Steny Hoyer, che ha sempre assunto la carica di leader di maggioranza quando Pelosi diventava, con maggioranze democratiche, la speaker della Camera, si è aperta a tutti gli effetti una nuova era: per la prima volta in due secoli di storia non ci sarà alla Camera nessun uomo bianco tra le tre cariche al vertice del partito.
Il 30 novembre, al posto di Nancy Pelosi, è stato nominato per acclamazione Hakeem Jeffries, cinquantaduenne afroamericano nato a Crown Heights, nel cuore di Brooklyn, con un passato da avvocato aziendale. Entrato per la prima volta in Congresso nelle elezioni della seconda vittoria presidenziale di Barack Obama, ha sempre rappresentato l’ottavo distretto dello Stato di New York, che oggi copre alcune delle aree del suo borough di origine a netta maggioranza afroamericana e caraibica. Jeffries è il più giovane e il primo afroamericano della storia democratica a ricoprire la carica di Minority Leader e nel 2024, se dovesse esserci un cambio di maggioranza alla Camera, quella di speaker.
Come vice è stata nominata in un clima di massima unità una donna, la cinquantanovenne avvocata Katherine Clark, originaria del Connecticut, che ha esercitato la professione forense in Illinois e Colorado prima di trasferirsi in Massachusetts, dove la sua attività politica ha preso avvio dall’inizio degli anni Duemila. Assistant Speaker dal 2021 a oggi, la nuova House Minority Whip è stata eletta per la prima volta alla Camera nel dicembre del 2013 e da allora rappresenta il quinto distretto dello Stato che include i sobborghi nord-occidentali di Boston.
Completa il trio della nuova leadership democratica del secondo ramo del Congresso il quarantatreenne Pete Aguilar, rappresentante dal 2015 del 31esimo distretto della California, dove è nato (a Fontana) da una famiglia di origini messicane. Già sindaco di Redlands, sempre nella sua Contea di San Bernardino, nel 2021 aveva sostituito proprio Clark come vicepresidente del caucus democratico alla Camera e oggi subentra allo stesso Hakeem Jeffries diventandone presidente, il ruolo più importante mai ricoperto da un politico ispanico tra le fila democratiche.
In una transizione sospesa tra continuità e cambiamento, dopo la rinuncia a correre per la nomina di Democratic Whip, diventerà vice di Jeffries un’altra delle figure più esperte e influenti della Camera, l’ottantaduenne afroamericano del South Carolina Jim Clyburn. Il suo endorsement a Joe Biden, sconfitto nelle prime tre primarie del 2020 in Iowa, Nevada e New Hampshire, è considerato l’elemento chiave della rimonta dell’attuale presidente nella corsa all’ultima nomination democratica, a partire dalla decisiva vittoria in South Carolina.
Sono passati tre anni e nonostante la sorprendente performance del voto di midterm, la leadership del presidente sembra uno dei nodi più spinosi in un partito che cerca disperatamente un restyling in una direzione più “fresh”, per usare le parole di Pelosi, oltre che più giovane e femminile. Secondo l’ultimo sondaggio del 9 dicembre a cura di Cnbc All-America Economic Survey, il 59% degli elettori democratici è contrario alla ricandidatura di Joe Biden (il 70%, contando anche repubblicani, indipendenti e indecisi) e la principale ragione indicata dagli intervistati è proprio quella dell’età.
Secondo l’ultimo sondaggio del 9 dicembre a cura di Cnbc All-America Economic Survey, il 59% degli elettori democratici è contrario alla ricandidatura di Joe Biden e la principale ragione indicata dagli intervistati è proprio quella dell’età
Kamala Harris, prima vicepresidente donna della storia, dal canto suo, in questi primi due anni vissuti a fianco di Joe Biden, non è riuscita a fare meglio, godendo di un tasso di popolarità simile, attorno al 40%. Al momento la sua riconferma non è stata annunciata, anzi appare tutt’altro che scontata e priva di ostacoli una sua eventuale corsa alla nomination presidenziale se nei prossimi mesi Joe Biden dovesse decidere di rinunciare, anche perché, secondo i primi rumour, tornerebbero a correre alle primarie nel 2024 anche l’attuale Segretario ai Trasporti Pete Buttigieg, il redivivo Bernie Sanders e le senatrici Amy Klobuchar ed Elizabeth Warren. Nella rosa dei leader “statali” che hanno conquistato popolarità e notorietà i riflettori sono puntati sui governatori J. B. Pritzker (Illinois), Gavin Newsom (California), Phil Murphy (New Jersey), Roy Cooper (North Carolina) e su Gretchen Whitmer, riconfermata in Michigan, che rappresenta il volto più “pop” a livello nazionale tra le governatrici, insieme, per ovvi motivi simbolici, alle prime due governatrici lesbiche della storia degli Stati Uniti, Maura Healey (Massachusetts) e Tina Kotek (Oregon).
In ambito progressista non sembrano ancora maturi i tempi per una corsa alle primarie per la trentatreenne Alexandria Ocasio-Cortez, riconfermata con un plebiscito al 14esimo distretto dello Stato di New York, né per uno dei componenti, anche loro vittoriosi alle elezioni di midterm, della corrente progressista The Squad: Ilhan Omar (Minnesota), Ayanna Pressley (Massachusetts), Rashida Tlaib (Michigan), Jamaal Bowman (New York), Cori Bush (Missouri), cui dovrebbero aggregarsi da gennaio i neo-eletti Greg Casar (Texas) e Summer Lee (Pennsylvania).
La più giovane deputata entrata in Congresso – prima dell’elezione di Frost di novembre – ha commentato il nuovo corso post-Pelosi come “un’inversione di rotta” (usando il termine sea change), “che avrà profonde ripercussioni, nonostante i principi fondamentali restino gli stessi”, invitando la nuova leadership del partito a una “maggiore indipendenza da grandi donatori e grandi gruppi economici”. Per dare un’idea del salto generazionale ha ricordato che quando Nancy Pelosi è diventata per la prima volta speaker alla Camera, nel 2007, lei non era ancora diplomata.
Mancano quattordici mesi alle presidenziali democratiche, che con la modifica proposta da Joe Biden – formalmente per dare voce fin da subito agli elettori afroamericani nel processo decisionale – potrebbero partire proprio dal South Carolina e non più dall’Iowa. Ma anche in caso di ricandidatura dell’attuale presidente gli scenari sono tutt’altro che prevedibili.
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