Recentemente si è assistito all’ennesima falsa partenza della riforma fiscale del centrodestra. La terza in 15 anni. La prima volta, va riconosciuto, non era colpa del governo: nell’estate 1994, il già allora ministro Tremonti, subito dopo la vittoria elettorale del centro-destra, aveva iniziato a lavorare alla riforma fiscale. Ma nel dicembre 1994, dopo solo sei mesi circa dal suo insediamento, il governo cadeva e i progetti riformisti del ministro passavano alla cronaca come Libro Bianco allegato al «Il Sole-24 Ore» (19.12.1994). Nel 2001, subito dopo avere riconquistato la maggioranza, il governo Berlusconi ci riprova. Presenta subito un disegno di legge delega che prevede, tra l’altro, due sole aliquote Irpef (23 % per la stragrande maggioranza dei contribuenti e 33 % per i redditi sopra i centomila euro) e la progressiva abolizione dell’Irap. Il d.d.l. viene approvato nel 2003 e la delega viene attuata solo in parte. Si riforma l’imposta societaria, o meglio si cambia la riforma societaria fatta dal precedente governo, e si inizia a intervenire sull’Irpef. Ma le aliquote non vengono ridotte a due, come prometteva anche (al primo punto) il contratto con gli italiani firmato da Berlusconi alla vigilia delle elezioni 2001.
Con il nuovo annuncio di Berlusconi, inizialmente confermato anche da Tremonti e da tutta la maggioranza compatta, si riesumano gli slogan del passato, incluso il Libro Bianco del 1994, che prontamente (!) appare nel sito del Ministero: ossia le due aliquote Irpef del 23 e 33 % e l’abolizione dell’Irap. Ma poi si fa subito retromarcia. Si sa, a questo governo piace scherzare!
Peccato che le imposte siano una cosa molto seria e il rischio vero è che, esaurito l’effetto annuncio, ora il tema della «riforma fiscale» venga abbandonato. Precisiamo. E’ un bene se viene abbandonato il tema della «riforma fiscale» come mero sinonimo di generalizzata «riduzione delle tasse». Piacerebbe a tutti, maggioranza e opposizione. Ma la spesa pubblica continua a crescere a tassi elevati e non sembra essere sotto controllo. Tende ad aumentare più del Pil, mentre le entrate tendono spontaneamente a calare più del Pil. Nell’attuale contesto occorre indubbiamente cautela, per non peggiorare ulteriormente i conti pubblici.
Rinviata a tempi migliori la riduzione generalizzata delle imposte, vi sono però altri obiettivi da perseguire e provvedimenti di cui in molti hanno bisogno.
La prima e prioritaria esigenza è la riduzione del fiscal gap ossia del divario fra le imposte effettivamente incassate e ciò che dovrebbe invece essere pagato dai contribuenti, stando ai principi normativi. L’evasione, in primo luogo, ma anche l’elusione e l’erosione delle imposte concorrono a determinare questo divario, che in Italia è particolarmente ampio rispetto ad altri paesi. Ciò consentirebbe di ripartire meglio il carico tributario, riducendo la pressione che attualmente è troppo concentrata sui soli contribuenti onesti e su quelli che non godono di una qualche possibilità di scappatoia o di agevolazione.
Sono poi necessari interventi di manutenzione più o meno consistenti dei vari tributi, in modo da semplificarne gli adempimenti, dando anche maggiore certezza del diritto ai contribuenti, razionalizzarne la struttura e migliorarne l’impatto economico, in termini di equità ed efficienza. Qualche esempio: mettere ordine all’Irpef e soprattutto nel ginepraio di deduzioni, detrazioni e agevolazioni che i vari governi che si sono succeduti hanno contribuito ad alimentare, concentrando gli interventi in modo da favorire i redditi più bassi e le famiglie più numerose; portare a termine la riforma della tassazione delle rendite finanziarie, che è rimasta a metà del guado; mettere ordine nella tassazione immobiliare, e così via.
Infine, nell’ottica di attuazione del federalismo fiscale, occorre individuare i tributi in grado di attribuire autonomia, ma al contempo responsabilizzare, gli enti decentrati nello svolgimento delle loro funzioni. E vero che vi è una commissione insediata e che vi è ancora un anno di tempo per l’esercizio delle deleghe in materia, ma il tempo passa in fretta e non è facile trovare adeguati tributi locali (soprattutto se si ritiene di non poter reintrodurre una forma di tassazione patrimoniale sulla prima casa, come l’Ici, e se si vuole, in prospettiva, abolire l’Irap).
L’auspicio è che l’ennesimo rinvio alla riduzione delle imposte, da parte del governo, non si traduca anche nel rinvio di riforme come queste, che possono essere fatte senza aggravare i conti pubblici e per le quali, dunque, non vi sono alibi.
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