L’energia nucleare ha molte facce: la bellezza della fisica, la tecnologia civile, il potere militare, le anomalie della dinamica economica che da tale potere sono seguite; il tutto comprensibile solo sulla scala storica. Il progetto nucleare italiano deve essere discusso in questo contesto generale. I parametri del giudizio di tipo politico, fra quali forze si vuole mediare, o di tipo economico, per chi possa essere appetibile, sono insufficienti. Se vogliamo evitare di diventare vittime di decisioni stolte, è dunque necessario raggiungere una visione un po’ più profonda della realtà.

Esiste un profondo legame fra scienza e tecnica. Sono espressioni del linguaggio dell’uomo che devono essere viste storicamente. Prendiamo arbitrariamente come punto di partenza il terzo secolo avanti Cristo. Il pensiero di Archimede è ben definito, espresso nel linguaggio rigoroso della matematica, comprensibile allora come oggi. La comprensibilità non ambigua della matematica è il veicolo della progressività della conoscenza scientifica ed è limitato a poche persone dedite allo studio invece che alla lotta per la competizione materiale. Al tempo di Archimede si forgiavano spade, si ferravano cavalli e si andava per mare; si usavano dunque invenzioni anche ottenute progressivamente. Tuttavia, è sensato e utile distinguere concettualmente i due tipi di invenzione. Distinzione utile ma in nessun modo assiomatica. Scienza e tecnologia si intersecano continuamente e il bello sta proprio nell’unirle e separarle con capacità critica. Certamente i costruttori di navi a vela fenici, greci, romani anticipavano la fluidodinamica che, come scienza formale, nasce fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo; poi la teoria formale ha aperto la strada alla fisica del plasma, il gas ionizzato, e abbiamo incominciato a capire le stelle senza dover entrarci dentro. Il riscaldamento dei corpi solidi esposti ai raggi del sole era noto, ma per aumentare la temperatura occorrono gli specchi convergenti di Archimede, appunto; lo scienziato fa un’invenzione che diventa tecnica, utile allora come oggi. Capire l’elettrodinamica quantistica è per pochi, accendere la lampadina è un gesto che sanno fare tutti. È un male questa incomunicabilità all’interno della specie umana perché essa è portatrice di macroscopici squilibri e sciagure. La conoscenza scientifica è bella e sempre si rinnova, lo strumento invecchia insieme agli uomini che l’hanno usato per il bene e per il male.

L’uomo che si dedicava all’arte, alla filosofia, alla matematica, come viveva nel passato? La sua sostentazione dipendeva da un tiranno, da un principe, da un papa o era egli stesso un aristocratico, e dunque dipendeva dalla ricchezza della sua famiglia dotata di potere nella società, oppure era un monaco appartenente a un ordine religioso potente. Insomma il pensiero è per pochi e la collettività coltiva questi pochi come fenomeno marginale. Li coltiva bene o male?

Conoscenza e opportunità. La conoscenza scientifica è un canovaccio che avanza sempre con un processo di correzione degli errori, basato sull’esperimento e appunto sul rigore del linguaggio, che a sua volta si articola e si allarga lentamente.

Le collettività umane distinte per lingua, insediamenti geografici, istituzioni consolidate oppure mutevoli, si comportano al proprio interno e nelle interazioni con altre collettività non secondo la logica, ma principalmente seguendo spinte o motivazioni create dalla percezione di opportunità; in particolare, più sono pressanti tali percezioni più rapide e meno pensate sono le decisioni. Le opportunità a loro volta sono originate dall’occasionale accesso a strumenti tecnologici che in un certo momento offrono il vantaggio di un gruppo rispetto un altro.

Napoleone pensa di avere un margine di vantaggio tecnologico sulle armate dello Zar e invade la Russia. I banchieri pensano che Napoleone, come sempre, abbia ragione e lo finanziano. La meditazione del progetto dura pochi mesi; poi l’impresa va male. Si avvantaggiano a posteriori pochi uomini, non però secondo il progetto iniziale, ma cogliendo altre opportunità, che le sciagure sempre portano con sé.

Hitler pensa di avere una superiorità militare sull’Unione Sovietica e che sia giunto il momento di usarla per ottenere l’apertura di un immenso mercato continentale verso l’oriente. I banchieri occidentali lo finanziano. La meditazione dura pochi mesi e l’impresa va male. Si avvantaggiano a posteriori altri uomini e anche in questo caso con le opportunità che si creano dopo una strage.

Queste osservazioni dovrebbero insegnare che non esiste un legame fra la conoscenza e le azioni collettive. Tale legame esiste invece per il singolo: è ciò che chiamiamo apprendimento, è ciò che avviene a ogni bambino e bambina, poi continua nell’adolescenza, poi nell’età adulta, fino alla morte. All’interno di ogni individuo opera la macchina del cervello che funziona bene e impara bene, o funziona male e impara male; i modi di imparare collettivi non funzionano così, la componente stocastica è maggiore. L’intelligenza dell’individuo altro non può fare che stare attaccata allo sviluppo del singolo. All’opposto, cosa sia l’intelligenza collettiva è un concetto fluido, forse inesistente. È impressionante scoprire attraverso lo studio della storia quale fosse il comportamento dell’aristocrazia francese nell’imminenza della rivoluzione, incapace di percepire la vicinanza della ghigliottina fino al momento degli ultimi passi sul palco del patibolo. Identica meditazione si può fare sull’aristocrazia russa, sulle gerarchie fasciste e naziste negli ultimi giorni, o nelle ultime ore, prima della fine. L’opportunità, quando appare, è stocastica e la fine dell’opportunità è anche stocastica.

Connesse a tali strutture collettive della specie umana si attorcigliano le vicende della élite pensante, la quale si trova talora ben alimentata, talora, all’opposto, trascurata o ostacolata.

Nel passaggio dal tempo delle monarchie assolute al tempo delle famiglie industriali, nasce il concetto di brevetto, o riconoscimento della proprietà intellettuale. Il punto di partenza è nobile: quell’uomo con il suo talento ha inventato una cosa utile, quella cosa viene sfruttata, crea denaro; ebbene l’inventore per il suo talento e per lo sforzo messo nell’invenzione deve essere remunerato. Lo Stato deve essere garante di tale atto di giustizia. Molto bello. Questo non c’era al tempo delle monarchie assolute. Mozart era un genio? Sì. Sarà dunque protetto dalle cure di un monarca o di un alto prelato. E così per ogni manifestazione del genio. Molto prima di Mozart c’è un altro esempio interessantissimo. Colombo è un genio della navigazione, sa come arrivare in Cina andando verso occidente, sembra strano agli ignoranti, ma i colti sono tutti d’accordo che è un’idea ottima. La Regina Isabella è la prima a capirlo, finanzia Colombo, il quale chiede ovviamente delle ricompense. La storia delle ricompense a Colombo è contorta. Oggi i discendenti di Cristoforo Colombo sono marchesi e stanno bene. Era la Cina o non era la Cina, in ogni caso la Regina Isabella ha tratto dal viaggio di Colombo un privilegio tale da modificare la storia dell’assetto delle monarchie europee. Meno note sono le spedizioni di audaci esploratori nel Congo finanziate dal re Leopoldo I del Belgio. E così si possono raccontare tanti altri esempi classici sul tema dell’inventività del singolo e le conseguenze sulla società.

La fisica nucleare nasce nei primi quarant’anni del Novecento nelle università europee, come estensione del dominio della meccanica quantistica dopo i successi nella fisica atomica e molecolare. Gli attori sono quel piccolo gruppo di fisici europei i cui nomi appaiono oggi nei testi di fisica, essendo legati a esperimenti cruciali e formulazioni teoriche altrettanto cruciali, ulteriori esperimenti, ulteriori geniali formulazioni teoriche.

Il gruppo di Fermi a Roma ottiene nel 1936 il brevetto per la descrizione teorica e la realizzazione sperimentale dell’interazione neutrone-nucleo. Questo è uno dei passi cruciali, forse il più importante, fra quelli che aprirono la porta a tutta la susseguente tecnologia nucleare sia dei reattori che delle bombe. Il brevetto è quella cosa che acquista appetibilità opportunistica se va nelle mani di chi sa imporlo sugli altri Paesi. Il brevetto italiano non conta niente e Fermi, coi suoi collaboratori italiani Rasetti, Amaldi, Segré, Pontecorvo, chiede l’estensione del brevetto all’area degli Stati Uniti nel 1953.

Il risultato è esemplare e sta a insegnamento futuro. Il legislatore americano stabilisce che gli autori italiani avranno un premio di consolazione (ventimila dollari a testa), ma che la pretesa debba fermarsi lì. L’energia nucleare appartiene allo Stato americano. Cosa vuol dire che una scoperta scientifica appartiene a uno Stato e non a tutta l’umanità? La risposta a questa domanda precede di otto anni la richiesta di Fermi e dei suoi collaboratori, è chiarissima e viene data il 6 agosto 1945 con il lancio della bomba atomica sulla città di Hiroshima. La decisione è presa da Truman in ventuno giorni, tanti ne passano fra Alamogordo (la città dove ebbe luogo il test atomico prima del lancio in Giappone) e Hiroshima, battendo di gran lunga in velocità Napoleone e Hitler. L’era nucleare della specie umana nasce lì, con quell’atto che definisce il concetto di opportunismo nucleare e segna anche, di conseguenza, l’inizio della nuova era del concetto di proprietà intellettuale.

 

Il brevetto dopo il 1945. Truman crede di essere il signore del mondo, di avere la scienza e la tecnologia ai suoi piedi, perché non sa che il pensiero e l’inventività sono tutta un’altra cosa. Infatti, come previsto dai fisici occidentali, in breve tempo i russi arrivano agli stessi risultati. Il possesso del potere tecnologico si divide in due blocchi che si temono e si sorvegliano a vicenda. Dopo pochi decenni, si aggiunge un terzo blocco, la Cina. Le radici del pensiero scientifico in oriente sono antiche e basta poco per farle rifiorire nei canali della ricerca avanzata. Altre nazioni sono tenute sotto controllo o sotto sorveglianza. Un ruolo speciale di ribelle dotato di una certa autonomia lo gioca la Francia, la quale porta avanti una propria storia di industria nucleare militare e civile. Come fanno i tre imperi a mantenere il controllo del potere e allo stesso tempo mantenere in vita la creatività dei propri cittadini di talento? È difficile, infatti, per un giovane di genio andare a lavorare in una istituzione statale o privata dove il primo giorno gli viene fatto firmare un documento in cui si dice che rinuncia a rivalersi su ogni scoperta che farà, se essa avrà «interesse nazionale». Chi decide su questo interesse? Prima di tutto il pensare si articola nel libero dialogo con altri uomini dovunque essi siano e nel libero dialogo con la Natura, non con gli interessi della nazione. Non ho mai incontrato un matematico che si arrovellasse su un calcolo o un teorema per nazionalismo. Poi l’ambizione competitiva è una sana e potente motivazione per l’impegno e la disciplina dello studio. La vera creatività rifiuta i finti lacci. La strategia è quella di dare incentivi con stipendi e privilegi e per far questo si incontra un problema: chi li paga tali privilegi? È necessario creare una dinamica di produzione tecnologica che venga posta in opera sul mercato e faccia entrare denaro. Parte di questo denaro (una piccola parte, invero) verrà usata per i sopradetti incentivi. Per questo si favoriscono strutture industriali opportune, amiche e interagenti con le strategie dello Stato.

La conseguenza di questa dinamica è evidente: gradualmente scompare l’interscambio creativo di intelligenza e di mercato basato sull’operare di individui liberi, sostituiti da individui protetti da una gigantesca produzione centralizzata che si esprime con una organizzazione della ricerca anche centralizzata, statale o privata, cioè nelle mani di grandi corporazioni. La corporazione viene successivamente dotata di stato giuridico di «individuo». Si definisce in tal modo un individuo mastodontico dotato di eccezionali poteri ma svincolato dai doveri.

Questo è l’equilibrio dinamico fra invenzione e potere esistente al presente. Siamo ben lontani dai monarchi che ospitavano Leonardo da Vinci.

La radice di tutta questa dinamica è sempre l’opportunismo. Consideriamo il mix petrolio-nucleare per vari Paesi. Le risorse petrolifere possono essere situate sul territorio nazionale, o in colonie o ex colonie, o in Paesi nemici ovvero amici nella storia recente. Diversi Paesi possono essere venditori, autosufficienti, o compratori. Le risorse uranifere sono geograficamente distribuite in modo diverso da quelle petrolifere e quindi la mappa di abbondanza, sufficienza, dipendenza nucleare è diversa dalla mappa del petrolio. Il petrolio viaggia per nave o oleodotto, l’uranio viaggia in un modo molto più complicato. L’arricchimento dell’uranio naturale è un processo costoso che parte nel 1943-45 dalle mani dei militari, in Germania, Stati Uniti e Unione Sovietica. Proprio per il suo costo elevato tale processo abortisce in Germania e funziona in America, col progetto Manhattan, anticipando leggermente l’Unione Sovietica. Nel Dopoguerra l’industria di arricchimento resta ovviamente in mani militari, e il canale civile è mantenuto aperto con un complicato sistema di equilibri di rete dove i fili da una parte sono tesi dai produttori delle bombe, e dall’altra parte dai flussi dei soldi provenienti dal canale elettronucleare civile. Vari Paesi entrano in questa rete in modi diversissimi a causa di diverse vocazioni rispetto al mix militare-civile. Per esempio, Belgio e Francia hanno risorse uranifere rispettivamente nel Congo Belga e nel Gabon, la Francia ha vocazione militare, il Belgio no, e quindi si posizionano nella rete di cui sopra in modi diversi. Le competenze e i relativi brevetti, a loro volta legati alle strategie per difenderli, hanno anche storie diversissime. Tutte queste considerazioni alla fine ci permettono di capire il perché delle distribuzioni percentuali petrolio/uranio nei consumi dei vari Paesi, che a prima vista sembrano essere prive di senso.

La conclusione di queste osservazioni è che tali movimenti di interessi oggi operano su scala globale; i tre imperi sono in interazione, si sorvegliano, si interdicono, si alleano seguendo strategie opportunistiche su scale del tempo brevi, tanto più brevi quanto più forti sono le pressioni in gioco.

Che fine ha fatto il discorso su scienza e tecnica? La scienza sovrana ha accettato il ruolo di obbedienza ai dettati delle corporazioni, che sono la reincarnazione del principe, del papa, del monastero?

 

I costi del nucleare italiano. L’Italia è quasi completamente esclusa dalla dinamica nucleare dell’impero americano. Non ha potere decisionale all’interno dell’impero e non ha, a partire dal 1945, i canali dei soldi investiti nella tecnologia e i relativi canali di ritorno del denaro. Negli affari nucleari per l’Italia esiste solo il canale che va sotto la voce «da pagare».

Tutto ciò che serve a costruire una centrale nucleare - escluse talune costruzioni accessorie non coperte dai vincoli dei trattati internazionali - lo si deve comprare da altri Paesi. A centrale costruita, il rifornimento del combustibile fa parte di una complessa gestione internazionale nella quale l’Italia non è protagonista, il che implica altre spese indirizzate all’estero. Tutto ciò che riguarderà la gestione delle centrali dismesse dovrà infine essere pagato come spesa senza nessun beneficio, questo essendo il destino finale. La bolletta dell’energia elettrica prodotta nell’intervallo di tempo di funzionamento attivo (quarant’anni circa, o meno per le centrali mal costruite, o più per le centrali aggiornate successivamente), gli utenti italiani dovranno pagarla a quell’ente che avrà un nome e un indirizzo bancario, che sarà gestito in modi dettati dall’opportunità politica, e per la maggior parte saranno soldi indirizzati all’estero. I cittadini dovranno pagare per i servizi di distribuzione, controllo, sorveglianza tecnica e burocratica, insomma tutti quei servizi che sono connaturati a una prestazione centralizzata del tipo «da uno a molti». Quando l’erogazione di energia sarà in atto gli uomini che hanno guadagnato nella fase della costruzione non ci saranno più, o spariti per vecchiaia o gaudenti altrove. Infatti nel discutere di tali bilanci di dare e avere si devono fare i conti su tempi lunghi. Ed è bene che siano tempi lunghi; non vorremmo certo che un progetto nucleare venisse iniziato oggi sotto l’impulso di opportunità momentanee e abbandonato, per il proseguimento, in mano a incerte condizioni politiche ed economiche per i prossimi cinquant’anni. Chi garantisce la messa in atto di tale catena di assunzioni di responsabilità? Consideriamo la fase gestionale alla quale soggiaceranno i cittadini pagatori, per esempio, venti anni dopo l’inizio del programma nucleare e così via, per altri decenni, fino alla fase terminale quando la centrale elettronucleare dovrà essere dismessa per vecchiaia. Se furono fatti degli errori di progetto e di esecuzione prima, o di gestione dopo, i futuri cittadini verseranno soldi in altri enti recettori, ma non producendo un movimento benefico di cura e di apprendimento onde non ripetere errori nel futuro. Impara chi ha fatto, non impara chi si è limitato a comprare. Dunque all’interno dell’Italia i cittadini si terranno gli inconvenienti senza neanche capire che morale trarne. Infine, nel caso di incidenti gravi, alcuni di loro pagheranno per sempre.

Tutti questi soldi, dal progetto alla dismissione, escono dunque dall’Italia. In conclusione, i cittadini che pagheranno la bolletta della luce elettronucleare dove troveranno i soldi? Esistono economisti in grado di fare previsioni su tali eventi che si svolgeranno in un intervallo di tempo futuro di una cinquantina di anni?

Resta da capire perché taluni giornali enfatizzino il tema della convenienza del programma nucleare italiano. Evidentemente sono in atto pressioni del denaro operante su scala internazionale, non dichiarate. Non si tratta certo di pressioni dovute ai nostrani produttori di brevetti e macchinari nucleari; essi non esistono. La nascita dell’industria nucleare italiana è stata annullata al tempo del processo Ippolito (1963-64). Saggiamente Edoardo Amaldi ha pilotato la ricerca italiana nella direzione delle alte energie, nella fisica della materia e nel rivelatore di onde gravitazionali, grandi domini della scienza in cui l’Italia è eccellente. Non è stato nelle nostre università che si è continuato a lavorare sulla progettazione di frontiera dei reattori, per esempio l’idea del reattore subcritico che risale a Fermi ed è stata portata avanti a Los Alamos. Non è stato nelle nostre industrie che ci si è specializzati nella fusione dei mastodontici pentoloni pressurizzati contenenti il nocciolo del reattore (questa tecnologia è stata sviluppata in Giappone), o i tubi per vapore d’acqua ad alta temperatura e pressione che devono portare flussi di centinaia di megawatt al metro quadro. La tradizione italiana di ingegneria delle grandi turbine idrauliche che veniva dal tempo della produzione idroelettrica, o delle turbine a vapore per le navi, è stata in piccola parte implicata in talune centrali nucleari europee, ma ha subìto l’effetto del rallentamento generalizzato nella costruzione di centrali nucleari che è in atto. Infine, non è in fabbriche italiane che si sono sviluppate le tecniche di arricchimento dell’uranio naturale, e questo per motivi di grande strategia politica imposta dall’America all’Italia, Paese nemico nella Seconda guerra mondiale. (La parola «alleati» usata in Italia per indicare gli americani non è mai stata usata negli Stati Uniti per indicare gli italiani).

Parliamo di previsioni. I meteorologi sono bravi se sanno fare previsioni che valgano per la prossima settimana. I climatologi sono bravi se sanno fare previsioni che valgano per il prossimo anno, o un po’ di più se si riferiscono ai grandi movimenti oceanici. Gli economisti hanno capacità predittive quando tutto va bene, ma notoriamente falliscono nelle previsioni dell’andamento dei movimenti di denaro nelle Borse oppure nei movimenti del denaro implicanti nell’intervento delle decisioni dei parlamenti. I movimenti del primo tipo sfuggono al controllo palese e possono essere fulminei, ore, giorni. I movimenti soggetti al dibattito politico implicano input decisionali e relative strategie programmatiche sulla scala del tempo di mesi o pochi anni. Analisi e previsioni economiche su tempi di decenni sono accademiche e vanificate dal succedersi delle fluttuazioni politiche. Basta pensare al ripetersi degli errori nelle previsioni che gli economisti fanno sul prezzo del barile di petrolio per capirlo.

Ciò premesso, chi può asserire di essere in grado di valutare se sarà o no in pareggio (contributo al Pil non negativo) il programma nucleare italiano, che deve essere soppesato per il prossimo cinquantennio? Le osservazioni che precedono sono dunque utilizzabili per elaborare delle probabilità. Ebbene, appare assai poco probabile che il programma nucleare italiano mediato sui prossimi cinquanta anni possa produrre ricchezza. Appare assai probabile che tale programma generi povertà. Quasi certamente produrrà interessanti guadagni alle corporazioni industriali che ci venderanno i loro prodotti brevettati.

Dal punto di vista puramente economico il programma nucleare italiano implica un asservimento crescente alla dinamica di Paesi stranieri. Dipendenza economica che ovviamente implica dipendenza politica. Questo tipo di asservimento è notorio. La Russia per il gas naturale, l’America per la ben più complessa rete di rifornimento dell’uranio. Dipendere da padroni conflittuali è un male assoluto perché implica equilibrismi multipli e paralisi della progettualità interna alla nostra nazione. Esistono veramente benefici strabilianti tali da giustificare il volontario sottoporsi a crescenti asservimenti? Chi parla di nucleare si rende conto di tali implicazioni?

I benefici del nucleare italiano. Dopo quanto detto nel paragrafo precedente, il titolo di questo paragrafo è polemico. Ma c’è gente che continua a parlare della necessità di energia di qualsivoglia tipo, incluso il nucleare. Alle conferenze sul programma nucleare compare il dotto professore, presentato con l’appellativo di «massimo esperto dei problemi energetici e nucleari» il quale esordisce presentando le tabelle con i valori del Pil per varie nazioni associati ai valori del consumo energetico annuale per tali nazioni. Si vede che alto consumo è associato ad alto Pil e in questa classifica il campione è l’America, che quindi è la nazione più virtuosa di tutte. La presentazione non regge ad una analisi seria, ma è importantissima perché esprime un’ansia ancestrale che spinge l’uomo al possesso. Poi, alla virtù del consumo, si associa lo spettro del global warming; in conclusione si richiede il consenso sull’adozione del programma nucleare.

All’Escorial è mostrata la poltrona dove sedeva Filippo II da vecchio e c’è anche uno sgabello: il re era malato di gotta, curato dai suoi medici con terapie a base di eccellente vino e, poiché egli era uomo virtuoso, la sua camera da letto aveva una finestra che dava non sulla valle esterna, ma direttamente sulla navata della chiesa, cuore dell’Escorial stesso. Era uomo ricco? Sì. Mangiava tantissimo? Sì. Era l’incarnazione della virtù? Sì. Virtù ereditata dal padre imperatore Carlo V, e questo è un modo eccellente di essere virtuoso. Ma millecinquecento anni prima, a Roma, un uomo venuto dal nulla, però geniale, diventa ricchissimo: è Trimalcione. Alla sua cena descritta da Petronio, Trimalcione esibisce portate di cibo strabilianti, dai resti del suo piatto vengono alimentati decine di servi e anche i poveri che aspettano fuori, poi Trimalcione assistito dai suoi medici vomita e continua la cena, e l’ammirazione degli ospiti è sconfinata. Ecco la fondazione del moderno modo di esprimere il pensiero del povero che guarda e ammira il ricco. I resti del banchetto anche per me. Il banchettare e l’esibire soldi sono simboli classici della virtù. La versione semi-scientifica di questi simboli è costituita dalle tabelle Pil-consumo. Non importa che all’interno di ciascun Paese ci siano discrepanze e instabilità; importa che qualcuno stia bene. Inoltre la virtù deve essere protetta dai felloni, ladri, terroristi, insomma dall’antivirtù. La villa di Trimalcione è tutta recintata, l’Escorial è una fortezza; la supremazia del Pil di una nazione si esplicita nelle dimensioni degli armamenti che vengono periodicamente modernizzati ed esibiti. Ma c’è un terrorista subdolo: è il global warming, entra nelle case del privilegio con l’aria esterna e colpisce dappertutto.

Ecco i due capisaldi dei filonucleari, le tabelle del Pil e della CO2. Da qui nasce il valore eccezionale dell’energia nucleare che vanifica tutte le incertezze e le critiche dei dubbiosi. La logica filonucleare è semplice, emotiva, superficiale. In una giornata estiva di intenso traffico di automobili, tir, traghetti, aerei, la potenza di picco in atto in Italia può essere di 2 terawatt (mega sta per un milione, giga è uguale a mille mega, tera è uguale a mille giga). Il progetto di cui si parla è di 5 o 10 centrali elettronucleari, ossia una decina di gigawatt. Quindi il picco della goduria consumista è di circa duecento volte superiore alla potenza nucleare futuribile.

L’ospite scettico alla cena di Trimalcione si chiede se ciò che vede ha senso. Ebbene, è come se alla grande cena si offrisse come complemento delle portate di interi cinghiali arrosto una flebo di vitamine.

Si potrebbe infine osservare che il programma nucleare non è il sostituto del petrolio ma serve come educazione e preparazione al futuro post-fossile. Ma l’umanità che vivrà nel futuro post-fossile dovrà avere idee molto chiare sul concetto di efficienza di un sistema complesso e l’iniezione di energia con il nucleare, essendo il sistema più inefficiente che esista, non è un buon punto di partenza.

A proposito di ignoranza. La fisica nucleare è affascinante per il fisico, è argomento arcano per le persone di formazione umanistica, è terreno totalmente ignoto agli uomini che per professione si dedicano alla politica. Questo non sarebbe un gran male se la scienza e la tecnologia, non solo quella nucleare, fossero patrimonio dell’umanità. Ma non è così. Le invenzioni della tecnologia sono usate da uomini che non sanno come sono nate né che conseguenze avranno, ma sanno benissimo come fare a impadronirsene per vantaggio proprio escludendo gli altri. L’uso può avvenire in tempi brevissimi, se l’opportunità è percepita e l’attuabilità è matura. È questa percezione di opportunità che viene gestita con propositi di potere e con modalità e tempi in cui prevale il caso, non secondo un progetto del pensiero. Sono questi propositi e modi le radici dei conflitti che accompagnano la storia della specie umana. Tutto l’opposto della scienza patrimonio dell’umanità.

Non c’è solo la scienza usata male, c’è anche la scienza ignorata. Per esempio la fisica e la biologia stanno compiendo progressi congiunti nel capire il sistema complesso «ecosfera». È scienza ignorata perché è vista come dottrina di limiti, non come sorgente di regali, quei regali che furono i giacimenti di petrolio e di minerali uraniferi e i relativi canali di movimentazione del denaro. Naturalmente sono canali che diedero all’inizio la sensazione della bonanza. Gioia temporanea. All’opposto lo studio del sistema complesso ecosfera ci permette di capire come funziona la dinamica naturale che è perenne, dove perenne sta per tempi dell’ordine di grandezza del miliardo di anni. Di fronte a questi problemi così affascinanti come si fa a rivolgere il pensiero su proposte che sono congetture presumibilmente valide per pochi decenni? Che triste senso di ammuffito danno i discorsi sui reattori elettronucleari.

In conclusione, dunque, il programma elettronucleare può essere visto in questi due modi: a) come procrastinazione dell’andamento consumista presente; b) come ponte verso il futuro non alimentato da energia fossile.

a) Nel primo caso il programma è inadeguato per i seguenti motivi: è insufficiente come quantità; è inadatto come tipo di prestazione essendo poco flessibile, mentre il modello consumista è proprio basato sulla richiesta variabile; infine, è inadatto perché caratterizzato da tecnologia complessa e costosa, anche se non particolarmente raffinata, laddove la prima proprietà del modello consumista è l’accesso facile e relativamente semplice.

b) Nel secondo caso il programma è inadeguato perché lega il progetto a un rifornimento rigido, dato che le risorse uranifere sono localizzate e non uniformemente distribuite e i processi di preparazione del combustibile sono accentrati e governati in maniera intrinsecamente legata alle strategie militari su larga scala, che contengono prevaricazioni e ritorsioni, vicende nelle quali l’Italia ha ruolo di osservatore passivo. Quindi il progetto sposa una partecipazione italiana a interazioni internazionali di alto rischio.

 

Transizione o estinzione. Consideriamo un animale onnivoro allo zoo, alimentato solo con croccantini, al massimo di due marche diverse. Posto in libertà muore. Se l’animale è un orso di millecinquecento chili prima di morire fa disastri. Gli zoologi conoscono esempi di specie viventi che si sono trovate ad affrontare modifiche nel loro modo di alimentazione. Specie vegetali per le quali sono cambiate le condizioni di flusso di acqua, di anidride carbonica e di fotoni; specie erbivore per le quali sono cambiate le condizioni ambientali della distribuzione spaziale e temporale delle piante; specie carnivore che similmente hanno dovuto fronteggiare cambiamenti della dinamica delle specie predate. Di fronte a tali cambiamenti si sono estinte o si sono modificate. La differenza fra le due alternative peraltro non è netta e fa discutere gli zoologi da sempre.

La storia della specie umana non riceve molto aiuto dal paragone con le vicende delle altre specie perché incorpora una caratteristica peculiare, cioè l’intervento autoprodotto degli strumenti tecnologici. Nella storia della specie umana non ha senso ragionare considerando una data del passato e ripartire da lì come se fosse la condizione iniziale modificabile in un problema deterministico. Il corso della storia è stocastico e irripetibile e non simulabile. Tuttavia è possibile cercare di imparare dagli errori del passato. Arte non certo praticata dai politici il cui ruolo è quello di rappresentare la stocasticità, come vediamo giorno dopo giorno nella comunicazione democratica. Imparare dal passato sarebbe essenziale per togliersi di dosso gli errori di uno sviluppo drogato dall’accesso alle risorse fossili. Imparare dagli errori appartiene all’individuo nell’intervallo di tempo della propria vita. Non appartiene alla collettività. L’interscambio fra gli individui che imparano e la società che compie un percorso con modalità stocastiche, rispondendo alle continue sollecitazioni della tecnica, è in gran parte misterioso. L’economista Adam Smith aveva una visione utopica, la mano invisibile che guida la specie umana nelle sue estrinsecazioni motivate dal denaro. Però Smith viveva in un periodo in cui l’interazione denaro-Natura era prevalentemente di tipo solare, dove le merci prodotte e i traffici erano connaturati alla catena trofica della biosfera. La trasformazione della specie umana dalla fase di società operosa alla fase di società parassita delle risorse fossili è posteriore e l’insegnamento degli economisti classici non è sensatamente applicabile al presente.

Il dilemma transizione o estinzione resta aperto.

 

La luce del sole: alternative e futuro

La fisica e la biologia hanno fatto molti progressi nella comprensione dell’interazione Sole-Terra. Poiché questa interazione contiene al suo interno la vita dell’uomo è comprensibile che il percorso scientifico, soprattutto in biologia, sia stato accidentato e inquinato dall’intervento di dogmi e ideologie tutte comprensibili se si segue il fluire degli eventi storici, ma in ogni caso portatrici di ostacoli.

L’ultima ideologia dominante è che il flusso dell’energia solare sia un dono della Natura all’uomo. Questo è un frutto del teocentrismo accoppiato al tecnocentrismo. Le proposte di fare centrali fotovoltaiche o eoliche che raccolgano potenze dell’ordine del terawatt vengono da questa matrice.

La specie umana è una delle tante componenti della biosfera, e la biosfera interagisce con la sfera inorganica. L’insieme è potente e armonico se visto su una scala di spazio e tempo appropriata. In questo modo si capisce che la specie umana non è destinata a sottomettere ciò che la circonda se è destinata a esistere, dato che esistere vuol dire coesistere.

La Terra è un pianeta portatore di vita fotosintetica, non per arbitrio divino ma in ubbidienza a fenomeni che possono realizzarsi in condizioni opportune di stazionarietà di concentrazioni chimiche, di campi gravitazionali, di flussi di particelle, e tali condizioni potrebbero ripetersi altrove nell’universo. La scienza contemporanea si sta aprendo verso questi orizzonti della conoscenza che inducono a umiltà verso l’ignoto. L’arroganza che fa credere l’uomo onnipotente e immortale è proprio la cosa più stupida che possa essere proposta nel tempo presente, in cui le sciagure dello sviluppo illimitato sono sempre più evidenti.

Abbiamo osservato che i progetti nucleari non sembrano dare indicazioni sul futuro post-fossile. In generale è bene non fidarsi di chi fa dichiarazioni semplificate sul futuro, perché la realtà è complessa. Tuttavia complesso non vuol dire inconoscibile. Il linguaggio della fisica e della biologia ha già raggiunto notevoli progressi nella comprensione dei sistemi complessi; però è solo un inizio e c’è tanto da fare in questa direzione.

Ogni uomo intelligente, quando osserva le stelle oltre l’orizzonte terrestre, capisce intuitivamente il concetto di finitezza congiunta ad assenza di confini. Verrà il passaggio da intuizione del singolo a conoscenza del patrimonio dell’umanità?

Conclusione. Il futuro dell’umanità dovrà essere non più come specie infestante ma come specie coesistente. A tal fine la comprensione della dinamica della ecosfera, che oggi è al livello di un concetto nascente, dovrà diventare conoscenza avanzata. La potenza additiva dovrà venire da reti fluido-elettriche e da reti fotochimiche. La combustione, caso particolare dei processi termochimici, dovrà essere limitata e integrata nel processo generale del funzionamento della catena trofica. Incominciamo a insegnare tutto ciò all’università.

(Questo articolo è stato pubblicato sul n. 6/2008)