Incentrato, nei primi quattro capitoli, sulla storia del pensiero economico, dalla scuola neoclassica fino agli anni recenti del Nuovo Consenso, il libro di Francesco Saraceno (La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia, Luiss University Press, 2018) ha, anzitutto, il grande merito di rendere chiaro ai lettori come l’avvicendarsi delle diverse scuole di pensiero abbia influenzato fortemente le decisioni politichedegli ultimi due secoli e plasmato il ruolo che il settore pubblico ha svolto nell’economia.
L’autore, attraverso un'esposizione cronologica, vuole scandagliare – e lo fa con estrema efficacia – le cause di ascesa, declino, ma anche a volte “reviviscenza”, delle scuole di pensiero con l’obiettivo ultimo di evidenziare che «nessuna teoria economica è esatta senza se e senza ma». Questa consapevolezza dovrebbe «insegnare ai nostri economisti e soprattutto ai responsabili politici le virtù dell’umiltà e del pragmatismo» e che, quindi, l’economia non è una scienza inutile se si riesce ad imparare dagli errori del passato.
Quali sono le cause dell’ascesa e del declino delle scuole di pensiero? Alcune sono sia di ordine teorico sia di ordine, potremmo dire, squisitamente politico. È il caso, ad esempio, del paradigma economico che fa riferimento agli economisti classici: Smith, Ricardo e Marx. Con riferimento a questi giganti del pensiero economico, Francesco Saraceno inizia un excursus storico evidenziando che, oltre ai problemi teorici interni (risolti con i lavori di Sraffa un secolo dopo nel 1960), «si aggiunsero evoluzioni politiche che erano in contraddizione con l’impianto concettuale proprio degli economisti classici. Le tensioni sociali che avevano iniziato a scuotere l’Europa dalla fine delle guerre napoleoniche suffragavano l’idea che la lotta di classe fosse inerente a qualunque processo economico. L’abbandono del concetto di classe sociale, in favore di una nuova teoria incentrata su individui mossi dal loro personale interesse rispondeva a questo bisogno». In questo contesto emerge, dunque, la teoria neoclassica per la quale agenti rappresentativi e perfettamente razionali – sia essi imprese o consumatori – massimizzano una propria funzione-obiettivo e portano equilibrio ed efficienza del sistema economico. Unico compito della politica è per i neoclassici un buon disegno istituzionale (realizzando ad esempio riforme strutturali) che può permettere agli agenti razionali di agire liberamente al fine di raggiungere l’efficienza nel sistema economico.
Sono, invece, le sfide empiriche a mettere in crisi la supremazia intellettuale dei paradigmi economici – anche quello neoclassico quindi – che, dopo la scuola degli economisti classici, si sono avvicendati man mano. Ad esempio – come ben sintetizzato dall’autore in una tavola riassuntiva alla fine del libro – la crisi del 1929 mette alla prova la teoria neoclassica, la stagflazione degli anni Settanta mette in crisi la teoria keynesiana (punto cardine di riferimento nell’attivismo della politica macroeconomica e del ruolo dello Stato dell’economia nel precedente trentennio glorioso), gli effetti reali delle contrazioni monetarie degli anni Ottanta mettono in discussione i paradigmi monetarista, delle aspettative razionali e dei cicli reali, ed infine la crisi del 2008 mette in crisi il paradigma del Nuovo Consenso e la convinzione che le economie di mercato possono svilupparsi – e reagire alle crisi – facendo a meno di un ruolo attivo dello Stato.
Francesco Saraceno – si badi bene – non è però uno storico del pensiero economico, ma un macroeconomista anomalo, nel senso che crede fortemente che la storia del pensiero economico costituisca il migliore ausilio per comprendere i problemi economici di oggi e al contempo studiarne e proporne le soluzioni. Sicché, soprattutto nei due capitoli finali, l’autore, con tutto il suo bagaglio di conoscenze, affronta e discute in maniera rigorosa (ma con un linguaggio anche per i “non-economisti”) il tema delle crisi finanziaria mondiale e la questione del presente e del futuro dell’Europa. Quest’ultimo tema è anche l’ambito di ricerca principale di Francesco Saraceno. Con riferimento a tali questioni, Saraceno mette in guardia il lettore dalla fallacia della trappola della verità del paradigma economico dominante (il Nuovo Consenso) che ha plasmato non solo il disegno delle Istituzioni europee ma ha fornito risposte sbagliate alla crisi, soprattutto in Europa. Francesco Saraceno presenta tali questioni riprendendo gli studi più recenti nella ricerca accademica che mettono in dubbio il dogma del Nuovo Consenso per cui i mercati, se sufficientemente liberalizzati, sono capaci di assorbire gli shock in un tempo ragionevolmente breve senza ricorrere all’intervento pubblico. E tra questi studi, anche quelle dell’Oecd e del Fmi, definite dall’autore «ex-roccaforti del Consenso».
Per concludere il testo è particolarmente interessante perché, ripercorrendo teorie e fatti, fa emergere in maniera netta che, allorquando storicamente le crisi economiche si presentano con tutto il loro portato di drammaticità, assistiamo ad una rinascita del ruolo preminente della politica fiscale come strumento di regolazione macroeconomica. Infine, teorie e fatti sono anche interconnessi dall’autore con l’utilizzo di focus tematici (ad esempio Trump e Macron, il Patto di Stabilità, il fiscal compact, etc.) che se da una parte permettono all’autore di esprimere opinioni personali al riguardo, hanno anche il vantaggio di rendere chiaro ai lettori l’intreccio tra idee economiche e idee politiche. Sicché emerge il messaggio di questo libro: economia e politica non si possono separare. Un messaggio che però è anche la premessa di questo lavoro. Saraceno lo dichiara, infatti, sin da subito nelle pagine iniziali dedicate ai ringraziamenti: «nel momento in cui questo libro va in stampa, i miei pensieri vanno al nonno Pasquale, che tanti anni fa ha instillato in un adolescente manicheo la passione per l’economia, per la politica e la consapevolezza dell’inevitabile complessità della loro compenetrazione».
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