Il tempo delle riforme. Quella che si appresta a terminare, a Cuba, è stata un’estate piena di anniversari: alcuni celebrati (in maniera più o meno altisonante) e altri passati sotto un silenzio assordante. Ai primi si ascrivono sicuramente i compleanni di Fidel Castro e di suo fratello Raúl. Benché in sordina, sembrano iniziate anche le celebrazioni del ventennale dell’implosione dell’Unione Sovietica. Lo scorso agosto, infatti, il governo cubano ha stipulato un contratto miliardario con il colosso energetico russo Gazprom: un modo certamente inusuale di rievocare la fine di un modello economico che L’Avana ancor oggi intende riscattare. Nessun fasto e nessun festeggiamento, invece, ha ricordato il passaggio dei poteri del líder maximo nelle mani del fratello Raúl, avvenuto cinque anni or sono. Un passaggio che proprio in questi giorni ha iniziato ad assumere, almeno all’apparenza, i tratti di un cambiamento.

All’inizio dello scorso agosto le riforme economiche – annunciate a più riprese sin dal 2007 – sono giunte all’attenzione del dibattito parlamentare, dopo aver ottenuto il consenso del Congresso del Partito comunista cubano, convocato per l’occasione dopo quattordici anni. Al di là del numero esorbitante delle proposte (circa 300), tutte sembrano animate da un duplice obbiettivo: diminuire il ruolo dello Stato nell’economia e aumentare quello dei privati. Alcune misure tendono a rendere più flessibile la compravendita delle case (nella speranza di porre fine al diffusissimo fenomeno del «se permuta») e delle automobili; altre accelerano il processo della consegna delle terre pubbliche poco sfruttate ai singoli cittadini; altre ancora intervengono pesantemente sul pubblico impiego al fine di tagliarne una percentuale compresa tra il 10% e il 39%; vi sono, infine, misure che promuovono la creazione di una quantità di lavori autonomi tale da riuscire ad assorbire i licenziamenti del settore pubblico. Riforme interessanti senza ombra di dubbio ma che lasciano irrisolto uno dei nodi problematici dell’economia cubana, il razionamento dei beni di consumo. Ad una maggiore possibilità di creare ricchezza non corrisponde, insomma, una eguale libertà di spenderla. L’azione di Raúl, però, non si è limitata all’ambito economico; ve ne sono altri in cui si è imposto un cambiamento di rotta. Uno di questi è sicuramente l’istruzione. Il progetto educativo cubano, infatti, appare orientato dall’obiettivo di diminuire il numero dei giovani laureati ed aumentare quello dei lavoratori specializzati (carenti sull’isola).

Raúl Castro, poi, ha sensibilmente migliorato l’immagine del paese all’estero grazie, in primis, ad un ammorbidimento delle relazioni con gli Stati Uniti: Washington, infatti, ha posto fine al divieto di comunicazione tra i cittadini statunitensi e Cuba consentendo l’invio delle rimesse familiari e rendendo possibile i viaggi sull’isola. Raúl è riuscito a riavvicinarsi anche alla Chiesa cattolica, intervenuta a più riprese in favore della liberazione dei prigionieri politici. Ed è proprio la questione della repressione dell’opposizione al regime che nel passaggio Fidel-Raúl non ha subito alcun mutamento, nonostante non mancassero le speranze di cambiamento. A riprova di ciò, proprio negli ultimi giorni di agosto, c’è stata una nuova ondata di arresti e di repressioni.

Benché, insomma, siano evidenti alcuni tratti di discontinuità con la gestione di Fidel, il regime cubano sembra essere ancora refrattario alle riforme strutturali. Decadono, dunque, i paralleli con il percorso di trasformazioni intrapreso dalla Cina dal 1978 oppure con quello messo in moto dal Partito rivoluzionario istituzionale nel Messico postrivoluzionario. O meglio, più che decadere si scontrano con l’immobilismo di un regime la cui la retorica del cambiamento e dell’ammodernamento dello Stato cammina di pari passo con la lentezza e, per certi aspetti, l’inadeguatezza di ogni proposta di riforma. Alle speranze di apertura generate dal ritiro a vita privata di Fidel, per ora, sono seguite soltanto iniziative politiche opache che hanno timidamente inciso sulla realtà cubana.