Le due detenute che fanno da guida al gruppetto dei visitatori, sempre affiancate dalle agenti penitenziarie, si fermano nell’ampio piazzale carcerario e mostrano le linee gialle sul selciato, ormai un po’ sbiadite, tracciate per delimitare l’atterraggio dell’elicottero di papa Francesco, il quale è stato qui in visita lo scorso 28 aprile. Un’emozione unica per le recluse, stando a ciò che raccontano con pudore misto a gioia, prima in italiano e quindi in un buon inglese. Ci troviamo a Venezia, nella Casa di reclusione femminile dell’isola della Giudecca, dove vivono una novantina di ospiti, fra le quali oltre la metà non sono di cittadinanza italiana, sorvegliate nei vari turni da altrettante poliziotte in gran parte giovani.
Siamo a poche decine di metri dal Canale che guarda alle Zattere e al bacino di San Marco, eppure relativamente lontano dal turismo sempre più invasivo nella Serenissima divenuta Inquietissima, che neanche la tassa d’ingresso varata di recente sembra mettere al riparo dallo snaturamento dell’identità lagunare. Un’identità che almeno alla Giudecca è ancora “leggibile” nelle abitazioni non tutte trasformate in B&B e nelle relazioni sociali del tessuto urbanistico di residue botteghe artigiane, di comitati di quartiere/sestiere, di locande tradizionali a prezzi non impossibili e di istituzioni culturali come la Fondazione Archivio Luigi Nono nell’ex convento dei Santi Cosma e Damiano o l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser) nel complesso di Villa Hériot.
Su uno dei muri campeggia una scritta, “Siamo con voi nella notte”, una frase che proviene dai turbolenti anni Settanta, quando fu vergata a spray su un muro di fronte ai finestroni del carcere di Firenze
Diretto da Mariagrazia Bregoli, il carcere occupa la struttura cinquecentesca dell’ex convento delle Convertite, con annessa la chiesa di Santa Maria Maddalena, e fino al prossimo 24 novembre ospiterà il padiglione della Santa Sede alla Biennale. Come sempre, infatti, l’esposizione di arte contemporanea prevede una serie di sedi nazionali disseminate in città, oltre ai nuclei principali ai Giardini e nell’Arsenale. Su uno dei muri che delimitano il cortile campeggia una scritta al neon bianca su fondo blu, “Siamo con voi nella notte”, una frase che proviene dai turbolenti anni Settanta, quando fu vergata a spray su un muro di fronte ai finestroni del carcere di Firenze in cui erano stati tradotti dei giovani militanti di estrema sinistra. Uno slogan rincuorante tornato in auge nel periodo della pandemia. È un’opera del duo parigino-palermitano Claire Fontaine (Fulvia Carnevale e James Thornhill) cui si deve anche l’installazione che dà il titolo all’intera Biennale Arte 2024 curata dal brasiliano Adriano Pedrosa, Stranieri ovunque: due parole essenziali e quanto mai attuali mentre si moltiplicano i muri xenofobi dall’Europa all’America, al Medioriente. Due parole riprodotte nei sessanta neon colorati in altrettante lingue che sono sospesi nello spazio delle Gaggiandre, i bacini di carenaggio coperti dell’Arsenale. Di certo è straniero a se stesso, almeno per un’ora, chi partecipa a tali visite in carcere, giocoforza lasciando all’ingresso il telefonino e ogni altro apparecchio elettronico. Motivi di sicurezza, ovviamente, che danno corpo a un’esperienza inconsueta: dover ascoltare, guardare, vivere con i propri sensi, senza filtri tecnologici che mettano illusoriamente al riparo dall’impatto e oltre l’inevitabile voyeurismo che costituisce la nostra cifra quotidiana, ovvero l’orizzonte in cui siamo iscritti più o meno consapevolmente.
Con i miei occhi s’intitola, non a caso, il percorso del padiglione Vaticano curato da Chiara Parisi e Bruno Racine, concepito sotto l’egida del commissario pontificio, il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e raffinato letterato portoghese, che ci accompagna nella visita alla Giudecca all’indomani di un confronto pubblico con il presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco. L’incontro è stato organizzato dall’Ente dello Spettacolo diretto da monsignor Davide Milani durante l’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica, e in quell’occasione Tolentino de Mendonça ha parlato di “conversione dello sguardo”, di sfida ai pregiudizi e di difesa dei diritti degli ultimi che stanno a cuore al pontificato di Francesco. Fa fede, è il caso di dire, il grande murale Father di Maurizio Cattelan sulla facciata esterna della Maddalena, dunque l’unica opera fotografabile del Padiglione: due giganteschi piedi stanchi, sporchi, lacerati, con rimandi iconografici al Cristo morto di Mantegna e alla Madonna dei Pellegrini di Caravaggio.
Con i miei occhi include inoltre lavori e installazioni di Bintou Dembélé, di Sonia Gomes e di Claire Tabouret, che allinea i ritratti delle detenute da bambine o dei loro affetti infantili. Ecco ancora le “lastre parlanti” della siriana Simone Fattal, che istoria su lava smaltata i pensieri e i versi delle ospiti dell’istituto di pena. Per non parlare dei coloratissimi quadri di Corita Kent, alias Sister Mary Corita, l’ex suora di Los Angeles che nel fatidico 1968 lasciò la vita consacrata in polemica con le correnti anti-conciliari della Chiesa californiana, divenendo da lì a poco un’esponente di primo piano della Pop Art.
Fa fede il grande murale Father di Maurizio Cattelan sulla facciata esterna della Maddalena: due giganteschi piedi stanchi sporchi lacerati, con rimandi iconografici al Cristo morto di Mantegna e alla Madonna dei Pellegrini di Caravaggio
C’è infine una saletta adibita ai colloqui in cui viene proiettato il cortometraggio Dovecote (Colombaia), realizzato da Marco Perego, artista-regista italiano a Hollywood, con protagonista sua moglie Zoe Saldana, superstar di origini caraibiche, già nel cast di Avatar o della saga di Star Trek e premiata a Cannes nei mesi scorsi per Emilia Pérez di Audiard, un’attrice assai impegnata nelle battaglie antirazziste. Tra gli interpreti di Dovecote vi sono Marcello Fonte (Dogman di Garrone) e soprattutto le detenute stesse, il cui viaggio verso la libertà è davvero toccante nella dialettica tra “dentro” e “fuori”.
Anche se il momento più forte dell’intera visita è la sosta dinanzi “alla nostra finestra preferita”, come la definiscono le due guide, ossia l’unica finestra senza sbarre che in un gabbiotto di passaggio dell’istituto di pena si affaccia sull’orto dove si coltivano gli ortaggi biologici, venduti ai giudecchini su un banchetto esterno ogni giovedì. È un riquadro quasi metafisico sul verde, un’occasione per pensare, ricordare, sognare o per contemplare, il verbo che serba pur sempre nell’etimo il “templum”, un momento sacro perduto e ritrovato in carcere.
La visita è possibile ogni giorno dalle 9 alle 15, fino al 24 novembre, su prenotazione al numero di telefono 06.39967444; a metà novembre sono in programma tre giorni di visite guidate a cura del quotidiano “Avvenire”.
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