Non capita spesso a un ricercatore di trovare qualcosa che sia in grado di trasformare per anni la propria vita professionale. Né, specificatamente, di rinvenire materiale che ci faccia cambiare radicalmente la percezione e la storia di un luogo sul quale è stato già scritto molto. Eppure questo sta accadendo nelle ultime settimane, da quando cioè l’Archivio di Stato della provincia del Dodecaneso ha acquisito l’intero archivio della polizia politica di Mussolini, ovvero del Gruppo Carabinieri Reali – Ufficio Centrale Speciale. L’archivio, che per 70 anni è stato ospitato in un locale della polizia greca, dal 25 novembre è stato trasportato presso gli Archivi di Stato sotto la supervisione della sua direttrice, Eirini Toliou, e di chi scrive. Tre sono le domande che interesseranno il lettore e alle quali risponderò subito. Cosa contiene l’archivio, perché è così importante e, infine, perché le istituzioni italiane non se ne sono interessate. Cominciamo dalla fine, spiegando brevemente cosa c’entrano i Carabinieri con Rodi, il Dodecaneso e la Grecia. Il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarava guerra alla Turchia, attaccandola in Libia, che allora era parte dell’impero ottomano. Nel corso del conflitto la Regia marina occupò alcune isole di fronte alla costa anatolica già appartenute ai Cavalieri di Rodi (poi di Malta) e conquistate dagli ottomani nel XVI secolo. Alla fine della guerra, nel 1912, gli italiani non lasciarono il possedimento e con la pace di Losanna del 1923 ebbero infine riconosciuta la piena sovranità sulle isole, che sono oggi note come Dodecaneso e che noi chiamammo “Possedimento italiano dell’Egeo”. I Carabinieri inviati a gestire l’ordine pubblico dipendevano dal comando di Bari, anche se da un punto di vista amministrativo le isole erano autonome. Complessivamente, l’Italia vi restò 35 anni e abbandonò le isole nel 1947, con la firma della pace di Parigi che per noi concluse anche formalmente la seconda guerra mondiale. Quel possedimento fu perso a favore della Grecia e tra le altre cose (partenza degli italiani che vi abitavano), fummo costretti a lasciare ad Atene tutti gli archivi. Velocemente, la Nuova Italia preferì nascondere i profughi e dimenticare il passato. Ciò premesso, passiamo alle altre due domande, legate tra loro. Cosa contiene l’archivio e perché è così importante. Fino ad oggi gli studiosi che si sono occupati del Possedimento italiano dell’Egeo hanno potuto studiare all’archivio degli Esteri a Roma (quasi tutti) e in quello di Stato greco qui a Rodi (pochi temerari, tra cui si è distinto un ormai dottore di ricerca dell’università di Teramo, Luca Pignataro, autore di una monumentale storia del Dodecaneso). L’archivio locale, quello dove tutti hanno studiato, contiene circa 500 fascicoli per anno (dunque un totale di 20.000 fascicoli) con notizie – le più diverse – riguardanti l’amministrazione italiana: dalla costruzione di strade e impianti fognari ai rapporti con le minoranze religiose, dalle linee di navigazione alla gestione delle foreste, dai permessi di lavoro fino agli scambi commerciali con la Turchia e alle baruffe con l’irredentismo greco. Ci sono, inoltre, moltissimi documenti sul lavoro dei governatori, Mario Lago fino al 1936 e il quadrumviro e fondatore del fascismo Cesare Maria de Vecchi conte di Val Cismon fino al 1940 (durante la guerra si alternarono due militari). Ebbene, tutte le storie della presenza italiana nel Dodecaneso scritte fino ad oggi parlano di una politica ordinata e una gestione della cosa pubblica esemplare: gli italiani costruirono case, stadi, ospedali, aeroporti e porti, e addirittura nuovi insediamenti. Bonificarono il territorio e lo misero in sicurezza. Portarono lavoro e svilupparono il turismo e, a dire, il vero introdussero anche tasse fino ad allora sconosciute. Insomma, il giudizio è complessivamente positivo, al punto che la politica nel Possedimento viene nettamente distinta dal colonialismo (conquista della Libia e dell’Eritrea). Oggi, però, quelle storie, scritte con passione ma purtroppo, e lo si scopre ora, limitate ad un solo aspetto, quello più evidente e macro, si possono quasi mettere da parte. L’archivio della polizia politica, infatti, contiene circa 90.000 fascicoli (dei veri dossier) con informazioni di ogni genere riguardanti altrettanti cittadini (italiani, greci, turchi, ebrei ma anche stranieri come tedeschi, inglesi ecc.) che vivevano a Rodi e nelle altre isole, dove la popolazione totale non superò mai quota 130.000. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a uno Stato di polizia che ricorda la Germania Est più che la Svezia, e il film “La storia degli altri”, che forse molti lettori ricorderanno. Accanto ai lavori pubblici, insomma, gli italiani misero sotto stretto controllo gran parte della popolazione (escludendo i bambini, direi tutta) in un incessante e quotidiano lavoro di raccolta di dati più o meno sensibili, pronti ad essere usati alla prima necessità. Una dittatura oscura e strisciante, occhiuta e vigile.
L’archivio dovrà ora essere inventariato (ci vorranno almeno due anni, dipende dalle forze che saremo in grado di mettere in campo) e quindi, finalmente, aperto agli studiosi. Nel frattempo, una università americana si è offerta di digitalizzarlo. E L’Italia ufficiale? Tace. Come accennato, ha preferito dimenticare quella storia e oggi neanche sa di quei dossier.
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