In questi mesi ci si è concentrati spesso sull’anomalia incarnata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, leader double-face di due governi quasi completamente opposti, almeno nella loro composizione partitica. Partito come notaio di un’alleanza giallo-verde sopra la quale volteggiavano minacciosi «cigni neri» (cioè, ipotesi di una più o meno strisciante Italexit), l’«avvocato del popolo» si è ritrovato alla guida di un’alleanza di centrosinistra moderatamente europeista, che oggi si è fatta interprete di un’ulteriore spinta al processo di integrazione sovranazionale. Si tratta sicuramente di un unicum nella storia italiana e probabilmente, per modalità e rapidità, anche in prospettiva comparata.

Ma la vera (nuova) anomalia del sistema politico italiano oggi non sta tanto – o soltanto – nel Giano Bifronte che si trova a Palazzo Chigi, bensì nella condizione dell’opposizione italiana. Per cogliere a fondo la natura di questa anomalia, è utile dare un’occhiata ai dati riportati nella Figura 1, in cui sono indicate le posizioni dei partiti di governo e dei partiti di opposizione in uno spazio politico costruito attorno a due dimensioni: la classica scala sinistra-destra e l’atteggiamento favorevole o contrario al processo di integrazione europea. Come si può notare, fino al 2008 il governo e le opposizioni erano in competizione fra loro, innescando anche periodiche (meglio: frenetiche) alternanze, ma restando sempre all’interno di una comune condivisione dei princìpi, dei valori e anche dei vincoli europei.

A cominciare dal 2013, questo equilibrio di sistema si è rotto, con l’ingresso o il rafforzamento di due partiti (M5s e Lega) che possiamo definire «anti-sistema», se con questo termine intendiamo descrivere non soltanto quelle forze politiche che non accettano fino in fondo le regole del gioco liberaldemocratico o magari si propongono di superarle, ma che rigettano i patti e i vincoli derivanti dall’adesione degli Stati-membri all’Unione europea. Il tutto, peraltro, condito da una martellante e tecnologicamente sofisticata retorica populista.

L’apoteosi di questo incontro anti-sistema è arrivata con la formazione del Conte 1, ma il risveglio dalle elezioni europee ha spezzato l’incantesimo (o l’esperimento) bi-populista: mentre il Dibba descamisado era impegnato a scrivere il suo guevarista Diario in Iran, il M5s in doppiopetto di Conte e Di Maio perdeva gran parte della sua retorica anti-sistema partecipando al grande valzer delle nomine europee, a cominciare dal sostegno a Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Però, scomparsa o fortemente attenuata un’anomalia, ne è rimasta in piedi un’altra, forse ancora più importante: l’esistenza di un’opposizione trainata da forze euroscettiche, a cavallo tra un nazionalismo di ritorno e un sovranismo di rilancio. 

Anche in questo caso, per comprendere la rilevanza di questa anomalia italiana è utile gettare uno sguardo a cosa succede negli altri Paesi dell’Unione europea (tra i quali ho incluso, un po’ per nostalgia e un po’ per comodità comparativa, il fuoriuscito Regno Unito). Come mostrano i dati dalla Figura 2, l’Italia è oggi l’unico Paese dell’Ue nel quale il governo in carica si trova a confrontarsi con un’opposizione prevalentemente euroscettica. Un primato tutto italiano. Fanno eccezione, ma in condizioni completamente diverse, i casi di Polonia, Ungheria e – appunto – Regno Unito, dove sono in carica governi euroscettici, tendenzialmente sovranisti e, specificamente per i due Paesi dell’Europa dell’Est, non proprio cultori – per dirla con un understatement – della democrazia liberale. 

Quali conseguenze potrà avere, dunque, questa condizione dell’opposizione sul sistema politico italiano? Almeno sul breve periodo, finché l’opposizione di centrodestra (o destracentro) non avrà riconquistato un po’ della sua credibilità sia sul piano europeo che su quello internazionale (tra cui rientrano le liaisons dangereuses con la Russia e le simpatie altrettanto pericolose verso Stati o leader illiberali), il governo del bis-Conte può dormire sonni relativamente tranquilli, al di là delle misure che il post-pandemia renderà necessarie.

Sul medio-lungo periodo, invece, il rischio per il sistema politico italiano è di fare un balzo indietro alla casella di partenza, quando la democrazia italiana era bloccata dalla conventio ad excludendum contro i comunisti, il sistema dei partiti era polarizzato e il polo di destra era ugualmente considerato «escluso» dalle dinamiche di collaborazione tra i partiti. Ovviamente, non è detto che lo stesso schema si ripresenti tale e quale, anche perché – come ha notato qualche settimana fa Angelo Panebianco sul «Corriere della Sera»– al tempo dei partiti personali basta un cambio alla guida per spostare il baricentro e la collocazione dell’intero partito. Ma il rischio esiste e non va trascurato.

Resta, infine, da capire da dove deriva l’anomalia dell’opposizione italiana prigioniera di partiti euroscettici e quanto essa sia strutturale o congiunturale. Anche in questo caso, pesano sia elementi contingenti sia fattori più radicati che, in parte, derivano soprattutto dallo sfarinamento della Dc. Un vuoto che inizialmente, sul centro-destra, è stato colmato da Berlusconi, il cui tasso di europeismo è spesso variato qual piuma al vento e solo oggi, per motivazioni più tattiche che ideologiche, sembra essersi assestato (quando, però, Forza Italia non va oltre l’8% nelle intenzioni di voto). Successivamente, e in maniera rocambolesca, è stato il M5s a risucchiare le istanze degli elettori «di centro» (che non è affatto sinonimo di moderati), in una miscela di rabbia antipolitica, vitalismo antiestablishment e una modica e incerta dose di antieuropeismo. Con il centro – politico e sociale – così occupato dal M5s, alle principali forze di centrodestra non rimaneva che radicalizzarsi, buttandosi ancora più a destra e ancora più contro l’Europa, in una perfetta logica centrifuga.

Ma le posizioni assunte in particolare da Lega e Fratelli d’Italia, soprattutto sul tema europeo, quanto sono rappresentative di quella parte dell’opinione pubblica italiana che si colloca sul centro-destra? Questa è la domanda cruciale per capire se l’euroscetticismo dell’attuale opposizione sia destinata a perdurare nel tempo. E dai dati riportati nella Figura 3, derivanti da un sondaggio condotto su scala europea dopo le elezioni del 26 maggio 2019, si può vedere come in Italia tra gli elettori di centro e di destra sia prevalente un atteggiamento non antieuropeista, ma favorevole ad un ulteriore approfondimento del processo di integrazione europea. All’incirca il 35-40% dell’elettorato italiano si trova in questa situazione di centrodestra tiepido, se non apertamente favorevole, nei confronti dell’Ue. 

Fino ad oggi, questa parte di elettorato ha trovato più convincenti le proposte e le soluzioni politiche elaborate da Lega e FdI, anche per motivazioni legate alle rispettive leadership. Ma nulla vieta che, in un prossimo futuro, possa emergere una nuova/diversa formazione politica in grado di intercettare le preferenze e i voti di quella parte di elettorato di centro-destra che, soprattutto sulla dimensione europea, non si sente adeguatamente rappresentata dai partiti attuali. E potrebbe essere quella la fine – o almeno l’inizio della fine – di una delle tante anomalie italiane.