Ancora una volta le donne sono chiamate a indignarsi per la mancanza di rispetto di cui sono oggetto sistematicamente, e per l’umiliazione che patiscono per il modo in cui sono rappresentate: corpi da usare, vendere, comprare, con o senza il proprio consenso. È giusto, non se ne può fare a meno. Anch’io ho firmato uno dei tanti appelli alla mobilitazione. Eppure devo confessare un crescente disagio.
Non solo per il senso di profonda umiliazione con cui leggo i quotidiani aggiornamenti sull’ennesimo scandalo sessuale in cui è coinvolto il premier, per l’immagine che dà di chi ci governa, ma anche per la disponibilità e l’avidità di uomini e donne da cui Berlusconi è circondato, padrone e insieme prigioniero. E neppure solo per la difficoltà in cui mi trovo a spiegare ai miei amici e colleghi stranieri come sia possibile non tanto che un premier vada a puttane, ma che tutto sommato la maggior parte degli italiani non ritenga che il modo, per così dire, eccessivo in cui lo fa è forse segno di una personalità disturbata e quindi inadatta a governare e comunque rischioso per la sicurezza e il buon nome del Paese.
Giustamente nel caso Marazzo si disse subito che una persona esposta a rischio di ricatti non poteva ricandidarsi a governare la regione Lazio. E il sindaco di Bologna Del Bono ha dovuto lasciare per aver utilizzato risorse pubbliche per la sua amante. Nulla di tutto ciò quando di mezzo c’è Berlusconi, che pure ha fatto ampio uso di risorse pubbliche - non solo private – per compiacere le sue beniamine del momento (o liberarsene quando non gli piacciono più, come suggerisce Nicole Minetti): scorte impegnate in servizi impropri, e soprattutto cariche pubbliche regalate.
Tutto questo mi indigna, certo: contro Berlusconi e contro chi lo sostiene. Ma anche contro chi si indigna per questo scandalo, per il sentore di lenocinio e prostituzione a vantaggio dell’“utilizzatore finale”, ma anche proprio, che emana. Ma si indigna molto meno, con molta minore enfasi e drammaticità, di fronte a un ministro della Giustizia che dichiara che il compito della schiera di ministri e sottosegretari di cui è composto questo governo ha il dovere non di pensare ed elaborare linee di intervento, collaborando alla definizione di un programma di governo in un contesto. Ma, semplicemente, di “aiutare Berlusconi a governare”.
Questa visione del “governo del principe” mi sembra ben più grave e preoccupante per la nostra democrazia dei siparietti dell'onorevole Santanché. Neppure la compravendita dei voti – è o non è anche questa una forma di prostituzione? – suscita lo stesso scandalo e la stessa morbosa attenzione sulla vita e le frequentazioni dei protagonisti della compravendita di corpi. Eppure, dal punto di vista politico e dello stato in cui versa la nostra democrazia, mi sembra un fenomeno infinitamente più grave. E i “venduti” portano nei confronti di noi cittadini sicuramente una responsabilità più grande delle giovani che abitano all’Olgettina.
Neppure ci si indigna, e tanto meno ci si preoccupa, per il chiaro ricatto che i vertici della Chiesa cattolica stanno mettendo in opera nei confronti di Berlusconi, cercando di trarre il massimo possibile dalla minaccia di una scomunica morale, senza tuttavia tirare troppo la corda. L’assunto che quello di Berlusconi è il governo più amico della Chiesa cattolica che ci sia mai stato dovrebbe fare venire i brividi non solo ai non cattolici, ma anche e soprattutto ai cattolici: non tanto per il comportamento privato di Berlusconi, ma per la doppia morale con cui la Chiesa giudica amici e nemici, potenti e deboli (si pensi agli insegnanti di religione licenziati in tronco se convivono senza essere sposati). E per lo scambio sulla pelle della libertà dei cittadini che questo comporta.
Soprattutto, ciò che mi mette a disagio in questi appelli che mi invitano a indignarmi in quanto donna, è l’assunto che sia solo l’uso disinvolto del corpo delle donne a insultare queste ultime. Invece no. Come hanno scritto Irene Tinaglia su «La Stampa» qualche giorno fa e Laura Balbo su Sbilanciamoci.info, siamo insultate e umiliate quotidianamente dalla sistematica esclusione, a destra come a sinistra, dai luoghi di presa delle decisioni e di formazione dell’opinione pubblica e addirittura dal riconoscimento di aver avuto un ruolo nella formazione della società italiana, non solo come madri, mogli o prostitute. Al punto che non riusciamo neppure a dettare noi stesse l’agenda delle nostre rivendicazioni e della nostra indignazione.
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