Sebbene il pensiero di Karl Marx sia comunemente inteso come una critica al capitalismo a favore del comunismo, l’esatta natura di quella critica e di quel sostegno rimangono oscure. Dopotutto, Marx ebbe una grande ammirazione per il capitalismo che aveva già sviluppato i poteri produttivi umani in misura di gran lunga maggiore rispetto a qualsiasi precedente storico. La prima ferrovia che collegava due città, per esempio, quella che andava da Liverpool a Manchester, aprì nel 1830, appena dodici anni dopo la nascita del filosofo di Treviri. La prima stazione londinese, Euston, fu inaugurata nel 1837, e presto l’Inghilterra venne attraversata da linee ferroviarie che univano le sue città più importanti. Si dice che internet e l’intelligenza artificiale stiano trasformando le nostre vite; ma pensiamo alla differenza tra il mondo in cui nacque Marx e quello, di trent’anni dopo, in cui Marx ed Engels scrissero il Manifesto del partito comunista. Le persone e i beni potevano muoversi da città a città in un tempo molto più breve rispetto al passato.

Marx era del tutto consapevole di tali sviluppi e delle loro conseguenze e ne era profondamente colpito. Eppure, allo stesso tempo, sembrava convinto che le strutture economiche e sociali del capitalismo fossero lontane dal fare il miglior uso possibile delle risorse produttive che esso aveva sviluppato e stessero fallendo nel tentativo di contenere le forze che esso aveva liberato. Nei suoi primi lavori sostiene con trasporto la tesi delle molte forme di alienazione generate dal capitalismo. Esso, secondo Marx, blocca la realizzazione del lavoratore comune, degradando una vita umana potenzialmente ricca, creativa e varia, abbassando il lavoratore «mentalmente e fisicamente a una macchina», tanto che «da uomo diventa un’astratta attività e un ventre»», come scrive nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Presto si rivolse all’analisi dello sfruttamento al cuore del capitalismo, sul quale sosteneva si basasse il profitto capitalista. Per tutta la sua vita adulta Marx fu consapevole del ciclo economico del capitalismo in cui ogni periodo di prosperità e grande ottimismo è seguito inevitabilmente da una crisi. Egli fu particolarmente colpito dal fatto che le crisi del capitalismo fossero tipicamente crisi di sovrapproduzione: la produzione di più beni quanti ne possano essere venduti. Marx sottolinea che persone vissute in periodi della storia precedenti si sarebbero stupite del fatto che l’eccessiva produzione potesse causare una crisi. Ma quando qualcuno contrae un prestito per finanziare la produzione, e si trova di fronte a un debito crescente e a un magazzino di beni che non può vendere, ciò rappresenta certamente una crisi per quell’individuo, e può accadere che simili schemi si estendano all’intera economia.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/18, pp. 341-346, è acquistabile qui]