Karzai e il Risiko afgano. Il 19 novembre, davanti ai principali esponenti politici dei paesi occidentali che partecipavano alla sua cerimonia di insediamento, Karzai si è impegnato a completare entro cinque anni il processo di afghanizzazione delle forze di sicurezza, condizione essenziale per il disimpegno delle truppe straniere, e a convocare una loya jirga che affronti la questione della corruzione e dell’insorgenza; ha auspicato che Abdullah, il suo principale sfidante alle elezioni presidenziali, entri a far parte di un governo di unità nazionale e, infine, ha rinnovato le aperture verso le forze anti-governative. Sebbene nel suo discorso Karzai abbia evocato tutte le questioni che più stanno a cuore ai donor, dal rilancio dell’ipotesi negoziale alla ricomposizione delle tensioni interne, le reazioni sono state tiepide, in alcuni casi apertamente scettiche.
Indubbiamente sarà difficile per Karzai rinconquistare la fiducia che gli afgani e la comunità internazionale avevano in lui nel 2004, quando è stato eletto per la prima volta alla presidenza.. Le grandi aspettative che hanno accompagnato il voto del 2004 sono infatti gradualmente evaporate negli anni successivi. Il capo di stato ha governato alleandosi a comandanti locali restii a rinunciare ai propri privilegi e a figure religiose contrarie a ogni cambiamento; tant’è che né dal Parlamento né dal governo sono emerse in questi anni riforme significative volte a correggere gli squilibri che caratterizzano la struttura sociale e di genere del paese. Se in questo modo Karzai si è alienato le simpatie dell’esigua élite progressista, la mancanza di miglioramenti tangibili nelle condizioni di vita, la corruzione e l’inefficienza dell’apparato statale hanno contribuito a disilludere vasti segmenti della popolazione rurale. Anche le condizioni di sicurezza sono andate deteriorandosi: la guerriglia neo-talibana si è estesa a nuove aree, gli scontri tra forze anti-governative e truppe straniere hanno fatto un numero crescente di vittime tra i civili, mentre i "danni collaterali" causati dai raid aerei della Coalizione si sono riflessi negativamente sull’immagine del governo.
Le elezioni presidenziali e amministrative del 20 agosto hanno dato il colpo di grazia alla credibilità del presidente. L’affluenza, innanzitutto, è stata molto bassa: se alle elezioni presidenziali del 2004 aveva votato il 70% degli aventi diritto, in queste elezioni la percentuale dei votanti è scesa al 38,17% per l’effetto congiunto di due elementi: nelle aree pashtun hanno pesato le minacce talibane e le condizioni di insicurezza che hanno impedito a molti di recarsi alle urne, mentre altrove è stata la disillusione verso Karzai e l’intero assetto politico post-talibano a limitare l’affluenza. Il secondo dato negativo emerso dal voto è l’alto numero di brogli e irregolarità che nelle settimane successive sono stati segnalati alla Electoral Complaints Commission (ECC), organismo misto composto da due funzionari afghani e tre stranieri. Al termine di un complesso esame dei reclami, il 19 ottobre la Commissione ha invalidato il 28% delle schede a favore di Karzai e il 18% di quelle a favore di Abdullah; i consensi per il presidente uscente, che secondo i dati preliminari rilasciati a settembre sarebbero stati del 54,6%, scendevano così al 49,7%, rendendo inevitabile il ballottaggio. Mentre ci si apprestava a organizzare in tutta fretta il secondo turno elettorale, prima che l’arrivo dell’inverno rendesse inaccessibili ampi tratti del territorio, e la diplomazia statunitense ed europea cercava inutilmente di indurre i due contendenti ad arrivare ad un accordo di condivisione del potere, avveniva l’ennesimo colpo di scena: il 1 novembre Abdullah annunciava di volersi ritirare dalla competizione elettorale, accusando le autorità afgane di non avere voluto adottare le misure necessarie per evitare il ripetersi delle irregolarità e dei brogli che avevano caratterizzato il primo turno elettorale. Il giorno successivo la IEC, in un clima di polemiche e tensioni, annullava il secondo turno e proclamava Karzai vincitore delle elezioni.
Un dato che è stato trascurato dalle analisi del voto è che, brogli a parte, Karzai si è assicurato la vittoria grazie a una spregiudicata politica di cooptazione verso signori della guerra locali ed elementi neo-tradizionalisti e islamisti che dominano il Parlamento, con l’effetto di attirare consensi da ogni gruppo etnico: si è ingraziato i tagiki nominando alla vice-presidenza Mohammed Qasim Fahim, importante figura politica tagika; si è assicurato il sostegno degli uzbeki permettendo al suo leader Abdul Rashid Dostum, che si trovava in esilio in Turchia, di tornare in patria; ha attirato gli hazara annunciando di confermare Karim Khalili, rappresentante di spicco di questa comunità, alla vice-presidenza, e facendo alcune concessioni, in primis la legge sullo statuto personale sciita, fortemente voluta dallo stesso Khalili. Karzai è riuscito a ottenere anche il sostegno dell’Hezb-e-Islami, il partito islamista pashtun fondato da Hekmatyar, dell’ultraconservatore Ittehad-e-Islami guidato da Abdul Rab Rasul Sayyaf e del leader tagiko Ismail Khan, che controlla l’area di Herat. Questa strategia di costruzione del consenso, che è stata perseguita con meno successo anche da Abdullah, poggia sul frazionamento e sulla fluidità che contraddistinguono la scena politica nazionale e mette in luce l’inadeguatezza dei nostri schemi interpretativi, che tendono a collocare in un campo politico fisso. Connaturata per così dire all’ambito afgano, è una strategia che costituisce un’ipoteca sul futuro: indebitandosi politicamente in campagna elettorale, Karzai si è precluso la possibilità di introdurre riforme che scardinino gli abusi e gli squilibri più evidenti della struttura sociale del paese. Senza contare che chi lo ha sostenuto sarà ricompensato non solo con l’inazione governativa nell’ambito del sociale, ma anche con posti e finanziamenti che non faranno che confermare al potere figure locali interessate al mantenimento di un centro debole. Insomma, per rimanere al potere Karzai è costretto confermare la propria debolezza, un apparente paradosso che ha segnato gran parte della storia afgana.
Da queste elezioni è tuttavia emersa una novità che potrebbe ridimensionare a lungo termine la natura frammentaria, personalistica e cooptativa del contesto politico afgano: soprattutto, ma non solo, nelle aree urbane e tra i giovani, è stata data grande attenzione al dibattito politico che ha accompagnato la campagna elettorale e che ha dominato per settimane i canali radiofonici e televisivi nazionali. Il voto del 20 agosto riflette quindi non solo tradizioni consolidate, ma anche cambiamenti in corso che esulano dalla figura di Karzai. Quelle che ci appaiono come scelte individuali vanno, quindi, contestualizzate secondo analisi di lungo respiro.
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