Susilo e il gigante islamico al voto. Mentre è ancora in corso lo spoglio dei voti delle elezioni presidenziali indonesiane svoltesi la scorsa settimana, nessuno a Jakarta, dubita più dell’affermazione del capo dello Stato uscente, Susilo Bambang Yudhoyono. Gli exit polls, in linea con i dati emersi dai seggi sino ad ora scrutinati, attribuiscono a Susilo il 60% circa delle preferenze, spegnendo le speranze dell’ex presidentessa (tra il 2001 e 2004) Megawati Sukarnoputri (figlia di Sukarno e segretaria del PDI-P, principale partito di opposizione), accreditata del 30% delle preferenze. Fanalino di coda, come previsto, Jusuf Kalla, vice-presidente e membro di spicco dello storico partito indonesiano Golkar, attorno al 10%. L’Indonesia pare aver scelto la via della continuità, giudicando positivamente il primo mandato di Susilo, fondato sulla riforma delle forze armate e sulla lotta al terrorismo e alla corruzione che – complice la fase di crescita economica intercorsa tra il 2004 e il 2008 – ha favorito la stabilità politica e il consolidamento delle libertà civili (aspetto sul quale Susilo ha insistito spesso presso la comunità internazionale). Nonostante il processo riformatore non abbia ancora coinvolto alcuni settori chiave (la pubblica amministrazione, il sistema giudiziario, le forze di polizia, le infrastrutture in primis), la coalizione del PD di Susilo con il Partito della giustizia e della prosperità (Partai Keadilan Sejahtera-PKS) si è aggiudicata le elezioni politiche dello scorso aprile e può contare oggi su una solida maggioranza parlamentare.
La riconferma di Susilo alla presidenza sotto questa luce è un segnale importante di rafforzamento della stabilità politica del paese. Le ragioni del suo successo hanno radici lontane. Ex generale mai coinvolto nelle accuse di corruzione (che invece travolsero alcune personalità di spicco dello staff della ex presidentessa Sukarnoputri), con un’educazione politica di stampo occidentale, Susilo ha compensato un profilo giudicato generalmente scialba e silenziosa, con una carriera impeccabile tanto sotto il profilo morale che politico. Sia nel 2000, come ministro della Sicurezza durante la presidenza di Wahid “Gus Dur”, sia nel 2004 come ministro della Giustizia dell’ultimo esecutivo di Megawati Sukarnoputri, Susilo si dimise per la mancanza di trasparenza politica e per un probabile impeachment del governo, divenendo l’icona della lotta alla corruzione e alla concussione. L’alleanza del suo PD con il PKS (un piccolo partito confessionale che non ha mai sposato la causa antisemita né la solidarietà al fondamentalismo islamico) si è rivelata finora una mossa strategica vincente: il PKS ha sempre condannato le attività di Al Qaeda e presenta un programma politico “moderno”, per la tutela delle classi più deboli e dei diritti umani e per la partecipazione attiva della donna alla società civile e politica indonesiana. In tal modo Susilo si è assicurato il consenso di ampi strati della popolazione, nel più popoloso paese a maggioranza musulmana del mondo in uno dei più grandi paesi asiatici a maggioranza islamica (l’86,1% della popolazione è di fede musulmana).
Nonostante numerosi osservatori internazionali celebrino il consolidamento della “democrazia” in Indonesia, la situazione attuale sembra essere il segno di un processo che, più che democratico, potrebbe definirsi “di transizione” per quello che fino al decennio scorso appariva come un vero e proprio regime autoritario, oggi indirizzato verso forme più mature di “democrazia autoritaria”.
Certamente la riconferma del presidente uscente e la vittoria del suo partito sulle tradizionali forze politiche indonesiane (il Golkar e i principali partiti confessionali, come il Partai Persatuan Pembangunan-PPP, il Partai Kebangkitan Bangsa-PKB e il Partai Amanat Nasional-PAN) si rivelerà fondamentale per assicurare al paese quella stabilità politica che ha consentito all’Indonesia di registrare dal 2004 in poi un incremento medio del Pil superiore al 5% annuo e di attuare una politica economica orientata alla stabilità del tasso di cambio, alla lotta all’inflazione e contro l’aumento del deficit e del debito di bilancio. Unico caso nell’Asia Sud-orientale, l’Indonesia di Susilo è riuscita a restituire in anticipo le quote ottenute dal FMI per fronteggiare la profonda crisi finanziaria nata proprio nel Sud-Est Asiatico alla fine degli anni Novanta.
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