Marmaray. Atatürk, Gül, Erdoğan. Tre gigantografie campeggiavano il 29 ottobre sulla piazza di Üsküdar, gremitissima: altri avevano trovato posto sulle terrazze-bar, sui balconi, sulla scalinata della moschea della Valide. Tre sguardi fieri – e idealmente uniti – per una duplice ricorrenza: da una parte, il fondatore nel novantesimo anniversario della repubblica; dall’altra, i fondatori del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) nel giorno dell’inaugurazione del tunnel sotto il Bosforo, uno dei grandi e folli progetti che stanno rendendo la Turchia più connessa, più moderna, più prospera. Il futuro legittimato dal passato.
Il Marmaray – Marmara come il mare a sud del Bosforo, ray la parola turca per binario – è un gioiello ingegneristico: è stato costruito in nove anni da un consorzio turco-giapponese che ha utilizzato le più moderne tecnologie antisismiche. È entrato in funzione un primo tratto di 13,6 chilometri, da Ayrılıkçeşme sulla sponda asiatica a Kazlıçeşme su quella europea; il tunnel sottomarino è lungo 1387 metri, è stato ricavato scavando una trincea in cui sono stati immersi – e poi ricoperti – undici elementi in cemento armato ignifugo: secondo quanto riferito dal ministro dei trasporti Yıldırım durante la visita per la stampa, è “la costruzione più sicura di Istanbul” perché può reggere un terremoto di magnitudo 7.5. Il tempo di percorrenza complessivo è di 18 minuti, di cui 4 sott’acqua: a circa 45 km/h, non ci si rende assolutamente conto di dove si è.
Il tunnel sotto il Bosforo fa parte di un progetto molto più grande. Innanzitutto, è la parte mediale – quella più visionaria e trasformatrice, con tre nuove stazioni – di un tracciato di 76,3 chilometri da Gebze (periferia orientale) ad Halkalı (periferia occidentale); verranno ammodernate la linea e le 37 stazioni già esistenti, così da entrare in funzione nell'arco di due anni: accoglierà un milione e mezzo di viaggiatori al giorno, centocinquantamila nelle ore di punta (e treni merci di notte). In effetti, i lavori hanno subito quattro anni di ritardi a causa degli spettacolari ritrovamenti archeologici – il porto romano, 37 relitti in buono stato di conservazione, un insediamento neolitico di 8500 anni fa – durante gli scavi per la stazione di Yenikapı: in compenso, alla struttura ferroviaria verranno associati un parco archeologico e un museo, dove troveranno posto alcune navi e i più interessanti reperti.
Marmaray ha però anche – oltre a quella urbana – una dimensione internazionale e regionale. È uno dei cinque elementi del corridoio di trasporti est-ovest: insieme ai due ponti sul Bosforo già esistenti, al terzo ponte e a un secondo tunnel – stavolta stradale, di 5,4 chilometri(Avrasya) – i cui lavori verranno terminati anch’essi entro il 2015. È soprattutto uno dei due tasselli decisivi, insieme alla Baku-Tbilisi-Kars in fase di completamento, per attivare un collegamento tra Londra e la Cina: la nuova via della seta ferrata (ipek demiryolu), una nuova occasione di sviluppo economico per tutti i Paesi coinvolti.
E il premier del Giappone Shinzo Abe, ospite d’onore anche in virtù della partecipazione finanziaria della Banca giapponese per la cooperazione internazionale al progetto, ha già proposto un’estensione fino a Tokyo. Erdoğan non ci ha pensato due volte e ha risposto: “si può fare”; e ha successivamente ricordato, nel suo appassionato e applauditissimo discorso, le grandi iniziative infrastrutturali realizzate o pianificate per il 2023: autostrade, linee ferroviarie ad alta velocità, aeroporti soprattutto nelle aree depresse del Paese, porti. Poi la preghiera, il taglio del nastro, il viaggio inaugurale – Gül era ai comandi – con tutti gli altri dignitari stranieri. Per quindici giorni, istanbulioti e turisti potranno provarlo gratuitamente.
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