Da zero problemi a infinite trattative. La politica “degli zero problemi” che ha reso famoso il ministro Ahmet Davutoğlu continua a orientare la politica estera della Turchia, nonostante la crisi siriana, le tensioni nei rapporti con Iraq e Iran e la normalizzazione fallita con l'Armenia. Ne è prova macroscopica la seconda riunione – dopo la prima del 2010 – dell'Alto consiglio di cooperazione strategica con la Grecia, tenutasi lunedì 4 marzo a Istanbul. Il premier Antonis Samaras, accompagnato da 10 ministri e 100 imprenditori, ha incontrato in rapida successione il presidente Abdullah Gül e Recep Tayyip Erdoğan, ha partecipato poi a quello che è stato sostanzialmente un consiglio dei ministri congiunto e a un business forum greco-turco e si è recato infine in visita di cortesia dal Patriarca ecumenico Bartolomeo al Fener.
Quello tra i due storici ex nemici è stato un incontro cordiale e costruttivo, che ha portato alla firma di 25 nuovi accordi bilaterali di cooperazione – in aggiunta ai 22 di 3 anni fa – nei più disparati settori: formazione, scambi giovanili, agricoltura, sanità, immigrazione, giustizia, terrorismo, imprenditorialità, cultura, turismo, sport (affrontando persino il tema “Olimpiadi”, nel caso in cui la città sul Bosforo si aggiudichi quelle del 2020). A rendere più salda e produttiva l'intesa, sono soprattutto i rapporti economici: l'interscambio ha raggiunto i 5 miliardi di dollari nel 2012, e l'obiettivo è di raddoppiarli entro il 2015. La Grecia è il quinto maggior investitore della Turchia, con 6,5 miliardi di dollari nell'ultimo decennio, e gli uomini d'affari greci presenti al forum ne hanno sottolineato l'importanza strategica per penetrare nei mercati dell'Asia centrale e del Medioriente, determinanti per il rilancio del loro sistema economico.
Il processo di riavvicinamento, dopo la guerra sfiorata nel 1996 sulle rispettive aree di sovranità nell'Egeo, è in realtà partito già nel 1999 con la “diplomazia dei terremoti”, nata a partire dalla duplice catastrofe di Izmit e Atene, e ha poi gradualmente preso slancio con l'avvento al potere dell'Akp nel 2002. I risultati ottenuti, pur se incoraggianti, non sono tuttavia risolutivi, poiché mancano convergenze apprezzabili sulla delimitazione dei confini marittimi, sulla questione di Cipro, sui giacimenti di idrocarburi nell'Egeo, sulle rispettive minoranze (musulmani di origine turca in Grecia e greco-ortodossi in Turchia). Lo ha riconosciuto Samaras, che in conferenza stampa ha parlato di “passi da fare con cautela”, ancora necessari per consolidare la reciproca fiducia, e di “nuovi canali di dialogo” da aprire, per porsi sul cammino della pace e dello sviluppo. Lo ripete spesso Ibrahim Kalın, il principale consigliere di Erdoğan: “la politica degli zero problemi non è la politica della bacchetta magica” (ossia, è un approccio, non una garanzia di successo indipendentemente dalla volontà altrui).
Il premier turco è invece sembrato particolarmente positivo e propositivo: vuole “seppellire il problema di Cipro in profondità” e ha invitato il neo-presidente greco-cipriota e il leader turco-cipriota a riprendere i negoziati di riunificazione. Vuole creare nel Mediterraneo orientale – tra Grecia, Turchia e Cipro riunificata – un'area di stabilità e di prosperità, anche grazie a un'equa ripartizione dei giacimenti di gas naturale rinvenuti.
Ma basteranno le buone intenzioni a produrre i necessari compromessi? Dopo 12 anni e 52 round di “contatti esplorativi” ci si poteva attendere molto di più: una dichiarazione vincolante di Erdoğan sulla riapertura del seminario ortodosso di Halki e un’altra di Samaras sulla costruzione di una moschea ad Atene; l'annuncio di un vertice tripartito su Cipro; una road map cronologicamente vincolante per superare il contenzioso nell'Egeo. Ci si poteva attendere più coraggio. Il clima disteso è sì funzionale al buon esito dei negoziati, che continueranno con rinnovato vigore; ma senza risultati tangibili in tempi ragionevoli, la politica “degli zero problemi” rischia di trasformarsi in quella “dei buoni propositi” o “delle trattative infinite”: una politica apprezzabile negli intenti, ma poco incisiva.
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