Il restauro della memoria. Il governo turco, conservatore e d’ispirazione islamica, è impegnato in un piano per il recupero e la preservazione del patrimonio storico non musulmano: secondo i dati ufficiali, diffusi qualche settimana fa dal vice-premier Bekir Bozdağ, dal 2002 sono state restaurate sessantanove tra chiese e sinagoghe, su tutto il territorio nazionale, con una spesa complessiva di circa diciotto milioni di lire turche (al cambio attuale, circa otto milioni di euro).

Alcune sono state riaperte al culto dopo decenni di abbandono, mentre dieci edifici sono attualmente in fase di restauro e altri otto interventi sono già stati decisi. Una netta inversione di tendenza rispetto al passato recente, in cui hanno prevalso l’incuria e, a volte, la distruzione mirata per motivi ideologici. Una riappropriazione consapevole del passato ottomano, quando il rispetto della religione altrui – almeno fino alla fase terminale dell’Impero – era generalmente la regola.
È il ritorno della Turchia polifonica: che riconosce le sue molteplici radici religiose e culturali e che dallo scorso anno sta, in parte, restituendo alle minoranze luoghi di culto, scuole, ospedali, cimiteri sottratti in età repubblicana.

Un esempio eclatante del nuovo corso promosso dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), guidato dal premier Recep Tayyip Erdoğan, è il restauro della chiesa armena di Surp Vortvots Vorodman, proprio di fronte al Patriarcato nel quartiere di Kumkapı a Istanbul. Il restauro è stato sovvenzionato quasi interamente dallo Stato con i fondi di Istanbul 2010 Capitale europea della cultura e terminato in un anno circa, rispettando alla perfezione i tempi prefissati, sotto la guida dell’architetto (cittadino turco, etnicamente armeno) Kevork Özkaragöz.

Surp Vortvots Vorodman, (I Santi figli del tuono) fa parte di un complesso, composto da tre chiese e due cappelle, eretto negli anni Venti dell’Ottocento dai Baylan, celebre famiglia di architetti armeni a cui si devono palazzi imperiali e altri edifici pubblici dell’Istanbul ottomana (allora, ancora ufficialmente nota come Kostantiniyye) ed è rimasta chiusa e abbandonata per quasi un secolo, dalla fine della Prima guerra mondiale.

Il professor Özkaragöz ci ha raccontato come dal tetto, totalmente rifatto, siano stati sradicati alberi interi. Le foto scattate prima dell’inizio dei lavori mostrano, anche all’interno, legname marcito, balaustre e strutture pericolanti, marmi divelti, decorazioni sbiadite, oggetti accatastati. Un primo tentativo d’intervento è partito nel 1998, ma si è bloccato per mancanza di fondi che, appunto, sono poi arrivati grazie a una sovvenzione decisa dall’agenzia che ha gestito le attività di Istanbul 2010 (circa 700.000 euro a coprire il 70% del budget, mentre il resto è stato raccolto dalla comunità armena). Kevork Özkaragöz, specialista eclettico del restauro di luoghi di culto (ha lavorato in chiese di ogni denominazione, in moschee, in cemevi degli aleviti), si è reso disponibile per una parziale trasformazione di Surp Vortvots Vorodman cui è stato aggiunto un palcoscenico, potrà così funzionare come centro culturale, mentre ospiterà la liturgia solo nelle ricorrenze particolarmente solenni.

Nonostante le polemiche iniziali, sollevate da chi puntava a una riappropriazione esclusiva come spazio sacro (delle altre due chiese del complesso, una è stata trasformata in passato in mensa e l’altra, Santa Maria, ha mantenuto la funzione e lo splendore di un tempo come cattedrale), il progetto, già apprezzato da buona parte della società civile turca e dall’Unione europea, ha finito per mettere a tacere le critiche.

La chiesa – e centro culturale – è stata inaugurata il 28 dicembre 2011 alla presenza del ministro del Commercio, Hayati Yazıcı: è stato ripristinato il colore originale, è stato ricreato l’impatto visivo, sono stati utilizzati materiali sempre compatibili con quelli d’epoca e sono stati completamente rifatti gli impianti d’illuminazione e di riscaldamento secondo criteri moderni. Ma, per Kevork Özkaragöz, il restauro dell’edificio passa in secondo piano rispetto al “restauro mentale” dei rapporti tra turchi e armeni di Turchia, che sperano finalmente di diventare, dopo decenni di discriminazioni, cittadini con pari diritti e con piena dignità.