Il ritorno del “leone del Punjab”. Le elezioni dello scorso 11 maggio rappresentavano un passaggio cruciale, dal quale la fragile democrazia del Pakistan è uscita sostanzialmente rafforzata. I talebani del Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) e i separatisti del Belucistan hanno sottoposto il sistema a una specie di stress test, mettendo in opera una serie terrificante di attentati contro candidati e attivisti politici e minacciando di morte chiunque avesse osato recarsi alle urne. Al termine della campagna elettorale più insanguinata della sua storia, il Pakistan ha risposto con una affluenza da record – il 55,2 %, la più alta dagli anni Ottanta – e scene di entusiasmo nelle strade delle principali città per festeggiare i risultati di un fondamentale rito della democrazia.

Come previsto, ma in misura maggiore di quanto previsto, il Pml-N di Nawaz Sharif è risultato il primo partito, aggiudicandosi 126 rappresentanti all’Assemblea nazionale su 272 (eletti direttamente, più 70 riservati a donne e minoranze etniche, eletti su base proporzionale sul totale dei voti dei partiti) e raccogliendo il 32,7% dei voti. Il “leone del Punjab” ha doppiato i suoi immediati contendenti, il Pti di Imran Khan (16,7% di voti, 28 eletti) e il Ppp di Zardari (15,1% di voti, 32 eletti). Questi numeri scongiurano il pericolo, paventato prima delle elezioni, di uno stallo che avrebbe delegittimato pericolosamente il sistema politico democratico. Nawaz Sharif potrebbe agevolmente formare una maggioranza già soltanto cooptando dei candidati minori, ma ha da subito iniziato i colloqui per formare una coalizione più ampia possibile.

Figlio di un facoltoso imprenditore dell’acciaio, Sharif entrò in politica nel 1972, quando Zulfikar Ali Bhutto decise di nazionalizzare l’azienda del padre, e ricevette il suo primo incarico di capo dei ministri del Punjab nel 1985, dal generale Zia-ul Haq. Nel 1999 il generale Musharraf, che Sharif aveva cercato di destituire, lo fece arrestare e prese successivamente il potere con un colpo di Stato incruento. Condannato per dirottamento e terrorismo, Sharif scontò 14 mesi di prigione e solo grazie all’intercessione di re Abdullah passò dalla detenzione a 7 anni in esilio in Arabia Saudita. Tornato quindi in patria nel 2007, si riscattò alle elezioni dell’anno successivo, vinte però dal Ppp, dopo che il suo leader, Benazir Bhutto, fu assassinata in un attacco terroristico durante la campagna elettorale.

In questi ultimi 5 anni passati all’opposizione, Sharif sembra aver dato prova di aver emendato quegli aspetti della sua personalità che gli avevano fatto conquistare la fama di autocrate dedito agli intrighi. Convintosi durante i duri anni in esilio della sacralità della democrazia, quando, all’inizio di quest'anno, Muhammad Tahir-ul-Qadri ha paralizzato Islamabad con imponenti manifestazioni contro la corruzione, invece di allearsi con lui per abbattere il traballante governo presieduto da Zardari, ha criticato Qadri e ha atteso pazientemente la fine della legislatura.

Non sarà facile per Nawaz Sharif mantenere anche solo alcune delle promesse fatte in campagna elettorale. Lo scorso 20 maggio, complice un’ondata di caldo eccezionale, si sono verificati black out che in alcune aree del Paese sono durati fino a 22 ore, con conseguenti manifestazioni e blocchi stradali. Lo stesso primo ministro in pectore ha ammesso che non è concepibile che questo accada a una potenza nucleare, ma al contempo ha avvisato la popolazione di non aspettarsi soluzioni immediate, visto lo stato disastroso del sistema di produzione e distribuzione dell’energia elettrica in Pakistan.

In questa complessa situazione, una partita che però potrebbe essere ben giocata da Sharif è quella della distensione dei rapporti con l’India, che era già in corso quando fu deposto nel 1999 e fu una delle cause della sua estromissione da parte delle forze armate, meno propense all’appeasement. La prospettiva è che l’aumento degli scambi con la ben più dinamica economia confinante e la conseguente riduzione della corsa agli armamenti tra i due Paesi porterà benefici economici non secondari, oltre al successo di immagine internazionale. I timori di un intervento dei militari, anche alla luce dei cattivi rapporti del passato, sembrano improbabili. L'esercito è seriamente impegnato sul fronte del terrorismo nel combattere i talebani che minacciano l’integrità dello Stato, impegno testimoniato dai recenti sforzi di comunicazione, che non hanno precedenti, nel coinvolgere e ottenere l’appoggio della popolazione pakistana in questa battaglia. Inoltre, la prudenza e la moderazione mostrate dal capo di Stato maggiore Kayani derivano, oltre che dal temperamento, dalla consapevolezza dell’impopolarità ricevuta per la gestione diretta del potere da parte dell'esercito nel periodo successivo al colpo di stato di Musharraf.

Oltretutto, da allora, sono emersi altri due poteri molto attivi che rendono un colpo di mano militare impraticabile: una magistratura determinata a perseguire i reati dei governanti, appoggiata da larghe fasce della popolazione, e un vivace pluralismo dell’informazione fatto di giornali e canali televisivi impossibili da controllare interamente, peraltro nati grazie a Musharraf.

Questo il panorama complesso nel quale Nawaz Sharif tornerà al potere. Il “leone del Punjab” sa che è facile deludere i propri elettori: non a caso nessun governo, in Pakistan, è mai stato eletto due volte consecutivamente.

 

Questo articolo fa parte di una serie di "lettere internazionali" dedicate alle elezioni pakistane. Qui i primi due interventi, Verso la maturità democratica e Un nuovo centro di potere.