Cambio della guardia. Lo scorso 29 novembre, durante una cerimonia nella città guarnigione di Rawalpindi, il generale Parvez Kayani, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito pakistano (COAS), ha passato il malacca cane, il bastone simbolo del comando al generale Raheel Sharif. Nella maggior parte degli Stati il cambio del vertice delle forze armate rientra nelle attività di routine burocratica di alto rango, nel caso del Pakistan si tratta di determinare l’uomo con maggiori poteri nel Paese.
Il Primo ministro Nawaz Sharif, (nessuna parentela con Raheel) aveva atteso praticamente l’ultimo giorno utile, il mercoledì precedente, per nominare il nuovo COAS. L’esitazione di Nawaz Sharif può essere comprensibile, visto che nel 1999, al suo secondo incarico come Primo ministro, era stato estromesso da un colpo di stato del generale Pervez Musharraf, che aveva messo al vertice delle forze armate l’anno prima preferendolo ad altri generali più anziani. Questa volta, alla vigilia della nomina, il capo del governo aveva dichiarato che si sarebbe attenuto al principio di anzianità, ma la scelta è poi caduta sul generale Sharif, terzo nella graduatoria di anzianità. Al secondo, il generale Rashad Mahmood, è andata la Presidenza del Comitato dei Capi di Stato Maggiore (CJCSC), carica sulla carta di grado superiore, nei fatti largamente rappresentativa e priva di reale potere. Il primo della lista, Il generale Haroom Aslam, favorito di Kayani, si è dimesso dopo essere stato scavalcato dai sui colleghi meno anziani.
Tutto lascia pensare che il nuovo COAS, considerato un moderato, non si discosterà dal corso del suo predecessore, al quale va il merito di aver rispettato le istituzioni democratiche nei suoi sei anni in carica, evitando di interferire nella sfera politica nonostante i molteplici momenti di crisi del precedente governo Zardari e di caos del Paese. Più noto come fratello di uno degli ufficiali più decorati del Pakistan -morto nel 1971 durante la guerra con l’India- che per la prominenza del suo profilo di generale, Raheel Sharif assume il comando in un periodo chiave per il Pakistan. Il governo di Nawaz Sharif, insediatosi lo scorso maggio, sembra determinato a cambiare tre aspetti chiave della politica estera del Pakistan, tradizionalmente di esclusiva competenza dei militari.
Consapevole che l’economia pakistana è in una situazione di gravissima crisi, il capo del governo si sta prodigando per rafforzare gli scambi commerciali con l’India con una serie di dichiarazione e iniziative distensive che includono anche la soluzione della controversia sul Kashmir, in un momento di massima tensione nell’area. Impossibile fare una cosa del genere senza il placet delle forze armate, l’atteggiamento del generale Raheel Sharif sarà determinante.
Dopo un periodo in cui i rapporti tra Islamabad e Kabul avevano raggiunto il minimo storico, Nawaz Sharif ha svolto un intenso lavoro in termini di concessioni e buoni rapporti personali verso Hamid Karzai, dal quale è stato accolto con gli onori il 30 novembre a Kabul. Alla vigilia del viaggio il Pakistan aveva liberato a più riprese 50 prigionieri talebani afghani. L’Afghanistan è sempre stato considerato dalla dottrina militare pakistana fondamentale per dare la “profondità strategica” al Paese. Ora Islamabad vuole che Kabul metta in atto misure per impedire che dalle proprie frontiere passino i guerriglieri che insanguinano il Pakistan. In vista del ritiro degli Usa nel 2014 la partita diventa fondamentale.
Ma la terza e forse più importante questione, dove il generale Sharif sarà messo alla prova, è quella dei Talebani del Pakistan. Gli attacchi terroristici hanno portato il paese sull’orlo del collasso istituzionale in alcune aree. l negoziati voluti da Nawaz Sharif con il Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), peraltro altamente improbabili, si sono interrotti dopo che il primo novembre scorso un drone americano ha ucciso il leader Hakimullah Mehsud. È possibile, come chiedono gli ambienti militari di livello intermedio e inferiore, che il nuovo COAS intraprenda una imponente e sanguinosa campagna militare nelle Aree Tribali ad Amministrazione Federale (FATA), al confine con l’Afghanistan, controllate attualmente da una trentina di gruppi di guerriglieri variamente affiliati tra loro. In caso di successo, i negoziati per il cessate il fuoco avrebbero una base ben più solida.
Riproduzione riservata