Speriamo che si riveli un fuoco di paglia. Una fiammata che si estingue rapidamente senza lasciare conseguenze. Ad alimentare questa speranza sono i commenti di autorevoli giuristi ed esponenti di primo piano della magistratura. Concordi nel sostenere che le conversazioni tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e un consigliere giuridico del Quirinale non rivelino un’attività illecita o moralmente censurabile da parte degli interessati. Sarebbe una buona notizia, tra le poche di questo torrido inizio d’estate, il fatto che non stiamo per fare i conti anche con una gravissima crisi istituzionale.
Chi ha tentato di alimentare l’incendio sarà deluso, ma tutti gli altri dovrebbero trarne qualche ragione di conforto. Non può sfuggire a nessuno, infatti, il ruolo essenziale che il presidente della Repubblica ha avuto nel favorire la nascita del governo Monti, e la straordinaria energia che sta mostrando nel sostenerne continuamente gli sforzi con esortazioni e consigli di cui la compagine governativa – composta in larga misura di persone che non hanno alle spalle un’esperienza politica paragonabile a quella di Giorgio Napolitano – sta verosimilmente tenendo buon conto. Nei limiti del possibile, che sono piuttosto stretti in questo momento.
Se il pericolo di un disastroso “attacco al Quirinale” in un momento di eccezionale fragilità politica ed economica del nostro Paese si allontana, ciò non vuol dire che dobbiamo lasciarci alle spalle le polemiche di questi giorni senza una riflessione. Che riguarda un tema che può apparire astruso, e ha invece un’importanza cruciale, che sarebbe imprudente sottovalutare per ciò che rivela sulla cultura politica italiana. Seguendo le polemiche di questi giorni, non si poteva fare a meno di notare che una parte del pubblico sembra aver perso completamente la capacità di fare i conti in modo ragionevole con alcuni degli aspetti caratteristici dell’attività di un capo di Stato, le cui prerogative sono inevitabilmente definite in modo vago dalla normativa costituzionale, perché appartengono in parte alla sfera della saggezza pratica piuttosto che a quella dell’amministrazione. Consigliare, esortare, talvolta con la necessaria discrezione, tentare di evitare conflitti tra poteri o errori di giudizio che potrebbero avere conseguenze dannose per l’interesse comune sono tutte attività che richiedono sensibilità, e una certa dose di fantasia politica che mal si concilia con la mentalità di chi pensa che l’arte del governo sia riducibile a regole tassative e dettagliate.
Ovviamente, in un regime democratico, anche l’attività del capo dello Stato, come quella di tutti coloro che hanno un officio pubblico, non può sottrarsi allo scrutinio dei cittadini. Ma forse è arrivato il momento di chiedersi se ciò debba avvenire attraverso le forme, cui ci stiamo tristemente abituando, dell’ermeneutica di conversazioni personali tratte da materiali di inchieste giudiziarie. Abbiamo tutti ben presente questo fenomeno, e i guasti che probabilmente ha causato nell’alimentare la sfiducia nei confronti di politica e istituzioni. Brandelli di vita sono stati messi a nudo ed esposti al pubblico ludibrio. Anche quando le voci erano fuggite dal senno di poveracci che nulla avevano a che fare con i reati su cui si indagava. Se poi l’intercettazione riguarda un volto noto, l’intrattenimento è assicurato. Giudizi precipitosi su datori di lavoro e colleghi, frasi poco rispettose nei confronti di superiori e compagni di partito, grotteschi vaneggiamenti. Esegeti che a volte sembrano cogliere solo il senso letterale delle parole annotano giudiziosamente ogni cosa. Lasciando al giudice il compito di riconoscere l’esagerazione o la metafora e distinguerle da ciò che andrebbe preso sul serio perché costituisce un indizio di colpevolezza.
Tutto finisce in un calderone che rende sempre più arduo per i cittadini distinguere la limitazione giustificata del diritto alla privacy dalla sua sistematica violazione perpetrata con il consenso di chi dovrebbe difenderlo. Difficile credere che tutto ciò sia inevitabile, o che sia necessario per la salute della democrazia italiana.
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