Quando nel 1994 la Dc chiuse i battenti Gianni Baget Bozzo (che del «partito cristiano» non era un estimatore) previde che il ruolo della Chiesa italiana avrebbe potuto «essere più rilevante e assumere altre forme»: secondo lui, infatti, la fine del partito cattolico la avrebbe obbligata «a capire che essa non può più essere fatta di precetti e di autorità», anche «perché la religione e la politica parleranno sempre più linguaggi diversi: quello delle tecniche e dei sistemi l’una, quella delle persone e dell’interiorità personale l’altra».
Fu cattivo profeta. Con Ruini, infatti, la Chiesa italiana scelse la strada opposta. Non sapendosi concepire altrimenti che come portatrice di «precetti e di autorità», provvide rapidamente a cercare interlocutori influenti nel campo delle «tecniche» e dei «sistemi» che trasformano i precetti in leggi: magari con la mediazione degli atei devoti che – temeva Baget Bozzo – avrebbero portato anche in Italia la prassi «del belonging without believing (dell’appartenere a una Chiesa senza credervi)» già diffusa nei paesi protestanti.
Fu l’epoca delle grandi battaglie «bioetiche», da quella contro la fecondazione assistita a quella contro l’eutanasia: ma fu anche l’epoca dell’immissione in ruolo dei docenti di religione e dell’interpretazione permissiva delle norme fiscali sugli edifici ecclesiastici. Il tutto senza l’ingombro di un partito cattolico, e senza neanche scomodare più che tanto quel «popolo cattolico» al quale pure i vescovi italiani si erano a suo tempo appellati per abrogare la legge sul divorzio: tant’è vero che nel 2004, in occasione del referendum sulla legge 40, preferirono affidarsi all’espediente politicistico dell’astensionismo.
Lo schermo ideologico per giustificare questa forma di neogentilonismo (absit iniuria verso l’attuale presidente del Consiglio, mi riferisco al patto Gentiloni del 1913) fu quello dei «principi non negoziabili»: i cattolici potevano votare per chi gli pareva, ma i parlamentari, se volevano professarsi fedeli agli insegnamenti della Chiesa (con tutto quello che ne poteva conseguire in sede elettorale), non dovevano varcare certe soglie quando legiferavano su materie «eticamente sensibili» (ma anche, per esempio, in materia di libertà religiosa: tant’è vero che l’iter della relativa legge prosegue ininterrotto fin dagli ultimi anni della prima Repubblica).
Quali fossero questi «principi non negoziabili», per la verità, non fu mai definito con precisione. Ma si può escludere che fra di essi fosse contemplata la chiusura domenicale degli outlet. Ora invece il direttore (uscente) di «Avvenire», Marco Tarquinio, in un’intervista al «Corriere della Sera» tesse le lodi di Luigi Di Maio, che paventa che il lavoro domenicale sfasci le famiglie con la stessa enfasi con cui nel 1974 di famiglie sfasciate dal divorzio parlava Fanfani.
Tarquinio ha anche ospitato, sul suo giornale, un’intervista a Grillo. E i 5 stelle che hanno illustrato l’altro giorno il loro programma di politica estera non hanno mancato di affidarsi a papa Francesco quando proprio non sapevano a che santo votarsi per dire qualcosa sul conflitto mediorientale o sulle prospettive della globalizzazione: del resto se non si riesce ad indossare il doppiopetto anche una tonaca va bene.
Ma il problema non sono i 5 stelle, che legittimamente cercano voti a destra e a manca. Il problema è Tarquinio, e gli ambienti ecclesiastici che rappresenta. Qualcuno ha fatto notare che questa apertura ai grillini avviene alla vigilia dell’assemblea in cui i vescovi italiani eleggeranno la terna da sottoporre al Papa per la nomina del nuovo presidente della Cei. Ovviamente è difficile che i 5 stelle possano influenzare quel voto. È invece possibile che nell’episcopato ci sia chi vuole dimostrare che il neogentilonismo può funzionare qualunque cosa accada. E pazienza se si dovrà continuare ad interloquire con governo e Parlamento, lasciando allo sbando un popolo cristiano che non sa come orientarsi sull’immigrazione o sull’educazione dei figli (e che probabilmente se ne infischia dell’apertura domenicale degli outlet): i precetti saranno comunque salvi, e l’autorità confermata.
[Questo articolo è stato pubblicato su «Il Mattino» il 20 aprile 2017]
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