Chi può eccepire a quanto scrive Luigi Bobbio, richiamandosi al mio articolo, che l’importante è prendere decisioni “buone”? Ma io non sostengo affatto che bisogna prendere decisioni purchessia, e il mio riferimento generico a una “democrazia capace di decidere” era a un endemico difetto delle democrazie: quello che ne ha condannato molte – per fortuna in tempi lontani e più drammatici di quello in cui viviamo – a una sovversione autoritaria o totalitaria.
La democrazia decidente che ho in mente è una democrazia che prende decisioni meditate, che studia i problemi, che prepara le decisioni con libri bianchi, verdi o di altro colore. E chiedo a Luigi: la democrazia pre-renziana, quella della Prima o della Seconda Repubblica, quella alla quale gli oppositori di Renzi, di destra o di sinistra, vorrebbero tornare, e a cui si tornerebbe se le opposizioni prevalessero, era forse una democrazia che prendeva “decisioni buone”? Era una democrazia che aveva predisposto processi decisionali meditati e consapevoli, che li accompagnava con studi adeguati, che aveva creato una Pubblica amministrazione di qualità analoga a quella dei Paesi con i quali abbiamo l’ardire di confrontarci, in cui la seconda camera, invece di essere un intralcio alle buone decisioni e una fonte di incertezza e rallentamento dei processi (decidere bene spesso vuol dire decidere in tempi controllabili), cooperava lealmente alle indagini necessarie al “ben decidere”?
E aggiungo: le democrazie nelle quali si decide nei modi che piacciono a Luigi e a me – gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia – non sono forse o democrazie presidenziali o con un premierato forte, con una notevole capacità di dettare l’agenda e assicurarne il rispetto, con un'amministrazione pubblica e organi tecnici capaci di vagliare accuratamente le diverse opzioni di fronte al decisore? Non ci sono best ways definibili solo a livello tecnico, Luigi ha ragione, e se alcuni miei colleghi economisti la pensano così, sbagliano. Un buon governo, una buona amministrazione pubblica, devono sempre presentare al Parlamento i costi e i benefici di diverse opzioni, affinché la politica possa operare una scelta. Ma ti sembra, caro Luigi, che le motivazioni degli oppositori a Renzi siano animate dai tuoi nobili motivi? Ma via, facitemi ’o piacere, come avrebbe detto il principe De Curtis.
Poi anch’io sono preoccupato della qualità media del ceto di governo che Renzi, in questa fase, si è tirato appresso, dall’approssimazione e dall’arroganza di certi suoi interventi. Ma nel merito non ho dubbi che abbia centrato molte riforme opportune, e che dalla riforma del Senato e dalla legge elettorale non provenga alcun pericolo per la democrazia. E soprattutto, se le cose andranno bene, che si riesca finalmente a decidere, il che è una condizione necessaria per prendere le decisioni buone che entrambi vogliamo. E, se vuoi seguirci sul tema “Renzi sì, Renzi no”, ti rinviamo agli ultimi due numeri del “Mulino”. E soprattutto al prossimo (2/2015, in uscita tra un mese) dove potrai leggere una straordinaria analisi di Mauro Calise sulle ragioni che provocano i mutamenti nella democrazia che a te piacciono – mi sembra di capire – piuttosto poco ma con i quali bisogna fare i conti.
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