Il verde. Ecco la prima parola che ho segnato nel mio diario di viaggio in Polonia. Dall’alto dell’ultima virata su Cracovia mi ha scosso un pensiero, fulminante: se vuoi capire questo Paese, devi ascoltare il sentimento del verde che i polacchi hanno nelle ossa. È un mare di erba e di boschi a perdita d’occhio, accecante, che si arrampica in cima agli alberi, spazia in larghe pianure, primeggia sulle colline. Questo è il colore interiore che ha ispirato le Mazurke di Chopin e che a ottobre sboccia in un tono profondo, bruno e vivo, con un grado di rosso in sé. Un verde che non ho visto altrove e che riconosco appartenere a un suolo diverso, straniero. L’autunno è dentro questi campi, li nutre con la sua acqua e lascia crescere a frotte gli alberi masoviani: ippocastani, tigli, aceri, acacie, betulle. Sono qui con la mia amica Magdalena Widlak, all’aeroporto ci viene a prendere suo fratello Wojciech, che fa il compositore. In auto tagliamo a metà la campagna, la strada s’insinua nei campi come un coltello nella superficie umida di una torta, sopra cui i canditi sono le case disseminate “alla cracoviense”, che sembrano quelle del Monopoli. Entriamo in città, l’occhio si trova subito a proprio agio sui palazzi decorati e le chiese incredibilmente colorate della preziosa Cracovia. La cena è in famiglia: arrosto di maiale con salsa di prugne, rape rosse tritate in salsa di burro, farina e panna acida, verdure spolverate con aneto, accompagnate dal tipico pane con semi di cumino e farina di segale mista a frumento. A chiudere il Kremówka, a base di una crema morbida ma compatta, fatta di uova e latte. Un menu bagnato dai grandi racconti polacchi, attinti dal lessico familiare della tragedia di cui ogni casa, qui, esibisce ancora dolorose cicatrici.
Anche Magda ha studiato musica e di musica si occupa da anni a Roma. In Italia è felice, ma quando pensa alla Polonia ciò che le manca è il verde. Il verde, e la musica del suo Paese, che sono quasi la stessa cosa. È per questo che l’indomani mi porta nella casa colorata di sua cugina
Anche Magda ha studiato musica e di musica si occupa da anni a Roma. In Italia è felice, ma quando pensa alla Polonia ciò che le manca è il verde. Il verde, e la musica del suo Paese, che sono quasi la stessa cosa. È per questo che l’indomani mi porta nella casa colorata di sua cugina: anche lei musicista, Cecylia Malik è una creatura strana, clorofilliana e sonora, un fiore dalle sembianze di donna, dalle gambe lunghissime a stelo e le idee a petalo che guardano le stelle. Le Malik sono sei sorelle, tutte musiciste. Passano dalla classica al dark rock senza scrupoli passatisti e nel gruppo che hanno fondato, le Negradonna, suonano «da sempre e per sempre». Figlie di un violinista e di una scultrice, discendenti da un’eminente famiglia di cartapestai, sono cresciute a pane e fantasia. Dagli inesauribili femori di Cecylia germoglia, come un fiore a campana, un busto sottile e colorato. È lei l’autrice della maglietta fucsia che indossa, su cui si sviluppa un disegno rampicante, che si attorciglia tra la piccola pancia e il collo. Ha orecchini grandi di spugna e lycra blu, un viso schietto entro cui si agita un grande sorriso.
Ci accoglie sfornando delle palline fritte simili alle castagnole e biscotti di zenzero e cannella. Mi piace subito, lei e i suoi dolcetti. La sua casa è proprio la casa di Cecylia. Ci sono quadri astratti traboccanti toni accesi, presepi di cartone cesellati in architetture che sembrano uscite da un film di Tim Burton. C’è un pianoforte verticale aperto, con alcuni spartiti stropicciati sul leggio, sullo sfondo una canzone dei Muse. E due bambini agili come la mamma, dai capelli ribelli e il metabolismo veloce, che corrono, suonano e disegnano qua e là. Non ci diciamo molto prima che lei mi travolga con la sua piena rosa e gialla: la secondogenita delle sei geniali Malik ha trovato la felicità arrampicandosi sugli alberi. Cresciuta leggendo Calvino, sognava di fare come Cosimo, che giurò di non scendere mai più tra gli uomini. Cecylia è sempre stata brava ad arrampicarsi, con i suoi muscoli leggeri e resistenti, ma è una giovane mamma musicista che non ha potuto essere Cosimo. Così ha deciso di onorare l’utopia del Barone rampante ogni giorno per un anno.
La secondogenita delle sei geniali Malik ha trovato la felicità arrampicandosi sugli alberi. Cresciuta leggendo Calvino, sognava di fare come Cosimo, che giurò di non scendere mai più tra gli uomini
Il 25 settembre 2009 Cecylia si arrampica per la prima di trecentosessantacinque volte di seguito. 365 Trees è il titolo inventato per la sua avventura, dove ogni arrampicata è una storia a sé, che prevede la selezione di un albero adatto ai sentimenti di quel giorno, la scelta del vestito-stato d’animo giusto, quindi la scalata che diventa un ricordo, fissata su fotografia. Le immagini scattate permettono di osservare queste piante quali capolavori spontanei, fatti di curve issate in verticale, di foglie cangianti, di rami spalancati su un cielo diversamente intonato, di tronchi lunghi o tozzi, di geometrie aeree dipinte da madre natura. In ogni opera d’albero, in qualsiasi dove, quando e come, Cecylia c’è. Sfogliando i giorni, sullo sfondo si vedono i piani alti di un palazzo, oppure montagne innevate, burroni a picco sul mare, tempeste di pioggia, e poi foreste, automobili, solitudine e moltitudini di persone. Paesaggi interiori di un giorno dopo l’altro, entro cui fluisce il sangue, la linfa e il silenzio di Cecylia. Dietro di lei, dietro i suoi alberi, la vita scorre, con il suo fiume di storia.
Strana creatura Cecylia, immersa nella musica, volata sugli alberi. Figlia post-romantica della Zal, di quella nostalgia insopprimibile, del senso di mancanza per qualcosa di irrimediabilmente perduto, di appartenenza a un luogo malgrado la distanza, come scriveva Chopin nelle sue struggenti lettere da Parigi. Tre lettere di una malinconia intraducibile, vasta come il suono verde della Polonia.
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