Finalmente: è questa l’espressione che sento di fare mia nell’accogliere la notizia dell’approvazione del disegno di legge sulla promozione e il sostegno della lettura. Come tutte le norme di legge, avrebbe potuto essere migliore: perché il mondo delle possibilità è sempre più affascinante e suadente di quello reale, nel quale diventa molto facile evidenziare ciò che manca, ciò che non è stato abbastanza sottolineato, ciò che avrebbe potuto trovare spazio, e spazio invece non ha.
Lo dico subito: avrei voluto che le biblioteche pubbliche avessero trovato un maggiore riconoscimento del loro ruolo nella creazione e nella crescita dei lettori. Così non è stato, ma guardo con fiducia alla parte piena del bicchiere, e mi posiziono volentieri dal lato di chi apprezza l’immane lavoro dei deputati che hanno lavorato al testo, e con pazienza e determinazione praticamente infinite hanno saputo attendere quello speciale allineamento dei pianeti che ha condotto a riconoscere, per la prima volta nella storia del nostro Paese, l’esistenza di una vera e propria emergenza lettura.
Ed è proprio su questo punto che a mio avviso dobbiamo focalizzare l’attenzione, piuttosto che dividersi di fronte ad alcuni aspetti della norma su cui si è concentrata la discussione degli operatori: mi riferisco, ovviamente, alla reintroduzione del limite dello sconto massimo sul prezzo di acquisto dei libri, ora fissato al 5% (dopo l’esperienza della Legge che aveva introdotto per la prima volta il limite del 25%, preceduta e seguita dalla più selvaggia deregolamentazione).
Da un lato – mi si permetta un po’ di semplificazione – librai ed editori comprensibilmente soddisfatti di poter godere di un sia pur minimo correttivo a un mercato striminzito e squilibrato dalle concentrazioni editoriali, dalle differenze abissali in fatto di distribuzione territoriale, dalle impari opportunità degli esercizi di prossimità rispetto alle vendite online, dagli eccessi di produzione rispetto alla capacità di assorbimento; dall’altro interlocutori che guardano alla nuova prospettiva addirittura come colpo di grazia finale alla già moribonda pratica della lettura.
Per quanto gli uni e gli altri possano presentare argomenti convincenti, vale a mio avviso una considerazione che rende entrambe le prospettive poco efficaci: non è il prezzo dei libri che tiene lontani dalla lettura gli italiani, che non esitano a spendere somme ingenti per acquistare il telefonino di ultima generazione o il capo di abbigliamento griffato (mi si perdoni la banalità dei riferimenti: ovviamente non ho niente contro telefonini e borsette!). Che non sia il prezzo del libro a creare barriere tra lettori e non lettori è provato dal fatto che i luoghi istituzionali nei quali non si spende nulla per leggere, ossia le biblioteche, sono frequentati da una percentuale risicatissima di persone. E se è vero che in molti casi, purtroppo, le biblioteche pubbliche non sono all’altezza del loro compito, conosciamo e apprezziamo invece moltissimi altri casi nei quali le biblioteche stanno facendo un lavoro egregio, senza per questo raggiungere l’obiettivo di fare della pratica della lettura una esperienza “normale” per la maggioranza della popolazione.
Da qui il valore strategico del Piano nazionale d’azione per la promozione della lettura, che rappresenta la grande novità della nuova legge: un piano con numerose, importanti ramificazioni e articolazioni. Forse non tutte quelle che avrebbero potuto essere delineate: vero. Ma già così tante da permettere un lavoro immenso di promozione della lettura. E poi la scelta, convinta, e senza alternative, per i Patti locali per la lettura: perché è solo superando i tanti, minuscoli recinti che ancora si ergono a separare il lavoro degli operatori nella filiera del libro che si potrà immaginare di unire le forze e offrire ai cittadini delle singole comunità nuove occasioni di avvicinamento al libro e alla pratica della lettura.
Molti hanno criticato la scelta di assegnare il titolo di “capitale italiana del libro” a una città che abbia presentato il più convincente progetto di promozione della lettura. Io invece credo proprio che si tratti di una scelta proficua: e lo dico da “persona informata dei fatti”, perché nella mia storia professionale ho avuto la fortuna e il privilegio di far parte dello staff che ha curato prima la candidatura e poi la nomina di Pistoia a Capitale italiana della cultura per il 2017: una candidatura e una nomina che hanno rappresentato una svolta importante nella storia delle biblioteche pistoiesi, permettendoci di accrescere significativamente la nostra capacità di programmare e progettare insieme agli altri soggetti del territorio, facendo da volano all’accesso a risorse economiche aggiuntive e al consolidamento di un brand forte e accreditato, sia in città sia fuori.
Se la dimensione della competizione tra città può risultare poco elegante, ciò che conterà davvero nella messa a punto delle candidature è la messa alla prova della capacità progettuale degli amministratori locali, sollecitati a considerare lo sviluppo culturale come paradigma del proprio progresso, a sviluppare una cultura della progettazione integrata tra soggetti diversi e della pianificazione strategica di azioni che chiamano in causa tutti i protagonisti della filiera assieme a insegnanti, lettori forti e appassionati, altri operatori culturali e sociali in grado di collaborare a fare della lettura una straordinaria occasione di miglioramento della qualità della vita delle persone. Pistoia non mancherà di candidarsi: abbiamo già pronto un progetto strepitoso, che non vediamo l’ora di mettere in pratica.
Meno convincente mi è risultata la misura della “Carta della cultura”: 1 milione di euro da suddividere in tagli da 100 euro per l’acquisto di libri da parte di famiglie in condizioni di povertà educativa e culturale. Nessun beneficio individuale potrà avere gli effetti di una scelta collettiva, come ad esempio l’incremento per tale importo delle collezioni bibliografiche nelle biblioteche pubbliche di un paio di piccole città (ma è solo un esempio). Di fronte al “terremoto” della non lettura, dare a tutti gli sfollati un chilo di riso non muove il cambiamento rappresentato dalla consegna dei primi 100 alloggi.
Bene anche il riferimento strategico alla scuola, soprattutto per quanto riguarda la prospettiva dell’adesione ai Patti locali della lettura e della messa in rete tra biblioteche scolastiche (spesso fragili o addirittura inesistenti) con le biblioteche pubbliche, che al confronto rappresentano un punto di riferimento più forte e stabile: una delle prospettive più credibili è che la rete di cooperazione interbibliotecaria locale (il sistema bibliotecario, si dice in molti territori) possa farsi carico, con nuove risorse, anche della rinascita di almeno alcune biblioteche scolastiche. Su questo lato ci sarà moltissimo da lavorare a livello locale, ritagliando per le biblioteche pubbliche un nuovo, interessante ruolo maieutico, destinato – sperabilmente – a sostituirsi al classico ruolo sostitutivo.
Che cosa succederà adesso? Molto dipenderà dai decreti che daranno attuazione alla norma generale: la storia è ancora in gran parte da scrivere. Ma l’importante è che il cammino sia iniziato. A noi, singoli operatori della filiera, stare al gioco imparando una volta per tutte a guardare agli altri soggetti come partner e non come potenziali nemici a cui sottrarre, finché si può, un po’ d’aria da respirare.
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