In questi giorni - e per tutto il mese di luglio - a Roma sono attive tre grandi arene di cinema all’aperto gratuito. Non si devono al Comune ma a un gruppo di giovani attivi, capaci di stabilire relazioni con il mondo del cinema e con le istituzioni regionali. Sono le ragazze e i ragazzi che occuparono diversi anni fa i locali abbandonati del Cinema America, sala di pregio dal punto di vista architettonico, uno dei 5 cinema che nel centrale rione Trastevere sono via via arrivati al capolinea.

Dopo qualche anno di occupazione e di proiezioni al chiuso, quel gruppo di giovani venne sfrattato ma non si diede per vinto, lanciando il cinema in piazza San Cosimato, sempre a Trastevere. L’iniziativa ebbe un enorme successo: la piazza piena, registi e attori tra i più importanti che venivano a parlare del loro lavoro o dei loro film preferiti, anziani che scendevano a vedere il film, piazzandosi sulle sedie con un’ora di anticipo e bambini che affollavano le proiezioni del sabato, nella serata dedicata ai cartoni. L’iniziativa era auto finanziata: qualche sponsor, la vendita di qualche t-shirt e molto volontariato: la piazza a fine serata era più pulita che all’inizio. I cittadini, per giunta giovani, si mettono assieme e producono cultura per la comunità senza che le istituzioni debbano spendere un soldo. Fantastico no? Non per i legulei dei 5 Stelle che nell’anno del Signore 2018 hanno deciso di negare l’occupazione di suolo pubblico e, dunque, di far saltare il cinema in piazza a Trastevere. La giustificazione è “legalità”: per fare una manifestazione serve un bando, altri devono gareggiare. Già, gareggiare per occupare un suolo pubblico e rimpiazzare una manifestazione che altri hanno costruito senza oneri per lo Stato. Strana concezione della legalità.

Comechessia, i giovani dell’America si sono fatti in tre e oggi proiettano film in tre (appunto) luoghi diversi, due in periferia e uno nel cortile di una scuola privata di Trastevere. Peccato per la grande piazza.

Che cosa c’entra questa storia con il disastroso risultato del Movimento 5 Stelle nei municipi III e VIII di Roma alle amministrative del 10 giugno? Lo vedremo tra un momento, intanto i risultati nei municipi in questione che per brevità intesteremo ai partiti e non ai candidati (che pure sono determinanti). Prima di vedere la tabella, andrà ricordato che il numero degli aventi diritto recatisi alle urne il 10 giugno è in entrambi i municipi inferiore al 30% (contro un dato di poco inferiore al 60% nel 2016). Un dato importante perché segnala che non sono necessariamente cambiati gli equilibri, ma è cambiato l’entusiasmo. Oggi la protesta è contro i 5 Stelle e questi non sono minimamente in grado di fare appello all’elettorato che li aveva scelti in alternativa a un centrosinistra che si era suicidato per beghe interne tra renziani e il sindaco Marino.
 

 

2016 sindaco III municipio (II turno)

2016 sindaco VIII municipio (II turno)

2016 III municipio

2016 VIII municipio

2018 III municipio

2018 VIII municipio

M5S

35% (65,8%)

33% (62%)

26% (62%)

27% (59%)

19%

13%

Pd/Csx

25% (34%)

28% (37%)

29% (37%)

26% (40%)

42%

54%

Fi/Cdx

20%

17%

18%

12%

33%

25%

Sinistra

5%

6,7%

5,8%

15%

-

-


Questi semplici dati parlano da soli: i 5 Stelle hanno perso un minimo di 7 punti percentuali nel terzo municipio e, paragonando il dato con il risultato di Virginia Raggi, un massimo di 20 punti nell’ottavo. Dei ballottaggi non parliamo nemmeno: nel 2016 fu un trionfo, mentre il 10 giugno i 5 Stelle sono fuori in entrambi i casi. In termini assoluti, nel III municipio il candidato del centrosinistra completo, Giovanni Caudo, perde circa 14 mila consensi rispetto alla somma dei due candidati del 2016, i 5 Stelle ne perdono circa 17 mila. Più complicato (e quindi superfluo) il voto dell’VIII municipio, dove il presidente uscente nel 2016, Andrea Catarci, nel 2016 si era candidato correndo da solo a sinistra e, dunque, i 5 Stelle erano secondi al primo turno per poi raddoppiare i voti al secondo – segno che gli elettori di sinistra, almeno in parte, avevano scelto il candidato grillino rispetto alla candidata del Pd.

Fin qui i numeri, vediamo i profili. I due candidati di centrosinistra hanno vinto delle primarie aperte contro il candidato ufficiale del Pd. Nel III municipio il candidato in testa è l’ex assessore all’Urbanistica di Ignazio Marino, l’urbanista Giovanni Caudo (di lui parlava qui Mattia Diletti), che ha continuato in questi anni a occuparsi di Roma e del suo futuro; nell’VIII municipio risulta eletto al primo turno il giovane Amedeo Ciaccheri, che è parte di una componente delle sinistra molto radicata in quel quadrante della città - il leader di questo gruppo è il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, che in questo momento non ha affiliazione politica, avendo scelto di schierarsi con Giuliano Pisapia prima delle elezioni politiche ed essendo poi rimasto politicamente orfano.

I due candidati del centrosinistra avevano dunque un profilo originale, una base e delle idee, e non rappresentavano il mondo che ha governato Roma da centrosinistra negli anni che hanno preceduto la Giunta Marino (a sua volta un outsider eletto contro la volontà del Nazareno e dei poteri romani del Pd). Questa è stata una loro forza alle primarie e, poi, in campagna elettorale.

La verità però è che il voto del 10 giugno a Roma è una sconfitta per i 5 Stelle, che, appunto, sono arrivati terzi in entrambi i casi. La gestione della giunta Raggi è un disastro sotto ogni aspetto: nei giorni che hanno preceduto il voto la linea della metropolitana che collega (guarda il caso) i due municipi, è andata in tilt. Dell’immondizia, del degrado, dell’erba alta, del parcheggio selvaggio, dell’assenza di iniziativa, delle buche e del ridicolo fallimento dell’asfalto magico a presa rapida sono pieni i media nazionali e i social network. La giunta è una catastrofe: come sembra di capire stia capitando anche a livello nazionale, l’obiettivo è non commettere passi falsi, non muoversi. Ma in una città in crisi, senza un’idea di futuro e complicata socialmente e urbanisticamente come Roma, stare fermi non si può.

Al disastro aggiungiamo che la ragione per la quale i due municipi sono andati al voto è il disastro delle giunte locali pentastellate: i due presidenti eletti nel 2016 si sono dovuti dimettere per manifesta incapacità. E la stessa Raggi si è più volte lamentata dell’immobilismo dei suoi presidenti di municipio (fino al 10 giugno tutti meno 2 erano pentastellati).

La reazione del Movimento oggi guidato da Di Maio è una riunione a porte chiuse e l’ipotesi di cambiare tre assessori, accusati di non aver fatto abbastanza e di aver causato la sconfitta. Il potente capogruppo Ferrara (eletto a Ostia) e la sindaca cercheranno dei nomi e forse metteranno alla porta tre assessori. Ma anche su questo ci sarà battaglia interna: alcuni nomi sono invisi a Raggi, altri al gruppo consiliare. E dire che nei primi due anni le teste cadute sono già 8 (più alcune figure chiave non in giunta). Ogni volta che si presenta un problema, la soluzione, in linea con lo stile del Movimento, è quello di tagliare una testa. Senza ragionare sul merito.

E qui torniamo al Cinema America, non senza dimenticare che in questi mesi si è anche parlato dello sgombero della Casa Internazionale delle Donne. Il tema, anche in questo caso è la legalità: le donne non pagano la pigione – che il Comune colpevolmente non ha mai preteso. Una cosa simile è capitata a Garbatella con la Casetta Rossa e in altri luoghi. Roma è anche una città di occupazioni vecchie e nuove. Ci sono palazzi occupati dai senza tetto e occupazioni più culturali. Alcune messe in regola, altre no. Esperienze come quelle dell’America e delle donne della Casa danno lustro alla città e non costano. Affrontare i problemi che pongono come semplici questioni contrattuali è miopia. I 5 Stelle avrebbero potuto costruire consenso anche attraverso un rapporto vivo con segmenti vivaci della città. Non sarebbe certo bastato a darle smalto ma avrebbe reso la giunta Raggi meno invisa almeno a chi ha voglia di darsi da fare.

La logica, non detta, di questo atteggiamento è forse stata: “Questi non saranno mai nostri, quindi usiamo la burocrazia per cancellarli”. Una logica di bassa lega e non istituzionale in senso alto. Un errore politico, anche. Intanto a Roma sono tornati vecchi piccoli poteri come i camioncini di bibite per turisti della famiglia Tredicine, banditi da Marino, e impazzano i servizi per turisti senza regole. E siccome probabilmente in quei servizi lavora molto dell’elettorato delle periferie che ha votato Raggi, la giunta lascia esistere tutto quel che c’è. Di fronte a un voto di opinione e di protesta, sarebbe servito costruire alleanze, creare reti e non demolire il poco che c’era. Per farlo serve però credere nei soggetti collettivi e nei corpi intermedi. I 5 Stelle non lo hanno capito e ne hanno pagato le conseguenze. O, meglio, i 5 Stelle sanno che i soggetti collettivi e i corpi intermedi non fanno per loro. Meglio tagliare una testa, indicare un nemico e pregare che il Tevere non esondi e che non si apra una voragine su una via di scorrimento.

 

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