Per decenni un mantra è stato puntualmente riproposto nei convegni e sulle riviste di politiche sociali: l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme alla Grecia, a essere privo di una misura di reddito minimo che tuteli contro la povertà. Dal dicembre 2017 non è più così, da quando è partito il Reddito di inclusione (Rei), varato grazie ai governi Renzi e Gentiloni. Breve, tuttavia, è stata la vita di questo provvedimento perché – nel marzo 2019 – il governo Conte lo ha sostituito con il Reddito di cittadinanza (Rdc), proposto dal Movimento 5 Stelle. Quale giudizio esprimere sulla sua introduzione?
Il Rdc aumenta enormemente i fondi per il contrasto della povertà: circa 6 miliardi di euro annui addizionali, che permettono di passare dai 2 già previsti per il Rei a 8 miliardi in totale. Si tratta del più ampio trasferimento di risorse pubbliche a favore dei poveri mai effettuato in Italia, e non è un caso. Il Rdc, infatti, rappresenta il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, cioè della prima grande forza politica che – nella storia del nostro Paese – ha fatto della lotta alla povertà una delle sue priorità.
In passato, povertà e politica non intrattenevano rapporti amichevoli. La necessità di adottare una misura di reddito minimo è stata inutilmente segnalata per decenni da più parti, a cominciare dalla proposta avanzata nel 1985 dalla Commissione di indagine sulla povertà presieduta da Ermanno Gorrieri, istituita dall’allora governo Craxi. Tuttavia, ad eccezione dei tentativi falliti di qualche precursore illuminato come Livia Turco (ministro per la Solidarietà sociale nei governi di centrosinistra dal 1996 al 2001), a lungo le forze politiche di ogni colore hanno ostinatamente evitato di prendere in considerazione il problema. Nei settori più sensibili ai temi sociali, i cattolici e la sinistra, questa è stata la conseguenza di precisi orientamenti di fondo. Al centro della visione cattolica dell’impegno politico in materia sociale si sono tradizionalmente trovate la configurazione giuridica della famiglia, la nascita e la morte. Sino all’avvento di papa Francesco, per i cattolici impegnati nella politica nazionale l’introduzione di un intervento pubblico che contrastasse l’esclusione sociale semplicemente non rientrava tra gli obiettivi primari. La sinistra tradizionale, a sua volta, era ancorata a una concezione della cittadinanza sociale di tipo lavoristico, che vedeva i diritti sociali derivare principalmente dalla posizione degli individui nel mercato del lavoro. Promuovere il Welfare, pertanto, significava tutelare non tutti i cittadini, bensì i lavoratori di oggi e di ieri, cioè chi il lavoro l’ha già oppure chi l’ha avuto e ora è a riposo.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/19, pp. 269-277, è acquistabile qui]
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