La settimana scorsa, a Torino, un episodio di cronaca ha attratto l’attenzione delle pagine locali dei quotidiani e ha riacceso il dibattito politico sulla sicurezza pubblica. Ma è un episodio che merita uno spazio e una riflessione maggiori, perché presenta un fenomeno di mafia allo “stato nascente”, colto cioè nel momento genetico ancora fluido, prima che si solidifichi in controllo capillare del territorio.
Lo scenario è quello di San Salvario, quartiere multietnico che si trova dietro la stazione centrale e che, dopo essersi trasformato da zona di degrado urbano a zona ristrutturata dai nuovi residenti, in gran parte giovani, vivace culturalmente e con molti bar e luoghi di incontro, sta oggi vivendo un momento di perdita di identità di quartiere, dove i traffici illegali, da sempre presenti, proliferano e la movida imperversa, con tanto di comitati cittadini che si lamentano per il rumore e l’insicurezza. In questo contesto si scatena il putiferio quando un farmacista del quartiere scrive una mail in cui racconta dettagliatamente le sue due settimane di “ordinaria follia”, come lui stesso le definisce. Alla destinataria della mail – a capo del "movimento antimovida" – che, a sua volta, la diffonde a migliaia di indirizzi, è offerta una testimonianza sconvolgente.
Dopo aver segnalato alle forze dell’ordine i continui furti nella sua farmacia e avere ricevuto risposte blande e inefficaci, con il farmacista si fanno vivi i pusher che stazionano nel quartiere, e che hanno ascoltato le sue vane richieste di intervento. Di fronte all’ennesimo furto e all’impotenza della polizia, gli spacciatori intervengono direttamente, minacciando i ladri e intimando loro di sparire. Assicurano quindi che i ladri non torneranno più, ma “consigliano” al farmacista di non chiamare più la polizia, che rovinerebbe i loro traffici.
Che cosa evidenzia questo racconto? Sono stati i pusher che al farmacista, che aveva chiesto allo Stato sicurezza e protezione, ricevendone una risposta non risolutiva, hanno proposto una soluzione di sicurezza e protezione che si è, invece, rivelata efficace. C’era però un prezzo da pagare: io ti offro la sicurezza che le istituzioni non sono in grado di assicurarti e tu, in cambio, non chiami le istituzioni, che possono nuocere al mio lavoro.
La strategia di progressivo controllo del territorio, messa in atto dagli spacciatori, si basa sulla saldatura di tre fattori: un contesto in cui sono presenti pratiche diffuse di illegalità, un’elevata percezione di insicurezza da parte della popolazione, risposte deboli delle istituzioni.
Come mostrano le indagini sociologiche più recenti e approfondite sulla mafia al Nord (pensiamo, per esempio, a quella di Rocco Sciarrone, Mafie del Nord, Donzelli, 2014), i processi che portano alla nascita del racket al di fuori delle tradizionali zone mafiose hanno origine spesso in un’area grigia, in cui attori economici possono servirsi delle risorse offerte da gruppi criminali, in primo luogo la violenza e i servizi di protezione, per ottenere benefici o, di fronte a istituzioni inefficienti, semplicemente per far valere i propri diritti.
La risposta delle istituzioni a Torino c’è stata, in questo caso esemplare. Ma sarà in base ai risultati che tale risposta riuscirà a ottenere che verrà giudicata come “migliore offerente di sicurezza” a fronte dell'offerta degli spacciatori.
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