In tutto il mondo, con le tecnologie dell’acciaio, ponti sospesi hanno unito dal secolo scorso territori vicini dello stesso Paese anche in zone ad altissima sismicità (dal Golden Gate di San Francisco al giapponese Akahashi, che con 1991 metri di lunghezza ha oggi il primato mondiale). Gallerie o ponti a più campate uniscono Paesi diversi: la Gran Bretagna con la Francia, la Svezia con la Danimarca, la Danimarca con la Germania. La costruzione di collegamenti è investimento strategico per lo sviluppo delle economie a oggi più forte crescita. Lo testimoniano i megaponti cinesi di decine di chilometri.

In Italia, che deve il suo stesso essere nazione ai grandi trafori alpini, agli acquedotti che hanno attraversato gli Appennini, a gallerie e ponti stradali e ferroviari avveniristici che nel Nord e nel Sud hanno permesso di raggiungere territori isolati, nessun’opera è stata ed è più contrastata del collegamento della Sicilia col resto del Paese e oggi d’Europa. Fino a rappresentare un vistoso esempio di “distrazione dai fatti”. Il ponte non c’è, ma ogni volta che se ne affaccia la realizzazione è trattato dagli avversari, con condivisione dei media, come causa della devastazione delle coste, dell’inquinamento di aria e mare, delle incivili condizioni dei trasporti locali, del dissesto idrogeologico, che invece ci sono davvero e non suscitano alcuna mobilitazione attiva.

Il bluff delle priorità ha sopraffatto la correttezza dell’informazione sui bisogni: la possibilità di sviluppare fino alla Sicilia lo stesso sistema ferroviario ad alta velocità/capacità che con denaro pubblico è stato realizzato nel Centro-Nord dipende tecnicamente dal collegamento stabile della Sicilia alla Calabria. Infatti i treni ad alta velocità non sono scomponibili e caricabili sui traghetti e perciò il ponte non può essere descritto come “cattedrale nel deserto” di esclusivo interesse locale. La continuità territoriale fra un’isola di 5 milioni e mezzo di abitanti e un’Italia che fa parte dell’Unione europea, impegnata nella realizzazione di un Trans European Network fatto di grandi corridoi multimodali che la attraversano fino al Mediterraneo finalizzati all’unificazione economica, al riordino urbanistico, al miglioramento di un ambiente compromesso dall’eccessivo traffico stradale, è rimasta un progetto ingegneristico ormai pronto per la realizzazione.

Il ponte è arrivato al compimento di tutti gli atti amministrativi, tecnici e politici indispensabili alla sua esecuzione secondo una procedura di rara trasparenza, nonostante e forse per aver dovuto superare molti ostacoli di natura non tecnica. È il risultato di ripetuti bandi di gara internazionali, di verifiche e adeguamenti del progetto tecnico da parte dei migliori ingegneri del mondo, di studi di fattibilità sui diversi impatti assegnati con gare internazionali alle più accreditate istituzioni scientifiche, della predisposizione di speciali strumenti per bloccare infiltrazione criminali (ovunque e sempre possibili per una grande opera pubblica, anche se più difficili per un’opera ad altissima tecnologia e di massima trasparenza pubblica e visibilità internazionale). Per questo figura nel 2002 tra le grandi opere prioritarie nell’ambito della realizzazione del corridoio 1 Berlino-Palermo del sistema transeuropeo ed è ammesso al contributo finanziario dell’Unione.

Nel 1996, a cinque anni dalla presentazione del progetto di massima da parte della Società Stretto di Messina (costituita nel 1981 con capitale FS, Anas, Regione Calabria, Regione Sicilia e Iri), è stato riproposto dal governo Prodi in quanto “ponte d’Europa”; poi incluso nella omnicomprensiva “legge Obiettivo” dei governi di Berlusconi; quindi, e proprio per questo, avversato dal nuovo governo Prodi sotto il ricatto della sua stessa maggioranza; e ancora tornato attuale con l’ultimo governo Berlusconi. Nonostante le oscillazioni politiche, la più recente gara internazionale individua il general contractor in Eurolink e in Parsons Trasportation Group il project managment consultant; ma la grande opera, con un piano finanziario di 6,7 miliardi per ponte e collegamenti terrestri e un previsto contributo pubblico di 1,2 miliardi a contratto sottoscritto, nel novembre del 2012 viene cancellata dai programmi nazionali dal governo Monti, che decide anche la liquidazione della Società Stretto di Messina, mostrando di preferire alla realizzazione del collegamento la corresponsione di una penale a Eurolink di ben 790 milioni.

Nel frattempo nell’altra metà del Paese il costo dell’alta velocità ferroviaria, fondamentale ma efficace solo se realizzata con logica di sistema e non regionale, ha abbondantemente superato il centinaio di miliardi (di cui, per esempio, 530 milioni per la Stazione ferroviaria a tre livelli nel nodo di Bologna e 79 milioni per il bel progetto di Calatrava nella poco strategica stazione di Reggio Emilia). Per la Tav Torino-Lione, assai più costosa del ponte sullo Stretto, si sono battuti invece tutti i governi italiani, contro gli stessi valligiani ostili. Ma senza ponte e con la popolosa Sicilia ancora separata, niente trasporti efficienti a Sud di Napoli e niente alta velocità ferroviaria; nessuna concorrenza tra modalità, quindi maggiori costi dei trasporti in mezzo Paese. Anche in una condizione della ristrettezza delle risorse pubbliche, è valso evidentemente il principio poco lungimirante che valga la pena di spendere, purché non al Sud!

Ed ecco gli ultimi paradossi. Del "progetto Ponte" è stata realizzata la variante ferroviaria di Cannitello, preparatoria di impegnativi cantieri. Eurolink ha aperto il contenzioso per la penale, e proprio per l’esistenza del contenzioso la Società Stretto di Messina è stata liquidata ma non ancora sciolta. Sparito dai programmi trasportistici nazionali, il ponte non è sparito dal disegno delle reti continentali, ma è stato declassato. Dall’European Core Network è stato catapultato nelle cosiddette reti comprehensive, quelle periferiche, mentre il corridoio Berlino-Palermo è diventato Helsinki-Palermo, dove arriva non attraversando l’intero stivale con le ferrovie veloci, ma dopo aver deviato dall’Adriatico a Malta.

In conclusione, la vista corta di un Paese diviso ha assecondato l’indebolimento nella stessa Unione europea degli originari programmi di inclusione territoriale e di rafforzamento di sé proprio dove sarebbe stato più necessario, ossia nella sua parte mediterranea. È stata sprecata una vera opportunità. Per questo la recente ripresa in considerazione del progetto del ponte sullo Stretto, paradossalmente abbandonato ma paradossalmente mai morto, può persino riaccendere un barlume di speranza: a condizione che non inauguri la replica di una commedia a questo punto per tutti umiliante.