Il 27 maggio 2022 la Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca guidata dal metropolita Onufrij (Berezovskij) ha affermato la propria autonomia e indipendenza. La decisione è stata giustificata facendo riferimento alla decisione del Consiglio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 25-27 ottobre 1990, che aveva riconosciuto alla Chiesa ortodossa ucraina piena autonomia.
Con questa decisione, la Chiesa ortodossa ucraina ha manifestato il suo disaccordo con la posizione del patriarca Kirill rispetto alle operazioni militari in Ucraina e, in particolare, con la manifestazione del suo supporto alle forze armate russe. Durante la celebrazione dell’8 maggio 2022 presso la cattedrale della risurrezione di Cristo, chiamata anche cattedrale delle forze armate della Federazione russa e considerata dal ministro della difesa Sergej Šojgu il simbolo della spiritualità delle forze armate russe che si sono impegnate per difendere la loro patria, il patriarca Kirill aveva infatti espresso il suo sostegno a tutti coloro che difendono la patria russa ai vari confini, chiedendo ai fedeli di pregare affinché l’esercito potesse avere la forza spirituale necessaria per poter continuare a portare avanti il proprio compito nel corso delle operazioni militari speciali in atto.
All’inizio del mese di maggio, del resto, la Verkhovna Rada ucraina aveva registrato due leggi che minacciavano l’esistenza della Chiesa legata al patriarcato di Mosca in Ucraina. La prima legge era stata proposta dal partito Svaboda e prevedeva l’introduzione di un veto alle attività della Chiesa ortodossa russa (Cor) in Ucraina. Il secondo documento era stato invece proposto dai partiti Servitori del popolo e Holas, e si inseriva nelle disposizioni della legge sulla libertà di coscienza e delle associazioni religiose vietando le attività delle associazioni religiose che fanno riferimento a una struttura che si trova al di fuori dell’Ucraina, in uno Stato considerato aggressore.
Durante la celebrazione della divina liturgia del 29 maggio alla chiesa del Cristo salvatore, il patriarca Kirill ha manifestato la sua comprensione per la scelta di Onufrij e di tutto l’episcopato della Chiesa ucraina, esprimendo allo stesso tempo la speranza che nessuna interferenza esterna potesse contribuire a rendere questa decisione il primo passo verso la «distruzione dell’unità spirituale del nostro popolo».
L’osservazione si riferisce alla convinzione che i politici ucraini e del mondo occidentale abbiano usato l’autocefalia come strumento per sabotare il Russkij Mir, il progetto attraverso il quale lo Stato e la Chiesa russa hanno provato a ristabilire l’unità dei popoli della santa Rus’ dopo l’indipendenza del 1991.
Il patriarca Kirill teme che l’autocefalia sia stata usata come strumento per sabotare il Russkij Mir, il progetto attraverso il quale lo Stato e la Chiesa russa hanno provato a ristabilire l’unità dei popoli della santa Rus’ dopo l’indipendenza del 1991
L’ideologia del Russkij Mir è stata promossa da Kirill attraverso il Consiglio mondiale del popolo russo, fondato nel 1993, quando Kirill dirigeva il Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca ed è poi diventata una vera e propria idea nazionale, in cui però il significato dell’aggettivo russo va oltre il concetto stesso di nazionalità e si riferisce a un concetto più ampio, culturale, che travalica i confini della stessa Russia. Il patriarca Kirill infatti ha più volte ribadito che «la storia dello Stato russo è la storia di tutta la santa Rus’» e che i progetti di legge discriminatori contro l’unica Chiesa canonica in Ucraina, gli appelli al patriarcato ecumenico per il riconoscimento dell’autocefalia, fossero il risultato della coincidenza degli interessi degli uniati ucraini e degli scismatici (quelli che fino al 2018 erano i rappresentanti e i seguaci della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev guidata da Filaret (Denisenko) e della Chiesa ortodossa autocefala ucraina guidata da Makarij (Maletyč)) sulla base della politicizzazione della sfera religiosa e dell’ideologia nazionalista radicale.
Lo stesso metropolita Hilarion Alfeyev alla vigilia del concilio di unificazione svoltosi il 15 dicembre 2018 al Fanar con il quale veniva riconosciuta la Chiesa ortodossa dell’Ucraina o, secondo la sua denominazione ufficiale, la metropolia di Kiev della Chiesa ortodossa ucraina, aveva definito il concilio come un atto volto a legittimare lo scisma ucraino. Hilarion, dal 2009 a capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne e il 7 giugno rimosso dai suoi incarichi e nominato dal sinodo dei vescovi della Cor, metropolita di Budapest, aveva ricordato che nel gennaio del 2016 il Patriarca Bartolomeo davanti ai Primati e ai delegati di tutte le Chiese ortodosse locali si era rivolto al metropolita Onufrij riconoscendolo come unico capo canonico dei credenti ortodossi in Ucraina.
Proprio per questo motivo, dal suo punto di vista, la scelta del patriarca Bartolomeo di riconoscere l’autocefalia della nuova Chiesa era da considerare il risultato di pressioni secolari che non tenevano conto della volontà dei credenti ucraini. La nuova Chiesa non poteva comunque essere considerata una struttura nazionale e autocefala proprio in ragione del suo legame con il patriarcato di Costantinopoli.
La contrapposizione del Russkij Mir rispetto al mondo esterno e occidentale è emersa chiaramente nel discorso del 6 marzo in cui Kirill ha criticato i valori offerti da chi oggi rivendica il potere mondiale, che si sintetizzano nella richiesta di organizzare parate gay come segno di lealtà nei confronti di questo potere. Coloro che si rifiutano possono considerarsi esclusi da questo circolo del potere.
La sinfonia tra la Cor e il Cremlino è stata confermata anche dal presidente Putin, che nel discorso tenuto in occasione del decimo anniversario del patriarcato di Kirill ha mostrato più volte la sua gratitudine nei confronti dell’impegno del patriarca nel tutelare l’unità del territorio canonico della Chiesa russa. I motivi per cui è così importante difendere questa unità, sono illustrati in maniera dettagliata nell’articolo del 12 luglio 2021 intitolato Sull’unità storica di russi e ucraini in cui il presidente Putin ricordava che «Kiev è la madre di tutte le città russe», che i Paesi occidentali hanno interferito nella politica ucraina promuovendo una ideologia russofoba, e che nonostante la Russia rispetti «la lingua, le tradizioni e l’indipendenza ucraine», la vera sovranità dell’Ucraina è possibile soltanto in «collaborazione con la Russia». Anche la nuova Strategia di sicurezza nazionale della Russia sottoscritta da Putin il 3 luglio 2021, che è un aggiornamento della versione del 2015, lascia molto spazio alla difesa dei valori morali-spirituali russi, della memoria e della cultura del Paese. Il documento menziona chiaramente la necessità di proteggere il popolo della Russia considerato la base della sovranità della Federazione Russa.
Putin nel discorso tenuto in occasione del decimo anniversario del patriarcato di Kirill ha mostrato più volte la sua gratitudine nei confronti dell’impegno del patriarca nel tutelare l’unità del territorio canonico della Chiesa russa
Allo stesso tempo, rispetto all’accusa di una condotta troppo vicina alla politica statale, il patriarca Kirill ha sempre ribadito che la Chiesa non ha il potere di presentarsi in opposizione allo Stato, ma semplicemente di non sostenere un determinato partito politico perché un simile atteggiamento equivarrebbe a dividere la società civile in varie parti e a supportare soltanto una di queste parti. Al contrario, l’obiettivo della Chiesa è quello di assicurarsi la possibilità di poter esercitare la propria influenza su quelle che sono le questioni più importanti che interessano la vita sociale. Questa convinzione fa di fatto eco a quanto dichiarato al paragrafo 3 dei Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa, approvata dal Consiglio dei vescovi della Cor il 15 agosto 2000.
È importante sottolineare che secondo lo stesso paragrafo del documento a cui si è fatto riferimento, la Chiesa non può cooperare con uno Stato che ha scatenato una guerra e che secondo quanto riportato al paragrafo 8, essa è tenuta ad adattare il suo comportamento in base al fatto che si tratti di una guerra difensiva oppure offensiva. È importante anche ricordare che il documento prevede la possibilità della disobbedienza civile nel caso di disaccordo con le azioni intraprese dallo Stato (par. 3.5).
In seguito alla decisione della Chiesa ortodossa ucraina, il sinodo del 7 giugno della Chiesa ortodossa russa ha deciso di porre sotto la diretta tutela del patriarcato di Mosca le diocesi presenti in Crimea (Dzhankoy, Simferopol e Feodosiya).
In realtà, la condanna alla reazione del patriarca alla guerra era stata manifestata non soltanto dalla decisione della Chiesa ortodossa ucraina di proclamare la propria indipendenza: già prima di questa decisione infatti, molte chiese avevano smesso di commemorare Kirill durante la liturgia. Inoltre, a maggio 2022, 424 comunità avevano lasciato la Chiesa del patriarcato di Mosca per unirsi alla neo-costituta Chiesa ortodossa dell’Ucraina. Così come notato dal sito risu.org, questo dato è rilevante in quanto, dopo sei mesi dal riconoscimento dell’indipendenza della nuova Chiesa, solo poco più di 500 comunità si erano unite a essa.
Sebbene sia quindi sicuramente giusto ricordare che il termine autocefalia non fosse menzionato dal concilio del 27 maggio, allo stesso tempo questi dati mostrano la profondità della frattura all’interno del patriarcato di Mosca e mostrano che non è possibile rapportarsi a essa considerando soltanto il ruolo della politica ucraina e occidentale, e quello di Costantinopoli così come sostenuto da Mosca, ma che è importante considerare anche il modo in cui negli ultimi anni sia cambiato il rapporto della Chiesa con il Cremlino.
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