Il settore dell’automotive sta attraversando una fase che, come sempre nei casi di transizione tecnologica, appare connotata da una notevole incertezza, caratterizzata, da un lato, dall’entrata di nuovi produttori e, dall’altro, dalla sperimentazione e dalla competizione tra standard tecnologici alternativi, potenzialmente capaci di sostituire il paradigma prevalente. Turbolenze e incertezze dovrebbero terminare con l’emergere di nuovo “design dominante” oppure, come si è verificato nelle telecomunicazioni, per impulso accelerativo dei policy makers.

Nel caso dell’automotive, la transizione è condizionata, se non imposta, da decisioni pubbliche. L’affermarsi dei motori elettrici e di altri tipi di propulsioni non solo è frutto di un salto tecnologico delle imprese, ma riflette anche vincoli normativi stabiliti dai governi e da autorità sovranazionali.

Ad oggi non è ancora emerso un nuovo standard dominante, né è ancora chiaro quale sia la tecnologia migliore per ridurre l’impatto ambientale. L’obiettivo ultimo consiste nell’abbattere le emissioni di CO2 provocate dalla circolazione di autoveicoli? O è invece quello di ridurre l’impatto ambientale complessivo, inclusi i costi esterni di congestione e quelli derivanti dallo smaltimento dei veicoli e dei loro componenti? O ancora, si tratta in primo luogo di minimizzare l’impatto economico e ambientale dei cicli produttivi?

Uno dei rischi principali legati all’adozione di un nuovo standard è la possibilità che l’investimento non produca i risultati desiderati. L’incertezza sull’evoluzione della tecnologia potrebbe far prevalere uno standard che, ex post, si rivela inefficiente o incompatibile con l’evoluzione del settore, innescando forme di lock-in tecnologico. Se così fosse, verrebbero dissipate significative risorse finanziarie e imprenditoriali. Anche per questo da parte dei governi dovrebbe apparire preferibile una scelta più prudente, del tipo “wait and see”, che del resto trova un fondamento nella teoria economica delle cosiddette “opzioni reali”.

Il tema della sostenibilità ambientale si interseca con quello dell’impatto economico e sociale del mutamento di paradigma industriale

In ambito europeo si è invece deciso di sostenere la tecnologia elettrica e si è fissato un limite temporale – il 2035 – alla produzione di motori endotermici. Il tema della sostenibilità ambientale, tra l’altro, si interseca con quello dell’impatto economico e sociale del mutamento di paradigma industriale. Né possiamo nascondere il fatto che la scelta dell’elettrico penalizzi non poco l’industria europea dell’automotive. Una scelta ponderata della soluzione ottimale al problema della riduzione dell’impatto ambientale della mobilità privata richiederebbe allora un’analisi completa delle prestazioni ambientali di ciascuna tecnologia (elettrico, idrogeno, biofuel, e-fuels), tenendo conto del ciclo di vita del veicolo, della filiera di generazione dell’energia primaria, così come dei costi occupazionali e sociali delle tecnologie e dei loro tempi di adozione.

In Italia il percorso di transizione verso una mobilità privata più sostenibile è ritardato dalle caratteristiche strutturali del parco veicoli circolante, caratterizzato da un’elevata età media, molto più che in altri Paesi europei e via via crescente (come mostra l’andamento dall’ancora maggiore età delle auto rottamate, Fig. 1). Ancora nel 2022 circa un quarto delle auto in circolazione aveva un’età superiore ai vent’anni (Fig. 2).

Pertanto, terminare nel 2035 la produzione (e la vendita) di auto con motore endotermico (come previsto dall’accordo raggiunto in sede europea nel febbraio scorso e sancito dal Regolamento 2023/851/Ue) produrrà, almeno fino a tale data, benefici piuttosto limitati sul volume complessivo delle emissioni nocive riconducibili alla mobilità veicolare: ciò a causa dell’inevitabile isteresi della traiettoria di rinnovo del parco.

Simulazioni di scenario da noi svolte delineano due possibili evoluzioni della domanda di nuove auto elettriche fino al 2035, stimandone gli effetti sulla riduzione delle emissioni nocive rispetto a uno scenario inerziale di riferimento.

Data la consistenza iniziale (al 2022, dati Aci) del parco veicolare non commerciale e la sua composizione per propulsione, ne viene declinata l’evoluzione dovuta sia al “naturale” processo di rinnovo, sia alla sostituzione di autovetture più inquinanti con mezzi più puliti, incentivata da sussidi pubblici sul prezzo di acquisto di auto elettriche a fronte della rottamazione di un’autovettura a motore endotermico. La domanda risente dell’elasticità di sostituzione al prezzo del nuovo; di contro, non sono considerati gli effetti via costo d’uso del veicolo a vita intera, su cui incidono le spese di esercizio e gli oneri fiscali (vedi A. Sileo e M. Bonacina, The automotive industry: when regulated supply fails to meet demand. The Case of Italy, Feem Working Papers, 1, 2024). Cruciali ai fini dei risultati sono le ipotesi sui ritiri (rottamazioni e radiazioni di auto).

Poiché la profondità della riconversione della flotta verso modelli meno inquinanti, per data obsolescenza tecnico-economica, è funzione diretta dell’intensità dell’incentivo sul prezzo di mercato, ne deriva che a sussidi più elevati corrispondono maggiori riduzioni delle emissioni nocive rispetto alla baseline (per dati chilometri percorsi) ma anche maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

L’esercizio è dinamico ma ha natura meccanica: non si basa sulla stima di funzioni comportamentali, limitandosi invece a incorporare valori plausibili dell’elasticità al prezzo della vettura elettrica (sia proprio, sia rispetto a quello di vetture con motore endotermico). Consiste, dunque, nel tracciare sentieri di evoluzione del parco basati su un’applicazione del cosiddetto “metodo dell’inventario permanente”, dove la consistenza in un dato anno riflette identicamente il livello dell’anno precedente, maggiorato dal saldo fra nuove immissioni (immatricolazioni) e ritiri (rottamazioni).

I due scenari considerati si differenziano per la risposta del mercato alle ipotesi di incentivazione all’acquisto di veicoli pienamente elettrici (Bev) oltre che per il ritmo di azzeramento delle nuove immatricolazioni endotermiche e ibride (l’accordo raggiunto in sede europea estende infatti il divieto di vendita dopo il 2035 anche ai veicoli con motorizzazione ibrida). Effetti significativi di contenimento delle emissioni climalteranti cumulate derivano dall’intensità di rottamazione del parco in essere. Le nuove immatricolazioni annue di auto elettriche salgono dalle quasi 160.000 unità del 2022 (pari al 3,7% del totale) alle oltre 300.000 del 2035 (88%) nello scenario “basso” e a quasi 1,1 milioni di unità (equivalente al totale del venduto) in quello “alto”, sempre al 2035.

Effetti significativi di contenimento delle emissioni climalteranti cumulate derivano dall’intensità di rottamazione del parco in essere

L’imposizione del vincolo di azzeramento delle vendite di veicoli endotermici e ibridi entro il 2035 e l’ipotesi di una ricomposizione parziale della domanda di nuove autovetture verso l’elettrico comportano la graduale riduzione della consistenza del parco auto, che scenderebbe dai circa 40 milioni di autovetture del 2022 ai 31-35 milioni a fine periodo, a seconda degli scenari. In assenza di una forte flessione del prezzo di vendita delle auto elettriche, accompagnata da profondi mutamenti delle condizioni di contesto (infrastrutturale, trasportistico ed economico), il rimpiazzo integrale della domanda aggiuntiva è infatti da ritenersi poco plausibile.

Di conseguenza, le emissioni totali annuali di anidride carbonica (CO2, il principale responsabile del riscaldamento delle temperature globali) fletterebbero sia nella baseline, sia nei due scenari alternativi, sebbene con diversa intensità. Verrebbe evitato un volume di emissioni di CO2 dell’ordine di 25 e 110 milioni di tonnellate in termini cumulati (pari al 3,1 e al 13,4% rispettivamente) rispetto allo scenario di riferimento (Fig. 3). Flessioni di analoga entità verrebbero registrate dai quattro agenti climalteranti considerati nell’esercizio (sono considerati i seguenti 4 agenti: CO, Carbon Monoxide; HC, Hydrocarbons; NOx, Nitrogen Oxides; e PM 2.5, Particulate Matter).

Tale relativa esiguità dei benefici ambientali riflette la lentezza della penetrazione delle auto a basso impatto ambientale: nel 2035 le autovetture con propulsione endotermica continuerebbero a rappresentare ben oltre la metà dell’intero parco circolante (tra il 62 e l’86%, a seconda degli scenari: vedi P. Ranci, Vietare la vendita delle autovetture a motore endotermico dal 2035? Note per una discussione, mimeo Astrid, 12.3.2023: Fig. 4).

Per converso, l’onere a carico del bilancio pubblico sarebbe cospicuo: l’esborso cumulato al 2035 dovuto ai sussidi sul prezzo di vendita dei veicoli elettrici risulterebbe dell’ordine di 22 e di 90 miliardi di euro ai prezzi costanti del 2023, rispettivamente, nei due diversi scenari prospettati.

Nelle nostre simulazioni da qui al 2035, la riduzione differenziale delle emissioni risulta condizionata dal permanere di una frazione non esigua di propulsioni endotermiche sul parco in essere. Ciò anche nell’ipotesi più ottimistica (e al momento poco verosimile, oltre che alquanto onerosa per la finanza pubblica) di una marcata penetrazione delle auto elettriche sulle nuove immatricolazioni e di una rottamazione accelerata di quote del parco circolante. La relativa esiguità del beneficio ambientale ottenuto a fronte degli elevati esborsi pubblici suggerisce di considerare criticamente l’efficacia delle incentivazioni, non trascurando ulteriori strategie di transizione.

Tra queste potrebbe essere valutato un ricorso transitorio ai bio-carburanti di terza generazione e a quelli sintetici – i cosiddetti e-fuels, del resto ammessi, su insistenza tedesca, nell’accordo europeo del febbraio 2023. Tale scelta avrebbe il vantaggio di richiedere limitati adattamenti del parco auto tradizionale e delle reti di distribuzione del carburante; in più forse basterebbero sussidi pubblici contenuti. Di contro, si darebbero aiuti pubblici a una soluzione tecnologica con benefici ambientali certamente positivi ma non risolutivi, per di più con una vita utile limitata nel tempo (dai dieci ai vent’anni).

In questo caso il rischio consisterebbe nel sostenere una tecnologia che nasce già con un orizzonte temporale limitato e, dunque, nel possibile accumulo di “costi irrecuperabili”, sia privati, sia pubblici. Non sarebbero da trascurare anche i possibili conflitti con la normativa a tutela della concorrenza in materia di aiuti di Stato derivanti dal sostegno selettivo a specifiche filiere produttive nel settore dei carburanti, in Italia dominate da un piccolo numero di grandi imprese di origine pubblica.