La Convenzione nazionale del 9 aprile ha decretato il successo di Matteo Renzi nella prima fase delle primarie, quella riservata ai soli iscritti. Hanno votato 266.054 tesserati al Pd, pari al 59,1% degli iscritti, fra il 5 e il 6% in più rispetto alle precedenti occasioni nel 2009 e nel 2013. E Renzi è risultato primo con il 66,7% dei voti, staccando Andrea Orlando (25,3%) e Michele Emiliano (8%). Un risultato che lascia ben pochi dubbi circa gli esiti che ci si può aspettare dalle primarie del 30 aprile. Michele Emiliano appare troppo distante per poter rappresentare una minaccia credibile. Andrea Orlando sembra ormai destinato a svolgere un ruolo da comprimario. E se il presidente della Regione Puglia manifesta tutti i limiti tipici di una candidatura puramente territoriale, il ministro, anche qualora dovesse riuscire a coalizzare intorno alla sua figura gli elettori del Pd a vario titolo delusi dalla leadership renziana, difficilmente potrebbe disporre delle condizioni necessarie per riuscire in un clamoroso sorpasso. Perciò Renzi, a quasi due settimane dal fatidico 30 aprile, data in cui gli elettori del Pd saranno chiamati alle urne (o, meglio, ai gazebo) per votare il nuovo segretario, può dormire sonni sereni: la sua vittoria può darsi pressoché per scontata. Anche se la vera partita che attende Renzi, e il voto dei circoli ne è la conferma, riguarda non le primarie ma le prossime elezioni politiche. E se nessuno mette più in discussione la sua egemonia nel Pd, il suo appeal sull'elettorato italiano sembra alquanto incerto.

Il voto dei circoli, infatti, ha messo chiaramente in luce come il segretario uscente del Pd abbia in questo momento il pieno controllo del suo partito. In dodici regioni su venti, Renzi ottiene percentuali addirittura superiori al 65%. Nelle "regioni rosse”, che un tempo si sarebbero dette patrimonio inespugnabile del partito old style, ossia la "ditta" di bersaniana memoria, si registrano consistenti aumenti del tasso di affluenza rispetto alle convenzioni di circolo del 2013, oltre che percentuali a favore di Renzi di poco inferiori al 70%. Renzi ottiene il maggior numero di consensi in Alto Adige, Campania, Marche, Sicilia, Lazio e Lombardia. Orlando è andato meglio nelle regioni rosse, ma anche in Trentino e nel Lazio, mentre non è riuscito a sfondare al Sud, anche a causa della presenza di Emiliano, che ha avuto la meglio nella sua Puglia, ma ha fatto registrare buoni risultati anche in Abruzzo e Basilicata.

È vero che gli iscritti del Partito democratico sono in costante calo, così come accade a tutti i partiti del mondo occidentale, e ciò fa sì che le percentuali di affluenza al voto nei circoli riguardino in assoluto numeri piuttosto bassi. Non si tratta dei più di 800.000 iscritti di cui poteva disporre il Pd nel 2009, che reduce dalla leadership di Veltroni e prossimo a quella di Bersani era riuscito a far tornare alla politica anche molti militanti ex Pci ed ex Dc. È però anche vero che le percentuali di affluenza alle convenzioni di circolo che si sono appena concluse, rispetto al numero degli iscritti, restano molto elevate. E questo è in ogni caso un dato positivo, in quanto sta a significare che la cerchia ristretta dei militanti risulta, a parità di condizioni, assai più mobilitata. Un fenomeno che può legittimamente intendersi come esito del fatto che un partito delle primarie, che di per sé non è più un partito degli iscritti, può trovare comunque nel più ristretto nucleo dei suoi militanti delle motivazioni alla mobilitazione politica assai più intense. A ciò, con tutta probabilità, ha contribuito anche la difficile fase politica che il Pd sta attraversando: all'indomani della sconfitta al referendum costituzionale, le dimissioni del governo Renzi e l'avanzata nei sondaggi del Movimento 5 Stelle hanno spinto molti militanti ad attivarsi, per sostenere il partito in questo difficile momento e per cercare di partecipare attivamente alla campagna elettorale delle primarie, di cui le convenzioni di circolo costituiscono il primo fondamentale passaggio.

Un altro aspetto importante, che riguarda sempre il consolidamento del consenso interno al Pd che può oggi vantare Renzi, trova riscontro nel fatto che il partito emerso dalle convenzioni di circolo, che si ritrova prevalentemente nelle posizioni politiche del suo segretario, abbia conservato quello che era il suo insediamento territoriale tradizionale.

Con ciò, il partito a "trazione renziana" è un soggetto che non ha cambiato pelle rispetto alle sue caratteristiche più tradizionali, dall’insediamento territoriale alla composizione sociografica del suo elettorato. Si tratta piuttosto di un partito che in questo momento ha trovato un nuovo punto di equilibrio nella leadership di un segretario che è probabilmente avvertito come l’unico in grado di guidarlo con qualche probabilità di successo in questo momento.

Ma le cose vanno diversamente se consideriamo il grado di consenso al quale Renzi può aspirare all’esterno del suo partito. La recente scissione con Articolo 1-Movimento democratico e progressista ne la prova più evidente. Da un lato, perché contribuisce ad alimentare l’immagine di un partito perennemente diviso. Dall’altro, perché proprio a causa della suddetta scissione il Pd corre il rischio di perdere quei 3-5 punti percentuali, che alla fine, potrebbero essere decisivi nel confronto a distanza con il Movimento 5 Stelle. Ulteriori indizi a favore di questa potenziale debolezza esterna del leader democratico si possono ancora una volta trovare nel voto dei circoli. Dal momento che le regioni in cui Renzi vince meglio sono anche quelle in cui soltanto quattro mesi prima aveva dovuto scontare le percentuali più alte di "No" al Referendum costituzionale. Prende così forma un paradosso, destinato con tutta probabilità ad assillare Renzi da oggi alle prossime elezioni politiche: nel momento in cui può ritenere di avere definitivamente conquistato il suo partito, ciò può non risultargli sufficiente per andare al governo del paese.

 

[“Questioni Primarie” è un osservatorio sulle primarie. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione con l’edizione online della rivista “il Mulino” e il coinvolgimento dell’Osservatorio sulla Comunicazione Pubblica e Politica dell’Università di Torino. Qui i numeri completi di “Questioni Primarie” 2017.]