In un agosto particolarmente concitato sono state pubblicate alcune notizie su fatti gravissimi. Benché non più gravi non più di quanto sia emerso e ancora stia emergendo del sistema di corruzione politica operata da cricche, logge, consorterie. Si tratta, come sempre, di notizie che destano prima incredulità e poi una sorta di malessere che sconfina con la rabbia impotente. Tuttavia, la rabbia non deriva solo dalla conoscenza in sé di un malaffare, ma dal fatto che questa stessa conoscenza, portata di fronte all’opinione pubblica, finisca poi affogata in un terreno paludoso, simile a sabbie mobili, da cui può venire ripescata solo di tanto in tanto, più che altro per non lasciarci dormire sonni tranquilli che per illustrare il seguito della storia o per trarne indicazioni operative al fine di evitare, in futuro, simili errori. Ma queste vere e proprie bombe mediatiche che dissotterrano fatti, anzi misfatti (sicuramente noti a molti), protratti nel tempo, a volte per decenni, hanno delle conseguenze? Creano un’indignazione pubblica, sanzioni per i responsabili o quant’altro? Migliorano le procedure di decisione e di controllo? Che cosa ne è dell'inchiesta benemerita di Sergio Rizzo sul record delle opere interrotte in Italia? Come ebbe a dire il procuratore antimafia Piero Grasso (per riprendere le parole riportate dal giornalista del "Corriere") le opere incompiute sono ben 357 e  “di queste più della metà in Sicilia. Abbiamo viadotti sospesi, dighe senz’acqua, stadi senza gradinate. Su un ponte, tra due piloni, hanno costruito una casa abusiva. Così abbiamo anche il primo ponte abitato”. Ma in questi giorni di fine estate ben altri fatti sono tornati alla ribalta fatti di cui, nell’indifferenza dei pubblici poteri, si parla da decenni - così incredibili da non sembrare veri. Dato lo spazio di questa nota mi limito a due casi emblematici.

Il primo riguarda un’inchiesta uscita su “la Repubblica” del 19 agosto dal titolo esemplificativo: “Puglia, il lebbroso fantasma, trecento letti nessun paziente”. Sottotitolo: “Per la Colonia Miulli la Regione paga 7 milioni l’anno”. Lebbrosi in Italia? Quei rarissimi casi (tutti extracomunitari) si curano ormai negli ospedali per il cui funzionamento i cittadini pagano già fior di quattrini. E gli amministratori pubblici? Non controllavano per paura del contagio? Un fatto emerso solo per via di una denuncia presentata alla Procura della Repubblica di Bari da una dipendente arrabbiata. Che ne sarà del lebbrosario? La Regione Puglia continuerà a pagare per malati inesistenti?

Il secondo caso è ancora più importante. Emerge come notizia agostana, ma già l’anno scorso un’inchiesta di Ferruccio Sansa pubblicata sulla “Stampa” aveva segnalato: “Tirrenia, la flotta nata per il rilancio marcisce in porto”. Poiché il tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato lo stato di insolvenza per la compagnia di navigazione pubblica (per oltre 600 milioni di euro), ritorna la “notizia” secondo cui agli inizi degli anni Novanta furono varate navi ultraveloci, veri e propri gioielli della tecnologia moderna, che avevano però il difettuccio di bersi tonnellate di gasolio per fare poche miglia. Navi che adesso marciscono in porto (e con loro i milioni di euro che sono costate ai contribuenti).

La domanda ovvia, “come è potuto succedere che non siano stati verificati prima i costi?”, viene sommersa da un’altra: “in tutti questi anni i responsabili hanno pagato per la propria inettitudine?”.

Abbiamo bisogno di sapere come va a finire, se c’è qualcuno che in Italia paga dazio per i propri misfatti. Altrimenti c’è il rischio che aumenti il senso di impotenza dei comuni cittadini e, con esso, la sfiducia e l’indifferenza atavica del “tanto non cambia nulla”. Un modello di questo tipo di informazione è stata, e ci auguriamo potrà continuare ad essere, la trasmissione di inchiesta di Rai3, “Report”, che prevedeva, dopo l’indagine sul (mal)funzionamento di molti aspetti dell’Italia di oggi anche una specifica rubrica “com’è andata a finire?”, racconto degli esiti infausti, ma a volte anche positivi di tali indagini.