Nella mia libreria mentale, dove tutto è stereotipo, Antonio Franchini era associato a un immaginario di archetipi virili: lottatori, pugili, soldati e samurai, uomini eroici, in tensione fisica e ideale. Gli autori che per inclinazione o scelta guardano a un simile immaginario potrebbero andare in difficoltà quando chiamati a dar corpo a personaggi femminili credibili e interessanti. Non so perché, ma ormai mi ero convinto che Franchini fosse uno di quegli autori. Istituzione particolarmente venerata in Italia, la mamma come tema letterario è un bene rifugio a buon mercato, che da noi ha prodotto letteratura mediocre (tanta) e libri memorabili (pochi). Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio, 2024), che Franchini ha dedicato a sua madre Angela, è un libro memorabile e la dimostrazione che anche i proverbi ogni tanto possono sbagliare: la mamma non è sempre la mamma.

Questo memoir ha tre caratteristiche che fanno subito colpo: un titolo accattivante, una bella copertina e un incipit spiazzante, in grado di agganciare chiunque: «Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza». Il libro si muove fra Napoli e Milano, due città i cui immaginari si intrecciano nella storia personale di Franchini: figlio di Angela, beneventana di origini modeste, e del più vecchio Eugenio, borghese napoletano, l’autore e narratore ha lasciato Napoli poco più che maggiorenne per cercare fortuna a Milano, diventando negli anni uno degli uomini di punta dell’editoria italiana e un apprezzato scrittore.

La penna di Franchini attraversa diversi piani temporali, che intrecciano le origini, la giovinezza e la maturità dei personaggi principali: il narratore con le due sorelle, il padre Eugenio, figura del riserbo, e, ovviamente, Angela, di cui sono raccontate le gesta, se così possiamo chiamarle, dalla gioventù fino agli anni finali, quelli del trasferimento a Milano e di un imprevisto riavvicinamento al figlio. È un periodo difficile per lei e per chi le sta vicino, un circo di decadenza e paranoia. Intorno a questi personaggi l’autore dispone un teatro di figure minori, appartenenti al parentado o comunque orbitanti intorno alla famiglia, tutte sagomate con efficacia anche quando scomodate per ruoli marginali.

Il fuoco che ti porti dentro è anche un libro sui rapporti fra Nord e Sud, su come questi due mondi si pensano e si rappresentano a vicenda, spesso fraintendendosi

Franchini tira con accuratezza i diversi fili di questo intreccio e racconta con spirito d’osservazione e notevole sensibilità l’avvicendarsi delle generazioni, distinguendo cosa in questo processo si mantiene e cosa invece si trasforma o si perde. Per sineddoche, Il fuoco che ti porti dentro è anche un libro sui rapporti fra Nord e Sud, su come questi due mondi si pensano e si rappresentano a vicenda, spesso fraintendendosi; è anche un libro sull’Italia, scritto da un autore nato alla fine degli anni Cinquanta, appartenente alla prima generazione priva di grossi traumi storico-sociali, che spesso si trova ad affrontare la morte dei genitori in età molto avanzata.

Che madre è Angela Izzo? Per descriverla, Franchini indugia sulla semantica dell’avversione, percorrendo tutta la tastiera alla ricerca della giusta nota, senza trovarla mai una volta per tutte: disgusto, disprezzo, odio, rancore, schifo, davvero non ne manca una. Angela è dipinta come una donna violenta e viscerale, incline al disprezzo di tutto ciò che non rientra nei suoi assiomi esistenziali, insieme radicati e volubili. È una donna piena di difetti: fatalista, campanilista, la sua visione del mondo è improntata all’utilitarismo in società e al reazionarismo in politica. Sedotta da ogni stereotipo, è capace alla bisogna di cambiare opinione e umore a seconda delle convenienze. Angela si esprime solo per anatemi, capricci, lamenti, imprecazioni e offese, maldicenze e pettegolezzi: in ogni caso, non si può negarle un certo talento nel dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato. Afflitta da mali incomprensibili, che i medici non riescono a risolvere, Angela resta un caso indecifrabile anche per il narratore, nel cui resoconto la capacità analitica è superata solo dallo stupore di fronte a questo miracoloso concentrato di difetti inconsapevoli e malvagità volontarie.

Senza cercare rifugio nell’ellissi e nell’eufemismo, il racconto procede per episodi narrati in un tempo presente che rimette in scena di fronte agli occhi dello scrittore aneddoti, dialoghi e scene del passato. L’uso del presente permette a Franchini di sfoggiare una delle sue doti migliori, quella del commento gnomico e saggistico, declinato spesso in forma di aforisma. Come una lunga sutura, questa incessante attività di rielaborazione lega le diverse tessere del libro e permette all’autore di addomesticare una materia informe, tutta gangli, qual è l’intreccio dei rapporti famigliari: di capire raccontando, o almeno di provarci coinvolgendo il lettore.

Chi si aspetta un redemption arc rimarrà deluso: Angela non evolve e non si riscatta mai. Eppure, Il fuoco che ti porti dentro è il contrario di un libro vendicativo. Scrivendolo, Franchini ha dato una lezione di misura, affrontando un argomento che induce con facilità alla sbavatura perché si presta al lirismo scadente, agli stereotipi regionalisti, alle richieste di risarcimento o, appunto, alle vendette. L’autore ottiene e mantiene il giusto equilibrio regolando di continuo la sua distanza emotiva rispetto ai fatti narrati: stare troppo distanti rispetto a quel “fuoco” narrativo che Angela impersona lo avrebbe condotto a scrivere un libro freddo, troppo cinico o clinico; d’altro canto, l’avvicinarvisi troppo avrebbe sollecitato altri impulsi deleteri – il troppo coinvolgimento, ad esempio –  che non avrebbero dato un risultato altrettanto compiuto.

Diluisce la viscosità della materia l’attenta dosatura dell’ironia e del comico, registri che l’autore utilizza con grande abilità, in un modo che mi ha ricordato l’esergo di George Santayana che apre Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia, altro narratore sapienziale e maestro di Franchini: «Tutto, in natura, ha una essenza lirica, un destino tragico, una esistenza comica», una massima che descrive bene anche la parabola della protagonista di questo libro. Nella loro irriverenza, molte delle orazioni di Angela sono francamente divertenti, come lo sono anche i dialoghi che animano le esiziali pause caffè che scandiscono la sua fase milanese, quando in vecchiaia, ormai vedova, si trasferirà nell’odiatissimo Nord per occupare un appartamento sfitto nello stesso palazzo dove abita suo figlio.

Giunti alla fine di un libro che ribadisce di continuo un’inscalfibile avversione per la sua protagonista e mattatrice, tale è l’efficacia del lavoro di Franchini che Angela – incapace di qualsiasi costruzione o progresso – risulta una delle figure più memorabili della letteratura italiana recente. Angela incarna il paradosso di un personaggio statico, eppure tridimensionale, sfaccettato e vividissimo. Forse non la si può comprendere, ma, come lettori stregati dalla sua irresistibile odiosità, si ha il potere di perdonarla. L’enigma della sua esistenza resiste alle interpretazioni e può imbarazzare critici e recensori; si ha come la sensazione che ogni affondo analitico manchi il bersaglio, che ogni lettura sia al tempo stesso troppo e troppo poco per rendere piena giustizia a questo personaggio.

Tale è l’efficacia del lavoro di Franchini che la madre Angela – incapace di qualsiasi costruzione o progresso – risulta una delle figure più memorabili della letteratura italiana recente

Scrivendo di questo libro, si corre il rischio di fare di Angela un’allegoria disincarnata, un simbolo astratto, mettendo in atto una sanatoria intellettuale nei confronti di una figura sfumata e volubile, travisandola; l’ansia di fornire chiavi di accesso al personaggio che siano troppo al di sopra della scrittura stessa di Franchini rischia di elevare troppo Angela o di ridurla alla macchietta che non è, privandola di definizione e volume in entrambi i casi. La letteratura non ha il compito di compiere vendette, dispensare perdoni e offrire risposte:

«Chi vuole tentare di capire una persona vera essendo consapevole che conoscere veramente non è possibile e che la persona reale gli sfuggirà comunque, può provare a raccontarla come il personaggio di un romanzo, che è poi ciò che tutti siamo, alla fine, a patto di trovare uno che in un romanzo ci metta» (p. 214).

Ci sono cose che gli scrittori fanno nel racconto e altre, non sempre conformi alle prime, che fanno attraverso l’atto stesso di raccontare: se non un vero e proprio gesto di affetto, Il fuoco che ti porti dentro è sicuramente il giusto tributo alla sua irriducibile protagonista. Fa sorridere pensare che un personaggio così campeggi con la sua sigaretta e col suo sguardo beffardo e sfidante nelle vetrine di ogni libreria d’Italia. Chissà che insulti avrebbe inventato Angela per i lettori di questo libro o chissà se, invece, sarebbe stata lusingata da questa inaspettata ribalta: probabilmente entrambe le cose.