Chi scrive non è un economista né tanto meno un esperto di finanza, banche e affini. Ha però una certa conoscenza del funzionamento dei sistemi politici, e di quello italiano in particolare. Le dimissioni/licenziamento di Alessandro Profumo dalla guida di Unicredit vanno infatti inquadrate in una ottica politica, non economica. In particolare squarciano il velo di ignoranza che era calato sul “modo d’essere e di agire” dei partiti di centrodestra e in particolare della Lega Nord. Da vari anni, e con una accelerazione crescente a partire dal 2008, si è descritta la Lega come un partito di cavalieri senza macchia, estranei alla tanto vituperata “casta”: militanti onesti e dediti solo al bene comune, degni della più frusta oleografia dei comunisti d’annata. Questa immagine, creata con la complicità dei maggiori organi di informazione e certificata dalla allucinante sudditanza dello stesso maggior partito di opposizione (quante volte si è sentito dire da quelle parti “bisogna fare come la Lega”…), sta sgretolandosi a velocità crescente. La vicenda Profumo costituisce la prova più eclatante della lottizzazione “verde” che avanza.Nel più puro, e deteriore, stile democristiano d’antan si vogliono ricondurre le banche sotto il controllo politico. Si ritorna a un passato di commistione tra affari e politica che pensavamo di aver messo dietro alle spalle. Il clamore che aveva sollevato la vicenda Unipol (con Silvio Berlusconi pronto ad andare dal giudice perché Massimo D’Alema, nume tutelare della cooperazione rossa, e Antoine Bernheim, gran capo delle Generali, avevano pranzato assieme e magari parlato di economia… sic!) è inversamente proporzionale alle reazioni politiche a cui abbiamo assistito fin qui. Per una volta, almeno, hanno alzato la voce gli organi di stampa espressione della borghesia produttiva – “Corriere della Sera” e “Sole 24-Ore” – ribadendo i fondamentali del rapporto politica-affari. Speriamo annunci il risveglio da un lungo sonno. E ce n’è un gran bisogno perché il pericolo dell’arretramento a una politica pre-moderna, gretta e parrocchiale, che rifugge dai grandi disegni e dalle sfide globali per ritrovarsi nel suo caldo maso chiuso, è grande. Chi ha come orizzonte la “Padania” molto difficilmente può apprezzare chi non “vede” confini nei propri progetti, chi pensa in termini globali. Qualunque fossero i suoi meriti e i demeriti – non abbiamo qui sufficiente competenza per giudicare – certamente Profumo ha espresso quelle tendenze all’internazionalizzazione e all’autonomia dalla politica di cui questo Paese necessita come dell’aria. E invece assistiamo al ritorno dell’assalto alla diligenza: oggi le banche, in prospettiva le municipalizzate, e domani qualcuna a partecipazione statale di nuovo conio. Circola ormai una nuova nidiata di quei “topi nel formaggio” così vividamente descritti da Paolo Sylos Labini più di trent’anni fa. Se non vengono fermati in tempo ci lasceranno solo le croste.
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