Teorie cospirative che servono a spiegare i grandi e i piccoli eventi della storia e dell’attualità sono in circolazione da qualche secolo. Forse si potrebbe riandare, come primo modello, a quelle fiorite intorno ai gesuiti, che videro anche la diffusione di un primo falso storico, i Monita secreta. Pubblicati a Cracovia nel 1615, dovevano rappresentare le presunte istruzioni segrete indirizzate ai membri della Compagnia di Gesù dal quinto Generale dell’organizzazione.

Sicuramente un impatto più importante lo ebbe la Rivoluzione francese, sconvolgimento che una parte dell’opinione pubblica a essa ostile iniziò ad attribuire all’azione di oscure e terribili sette che agivano nell’ombra e che avevano come scopo il sovvertimento violento di tutte le istituzioni politiche e religiose del tempo. Con le opere dell’abate Barruel e del professor Robison (francese il primo, scozzese il secondo) si creò uno schema interpretativo che poi ha fornito lo stampo per quasi tutto il successivo complottismo. Nel tempo i modelli iniziali sono stati via via adattati a situazioni diverse, facendo entrare sulla scena nuovi «colpevoli», ma senza perdere le caratteristiche di fondo: l’idea che la storia fosse determinata dall’azione di un gruppo o organizzazione segreta mossa da puro desiderio di dominio spinto fino alla ricerca del controllo sull’intera umanità.

La caratteristica di fondo è sempre la stessa: la storia è determinata dall’azione di un'organizzazione segreta mossa da puro desiderio di dominio spinto fino alla ricerca del controllo sull’intera umanità

La teoria cospirativa che nella storia ha avuto l’impatto più drammatico è, senza alcun dubbio, quella affidata ai famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Questo testo, da molti attribuito alla sede parigina dell’Ochrana e da altri agli ambienti dell’estrema destra proto-fascista russa, si è innestato su una precedente tradizione antisemita, nella quale erano confluiti motivi religiosi e motivi etnico-nazionalisti. Come la Rivoluzione francese aveva alimentato teorie cospirative di successo (anche economico nel caso dell’abate Barruel), così fu per la Rivoluzione russa. La diffusione dei Protocolli nel mondo fu largamente dovuta all’azione dei russi «bianchi», che avevano combattuto e perso la guerra civile contro i bolscevichi.

Per fortuna non tutte le teorie cospirative sono servite da giustificazione di un progetto criminale quale quello messo in atto dal nazismo tedesco. Ma l’uso politico del complottismo è un elemento che è ritornato frequentemente nella storia. Che fosse la vera e propria psicosi dell’azione – immaginaria – degli Illuminati di Baviera negli Stati Uniti di fine Settecento, o l'improvvisa diffusione di teorie sulla potenza della Sinarchia nella Francia divisa tra Vichy e l’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale (che la maggioranza degli storici ritiene un fantasma senza consistenza reale), momenti di crisi, di sconvolgimento sociale e di incertezza hanno sempre favorito l’adozione di tesi cospirazioniste. A volte utilizzate spregiudicatamente da «imprenditori politici», altre volte disseminate in modo orizzontale tra ceti sociali spaventati e a volte arrabbiati, alla ricerca di un facile capro espiatorio.

In tempi più recenti abbiamo assistito al fiorire di una vera e propria piccola industria dell’immaginario complottista intorno a eventi particolarmente traumatici, come l’assassinio di John Kennedy o l’attentato delle torri di New York. Molte delle teorie cospirazioniste hanno trovato uso politico a destra, ma non sono mancati passaggi trasversali tra campi politici e a volte l’uso concorrente da più versanti contemporaneamente. Si può citare come esempio nostrano la vicenda del Britannia, lo yacht reale britannico nel quale all’inizio degli anni Novanta si tenne un convegno per illustrare le politiche di privatizzazione di grandi imprese pubbliche promosse dal governo del tempo e trasfigurato poi in luogo e momento decisivo di inconfessabili trame segrete.

I recenti sviluppi politici in Europa e negli Stati Uniti ci hanno fatto assistere all’avallo di teorie complottiste da parte di forze politiche mainstream e non più solo di raggruppamenti marginali ed estremisti. Si è visto il successo che ha avuto tutta la costruzione narrativa di QAnon (partita dal cosiddetto «pizzagate», secondo il quale una pizzeria newyorchese sarebbe stata la sede di torbidi traffici pedofili nei quali sarebbero stati coinvolti esponenti di primo piano della leadership democratica) e la sovrapposizione tra la circolazione di improbabili anticipazioni di eventi apocalittici con l’affermarsi della destra trumpiana.

In Europa ad avere particolare successo è stata soprattutto la «teoria della grande sostituzione», ossia l’idea che le «élite globaliste» stessero tramando per sostituire progressivamente le popolazioni bianche e cristiane d’Europa con quelle immigrate, soprattutto musulmane, integrata dall’immaginario «Piano Kalergi», teso a prefigurare una nuova «razza meticcia» che per qualche strana ragione sarebbe più succube ai voleri di questa élite di quanto non sarebbe quella «bianca». In questa narrazione si possono fare entrare a piacimento, oltre evidentemente alle paure legate alle migrazioni in atto, l’ostilità per la costruzione europea (la «dittatura di Bruxelles»), l’antisemitismo (nella figura evocativa del finanziere George Soros), le teorie del gender (che sarebbero finalizzate ad accentuare la caduta demografica in atto) e così via.

Tutte le grandi epidemie che si sono sviluppate negli ultimi secoli hanno visto irrompere manipolazioni argomentative tese ad attribuire la diffusione del contagio all’azione volontaria di determinati ceti sociali, gruppi etnici, governi o potenze straniere

La pandemia di Covid-19 non poteva che portare nuovo alimento alla diffusione di teorie cospirative. Non è mancato il «cospirazionismo di Stato» teso a utilizzare nascita e diffusione del virus nel contesto di un conflitto geopolitico (dagli Stati Uniti e poi anche dalla Cina). Ma la circolazione di tesi che contrastavano in radice la spiegazione scientifica della natura del virus, delle sue possibili forme di diffusione e delle modalità sanitarie e di comportamento sociale con le quali doveva essere contrastato, è andata ben al di là di questo «complottismo dall’alto».

Va detto che tutte le grandi epidemie che si sono sviluppate negli ultimi secoli hanno visto irrompere manipolazioni argomentative tese ad attribuire la diffusione del contagio all’azione volontaria di determinati ceti sociali, gruppi etnici, governi o potenze straniere. Così come non del tutto inedito è il collegamento tra determinate innovazioni tecnologiche e l’estendersi del contagio. Se oggi si parla di una connessione tra il 5G e il Covid-19, a fine Ottocento in occasione della diffusione di una forma di influenza particolarmente virulenta (la cosiddetta «febbre russa») che anticipava la più devastante «spagnola», vi fu chi lanciò l’allarme per il coincidente estendersi delle linee telegrafiche.

Le teorie cospirative, in questo caso, oltre ad avere una diffusione di massa, non possono essere derubricate a estemporanee bizzarrie di «frange lunatiche». Evidente è infatti il loro impatto nel politicizzare in modo esasperato un tema come quello dei vaccini, che per lungo tempo era stato sottratto al conflitto perché considerato parte del progresso della capacità umana di tenere sotto controllo eventi naturali altrimenti infausti. Né si può ridurre la questione a un problema di «ignoranza», come capitava di fare a Lev Trotsky quando nel suo Diario d’esilio (pubblicato molti anni dopo il suo assassinio) ricordava l’assalto ai medici e agli ambulatori destinati a combattere il colera da parte dei contadini russi. In fondo, la grande maggioranza delle persone che – giustamente – si è vaccinata non lo ha fatto sulla base di una dettagliata conoscenza del meccanismo scientifico che ne è alla base, quanto per una complessiva fiducia in ciò che esso razionalmente rappresenta.

D’altra parte, non sono mancate elaborazioni colte dell’idea di un «Potere» (sempre rigorosamente nominato con la maiuscola) eternamente voglioso di esercitare il controllo illimitato sui propri cittadini/sudditi, tanto indeterminato e onnipresente da sovrapporsi con i protagonisti malvagi che operano in visioni cospirazioniste meno raffinate. E non è mancato chi ha compiuto il salto di qualità nell’inserire tutta la vicenda della pandemia all’interno di un piano ancora più vasto e onnicomprensivo definito come il «Grande Reset», che consente di riprendere e aggiornare gran parte delle tesi già contenute nella minaccia derivante dal «Nuovo Ordine Mondiale».

Il complottismo nel momento in cui diventa un elemento del conflitto politico e sociale determina evidentemente l’incontrarsi di una «domanda» e di una «offerta».

La prima è data dall’intrecciarsi di molteplici e non sempre facilmente individuabili motivazioni di ordine culturale, sociale e psicologico. Si può forse ipotizzare che uno degli elementi di forza sia la sua capacità di fornire una «grande narrazione» in grado di dare una spiegazione a eventi che producono angoscia e incertezza. Esso offre la possibilità di tenere insieme argomentazioni anche del tutto contraddittorie o addirittura palesemente illogiche e di potersi continuamente riplasmare assorbendo o eliminando singoli elementi senza perdere la – illusoria – capacità esplicativa generale. In questo senso si può considerare il cospirazionismo una forma ideologica (quasi mai «falsificabile», nonostante le volenterose operazioni di «debunking») che ha contribuito a riempire in parte il vuoto delle precedenti «grandi narrazioni» entrate in crisi.

Dal punto di vista dell’offerta politica il ricorso al complottismo consente ai soggetti politici che lo utilizzano di agire due leve: la costruzione di una visione manichea del conflitto politico con una forte carica emotiva e la connessa trasformazione del conflitto in scontro principalmente di tipo morale tra bene e male. In questo senso il complottismo si sposa con una certa facilità ad una visione di tipo populista, senza che necessariamente ne rappresenti un elemento indispensabile.