La rinascita culturale. La musica ha un effetto profondo e immediato sul nostro stato emotivo, nonché il potere sottile di rievocare eventi e sensazioni. Non a caso, per sollevare il morale delle truppe di stanza in lontane lande desolate, spesso i politici mandano star della musica a suonare per i soldati. I quali del resto già per conto proprio, grazie alla musica, così facilmente “portabile” oggi, si rilassano o, al contrario, si “caricano” (memorabile l’inizio del film Battle for Haditha, di Nick Broomfield).
La rivolta egiziana ha avuto sin dai primi giorni una componente musicale grazie al palco installato in Tahrir Square dall’Ong “Al Mawred Al Thaqafy”, sul quale si sono avvicendati sia gruppi di musica folkloristica (El Tanbura, fra i primi) sia gruppi rock. Prima ancora del discorso di addio di Mubarak circolavano su YouTube decine di clip musicali dedicati alla rivolta egiziana, molti dei quali girati proprio in piazza Tahrir durante le manifestazioni, incluso quello della canzone che diventerà di fatto il simbolo della rivolta, quella Sout Al Horeya (Voce della libertà) scritta e eseguita da esponenti dei gruppi Wust El Balad e Cairokee, causa di canti e lacrime quando eseguita in concerto. La musica classica, per definizione lenta nel celebrare il cambiamento, all’inizio ha stentato a ritagliarsi uno spazio nella “rinascita”; ma nell’ultima settimana l’Opera House ha ospitato un concerto in onore di Ziad Bakir, grafico presso la stessa Opera House, morto durante gli scontri di fine gennaio. Il programma della serata si è aperto con la “prima” della composizione per orchestra To the Martyrs of January 25 di Rageh Daoud, noto compositore egiziano, attivo sostenitore della rivoluzione.
A metà marzo Il Cairo ha poi ospitato con successo la terza edizione del “Cairo International Jazz Festival”, di particolare rilevanza perché primo evento musicale internazionale post-rivoluzione, al quale hanno preso parte gruppi provenienti da cinque Paesi europei, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Gli storici locali “underground” della capitale hanno riaperto, adattando i propri orari alle esigenze del coprifuoco, e sono pieni come prima. Durante i fine settimana è un pullulare di festival di strada, dove esibizioni musicali dal vivo fanno da cornice a un elemento più marcatamente sociale che nasce dalla convinzione, presente soprattutto tra i giovani, di avere veramente la possibilità per la prima volta di contribuire a un cambiamento nel Paese.
Si trovano così capannelli di ragazzi che cercano volontari per campagne di pulizia del quartiere, raccolte di fondi per i progetti più svariati, campagne volontarie di sensibilizzazione (per esempio alla sicurezza stradale). E accanto a questi, numerose bancarelle di giovani t-shirt artists fanno affari d’oro offrendo le più svariate interpretazioni grafiche della rivoluzione: prêt-à-porter e per poche lire egiziane. Lo spirito di iniziativa sembra avere ricevuto uno stimolo imponente dagli eventi che hanno seguito il 25 gennaio e le arti e la cultura sembrano esserne i beneficiari più immediati. È difatti anche di questi giorni la nascita della radio online Radio Ta7rir, la Voce della Rivoluzione, piattaforma interattiva dove si alternano musica e programmi di natura puramente politica e sociale e dove la libertà di espressione regna sovrana.
Una libertà duramente conquistata, ancora debole, che ci si augura sarà tenacemente protetta e difesa, perché in Egitto è in corso un cambiamento epocale del quale la libertà di poter esprimere le proprie idee senza timore è una delle conquiste fondamentali. Sarebbe una beffa troppo grande se chi arriverà al potere grazie proprio a questa ritrovata libertà finisse per ripudiarla. L’Egitto visto a piazza Tahrir non lo merita.
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