"Con me o contro di me". Fervono i preparativi per il referendum costituzionale del prossimo 15 dicembre. Lo scorso sabato sera, il presidente Morsi ha approvato la bozza finale di Costituzione. Ma lo scontro tra islamisti e laici sale alle stelle. E così un referendum cruciale per il ritorno della stabilità politica ed economica nel Paese, che dal 25 gennaio 2011 vive in continua fibrillazione, si sta trasformando in una consultazione pro o anti Morsi. Un uomo che, da una parte, ha diviso il popolo egiziano con l’ultima dichiarazione costituzionale pigliatutto in cui ha accresciuto a dismisura i suoi poteri. Ma che, dall’altra, ha promesso il pugno duro contro i responsabili delle violenze di piazza e gli uomini del vecchio regime disponendo ampi risarcimenti per i familiari delle vittime delle rivolte. I giudici del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio di Stato hanno annunciato a sorpresa che si renderanno disponibili per la supervisione delle operazioni di voto in occasione di un referendum organizzato a tempo di record. Tuttavia, molti attivisti hanno criticato la presa di posizione della magistratura dopo l’appello lanciato dal sindacato dei giudici a boicottare il voto.
A partire dai primi giorni di dicembre, è iniziata una mobilitazione di movimenti laici e della società civile per protestare contro la bozza di Costituzione. Il cartello che unisce i gruppi di opposizione dai liberali ai copti, dai nasseristi ai socialisti, il Fronte di salvezza nazionale, ha chiamato i suoi sostenitori a scendere in piazza. E ha “condannato l'atto irresponsabile del presidente della Repubblica di convocare un referendum su una Costituzione illegittima che viene respinta da una grande parte del suo popolo”, scrive la principale alleanza dei gruppi di opposizione in un comunicato. Cominceranno i giornalisti. Undici testate indipendenti e vicine ai partiti di opposizione, nonchè i giornalisti online di “Al-Ahram”, hanno organizzato una protesta contro il referendum costituzionale. Secondo gli organizzatori, Morsi ha disatteso la promessa di indire un referendum su un testo di Costituzione che avesse un ampio consenso nazionale.
All’annuncio della data del referendum, migliaia di sostenitori di Morsi, che erano ancora all’ingresso dell’Università del Cairo nella notte di sabato, hanno inneggiato alla decisione del presidente. “Allahu akbar”, gridavano tra canti nazionalistici e fuochi d’artificio. “Il popolo sarà la fonte di ogni potere per la prima volta”, ha detto Khaled Mohamed, sostenitore di Morsi. “Il popolo sarà felice quando avremo una Costituzione. Aspettavamo questo momento a partire dalla rivoluzione del 25 gennaio”, ha sottolineato, Samir El-Sharkawy. Subito dopo la lunga protesta di Giza, centinaia di islamisti hanno marciato verso la Corte costituzionale sul lungomare nel quartiere residenziale di Maadi, a sud del Cairo. L’assedio dell’Alta corte è durato per ore. Tutti attendevano il verdetto sulla legittimità dell’Assemblea costituente che avrebbe potuto rendere nulla la bozza finale della Costituzione. Ma nella notte di domenica, l’Alta corte ha fatto sapere in un comunicato che tutte le sentenze sono per il momento congelate.
Molti leader politici islamisti avevano chiesto ai manifestanti di accamparsi nei pressi della Corte per tutta la notte. Safwat Hegazy, un sostenitore della Fratellanza che guida un comitato dal nome evocativo, il “Consiglio dei guardiani della rivoluzione” ha dato disposizione ai componenti del gruppo di raggiungere Il Cairo dalle province per assembrarsi intorno alla Corte. Hegazy ha anche chiesto a Morsi di dissolvere la Corte suprema definendola “il principale strumento contro-rivoluzionario”. Allo stesso tempo, Yousry Hammad, vicepresidente del partito salafita el-Nour, ha chiarito che il referendum costituzionale sarà un segnale inequivocabile per tutti coloro che non vogliono essere liberati dal “tunnel buio di Mubarak”. Secondo uno dei leader più popolari della Fratellanza, Mohamed El-Beltagy, il testo della Costituzione potrebbe passare con il 70% dei “sì”, ricordando il risultato simile del referendum del 19 marzo 2011 quando la dichiarazione costituzionale della giunta militare venne approvata a gran maggioranza con il sostegno della Fratellanza.
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