Una diplomazia ambigua. Dopo decenni di esilio dal mondo istituzionale, i Fratelli musulmani si scontrano con una difficile lezione di realpolitik. A costituire il banco di prova del nuovo governo egiziano, sono le proteste scatenate dal film L'innocenza dei musulmani{C}, pellicola che, priva di un reale valore artistico, sembra costruita allo scopo di colpire la sensibilità del mondo musulmano. Infatti, all'indomani della diffusione del suo trailer, centinaia di dimostranti hanno manifestato contro l'ambasciata Usa del Cairo per impedire la distribuzione del film. Tuttavia, gli scontri tra la polizia e i dimostranti hanno evocato uno scenario già visto, quello di Piazza Tahrir, cuore della protesta contro l'ex presidente Mubarak.
Dunque, a pochi mesi dalla sua elezione, il presidente Mursi, proveniente dal partito legato ai Fratelli, ha a che fare con un difficile momento politico. In realtà, la sua vittoria elettorale possiede un'importanza simbolica non trascurabile. Nel periodo pre-elettorale, infatti, sulla figura dei Fratelli pesavano le aspettative della protesta del 25 gennaio. Mursi, eletto nel corso di presunte libere elezioni, avrebbe dovuto inaugurare la svolta politica del Paese avviando un programma capace di consacrare i valori di Tahrir. Non a caso, all'indomani della sua elezione, il presidente aveva proposto la distensione con l'Iran, recandosi in visita a Teheran in occasione del summit dei “Non allineati”. In aggiunta, nell'invito rivolto al leader di Hamas, aveva prospettato la possibilità di ridurre le restrizioni ai confini con Gaza. Queste manovre sembravano rientrare in un progetto politico emancipato dai vincoli occidentali. Tuttavia, proprio su questo punto, Mursi ha dato prova della sua indeterminatezza.
Infatti, nel corso delle recenti proteste contro l'ambasciata Usa, il presidente egiziano ha esitato non poche ore prima di esprimere una posizione. Dopo una giornata di scontri, Mursi, senza mascherare cautela, ha condannato il film e deplorato gli attacchi contro l'ambasciata Usa, invitando alla calma la popolazione egiziana. L'ambiguità mostrata è chiaramente riconducibile al tentativo di trovare il giusto compromesso tra il bisogno di palesarsi come un presidente fedele, indignato quanto il suo popolo, e la necessità di non alienarsi il favore degli Usa. Non a caso, in quei giorni, l'amministrazione Obama discuteva del pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari, un programma che include anche la riduzione del debito egiziano. A questo piano di aiuti si aggiunge il sostegno alle spese militari, pari a circa 1,5 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, inoltre, Washington coordinava il programma di negoziati con il Fmi e l'Egitto, la cui richiesta era pari a 4,8 miliardi dollari.
Il peso di queste cifre, sotto esame in un periodo particolarmente caldo, ha reso la situazione un'impresa ben più ardua per il nuovo governo egiziano, specie se si pensa alla lunga assenza della Fratellanza dagli ambienti istituzionali. In aggiunta, Mursi non è mai stato un personaggio particolarmente autorevole, nemmeno all'interno dello stesso movimento dei Fratelli: debole e poco carismatico, la sua figura è spesso stata oscurata da altri leader del movimento. Il vero burattinaio della politica egiziana, infatti, è Khayrat Al-Shatir, leader della Fratellanza, escluso dalle elezioni presidenziali per il suo passato in carcere. Non a caso, è stato lui a comunicare alla Casa bianca il proprio disappunto sugli attacchi all'ambasciata, rassicurandola che la responsabilità del film non sarebbe ricaduta su Washington. Tali manovre sono prova di un pragmatismo economico che continua a caratterizzare l'Egitto anche all'indomani del processo contro l'ex presidente. D'altra parte, questa strategia smentisce in maniera palese le congetturate ostilità tra Stati Uniti e Fratellanza. Per tale motivo, l'avversione contro la Casa bianca, tanto sognata dall'elettorato dei Fratelli, rimane il test più difficile. Nessuna svolta epocale per il Paese, dunque. Ma piuttosto una tendenza a ricostruire l'asse Usa-Egitto che sacrifica sull'altare degli interessi del capitale gli ideali di Piazza Tahrir.
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