La prima volta ai seggi. “Awal marra” continuavano a ripetere mentre stavano in fila, a volte anche per più di un paio d’ore. “È la prima volta” questo il motto degli egiziani che sabato hanno assolto, dopo anni di sudditanza, il loro dovere di cittadini, votando al referendum che deciderà se approvare o meno gli emendamenti costituzionali proposti dalla Commissione  nominata dal Consiglio delle Forze Armate il 15 febbraio scorso, poco dopo la caduta di Mubarak. “È la prima volta che sono andata a un seggio e ho avuto la sensazione che quello che scrivevo sulla scheda avrebbe avuto un peso” scrive una blogger egiziana. “Per la prima volta io non avevo paura di dire quello che avrei votato”, commenta un’altra utente.

L’appuntamento elettorale è arrivato dopo settimane che, avvicendandosi sul palcoscenico di piazza Tahrir, roccaforte della rivoluzione del 25 gennaio, giovani e adulti non facevano altro che spiegare perché sostenevano il “sì” o preferivano il “no”. Nelle vie del centro si sono visti capannelli di gente che rifletteva pubblicamente sull’argomento, cosa che al Cairo, a causa della morsa che il regime aveva stretto attorno alla libertà di espressione, non si vedeva da decenni.

Anche se sulla questione referendaria non esisteva un consenso unanime, tutti concordavano su almeno due aspetti. Il referendum di sabato sarebbe stato una pietra miliare della storia del Paese, probabilmente il primo appuntamento elettorale non truffato degli ultimi sessant’anni. Ciononostante questo ha navigato in un mare di confusione visto che quando, dopo l’uscita di scena del raís Mubarak, i militari hanno preso il potere, hanno di fatto sospeso la Costituzione, lo stesso testo del quale hanno chiesto in questa votazione l’approvazione del cambiamento di alcune sue briciole.

Gli emendamenti costituzionali proposti introducono alcuni cambiamenti per quanto riguarda l’elezione del presidente: limitano la durata della presidenza a due mandati di quattro anni ciascuno, reintroducono la supervisione giuridica delle elezioni, rendono più complicato per il presidente mantenere lo stato di emergenza e lo obbligano a nominare un vicepresidente, impedendogli di avere una moglie straniera. Prevista poi l’aggiunta di un comma all’articolo 189, per permettere al Parlamento di emendare la Costituzione.  Anche se sembrano tutti passi positivi, tra gli emendamenti più criticati c’è quello che definisce i criteri per l’eleggibilità del presidente, perché anche se sono stati ampliati, continuano ad essere restrittivi.

Tuttavia, non sono stati tanto questi tecnicismi a dividere il fronte del “sí” da quello del “no”, quanto le conseguenze che tale referendum potrebbe avere sul processo di transizione in corso.

Dicendo di volersi liberare dei militari al più presto possibile, i sostenitori del “sì”, la Fratellanza Musulmana, il Wafd, e le briciole del Partito Nazional Democratico del deposto raís, sanno che una volta approvati  tali emendamenti si andrebbe in fretta a elezioni parlamentari e presidenziali. Ed è proprio questo aspetto a preoccupare maggiormente il fronte del “no”, nel quale troviamo tutti gli altri movimenti di opposizione e l’ala riformista della Fratellanza, che ritengono prematuro andare a elezioni ora, non sentendosi adeguatamente pronti a tale appuntamento e temendo di lasciare gioco facile alla Fratellanza, che ha tutti gli interessi ad accelerare i tempi.

Tra chi si oppone agli emendamenti troviamo anche il Movimento del 6 aprile, i giovani protagonisti della rivoluzione, e i due candidati alle prossime presidenziali, Amr Moussa e Mohammed El Baradei, al quale alcuni estremisti islamici hanno impedito di votare, lanciandogli sassi quando l’hanno visto arrivare nei dintorni del seggio.

A parte qualche sporadico episodio di disordine, fuori dai riflettori degli ultimi tempi, l’Egitto ha vissuto la sua grande giornata, quella che ha segnato l’inizio di un pezzo di cammino, difficile, ma entusiasmante. I dati definitivi non sono ancora noti, ma ormai indietro non si torna. Nonostante i rischi di una controrivoluzione.