Violenza e quotidianità al Cairo. Dorme nove ore di fila il Cairo precipitato nell’ennesimo vortice della violenza. Ufficialmente dalle 21 alle 6 di mattina il coprifuoco paralizza la capitale egiziana e molte altre località del Paese. Per almeno altre due settimane gli egiziani dovranno obbedire agli ordini dei militari che li obbligano ad abituarsi a rincasare proprio quando le strade del Cairo diventano un punto nevralgico di incontro, svago e affari.
“Per me il conto alla rovescia inizia alle 7. Ci metto un’ora e mezza per tornare a casa e in ufficio è stato deciso di chiudere prima” racconta Fatima su Facebook. “Io esco alle 5 perché entro le 9 devo fare anche la spesa” commenta Doaa, una donna che non può contare sull’aiuto di mamme o figlie che vanno al supermercato all’alba. “Appena abbiamo aperto sono entrate signore che sono uscite con carrelli pieni di generi alimentari. Sono le stesse che ieri hanno fatto scorte per l’intero mese” scherza Tamer, un giovane commesso che tranquillizza i suoi clienti, suggerendogli di non diventare vittime della fobia. “Il coprifuoco ricorda i giorni della rivoluzione del 2011, quando negli scaffali si faceva fatica a trovare cibo. Anche se questa misura mostra un ritorno a un passato difficile, oggi i nostri scaffali continuano ad essere riforniti. Cambiano solo gli orari.”
Tra le 21 e le 6 è infatti impossibile che i fornitori riescano ad arrivare davanti ai negozi. I ponti che attraversano il Nilo sono presidiati da agenti di sicurezza che chiedono di mostrare il documento d’identità ai pochi passanti in giro e bloccano i veicoli. “A volte li fanno passare, ma in teoria sarebbe negato” spiega Micheal. “Anche i taxi non sarebbero autorizzati a circolare, ma se ne vedono. Chi guida rischia una multa salata, ma si fa pagare il doppio.”
“Il Cairo è pur sempre una città insonne. Il coprifuoco ufficiale si trasforma in un singhiozzo di negoziazioni con gli ufficiali. I cittadini non vogliono stravolgere la loro quotidianità già appesantita dalla violenza di strada.” spiega Georges, un giovane del quartiere di Shubra.
La Cairo bene, quella abituata ad andare a cena fuori sulla corniche del Nilo cerca sul web escamotage per passare la serata. “Ho aspettato un’ora prima che mi arrivasse il pollo alle mandorle ordinato a due isolati da qui, ma finalmente me lo gusto” scrive su twitter Andil, residente del borghese quartiere di Zamalek il cui account è attaccato da chi vuole sapere dove può trovare quel piatto prezioso. Basta navigare su internet per trovarne la lista dei ristoranti pronti a consegnare a domicilio all’interno del quartiere.
Nelle zone limitrofe ai campi di battaglia le misure di sicurezza sono più alte. Quanti si muovono in queste strade calde di sangue sanno che i rischi di una reazione militare sono maggiori. Neanche il coprifuoco ferma la guerriglia più fitta di chi, come Hossam, va a cercare il figlio ferito.
Ufficialmente i giornalisti e i dottori in servizio sono autorizzati a circolare anche durante il coprifuoco. Ma questo non garantisce sempre la loro incolumità. A perdere la vita in una Beheria forzatamente addormenta è Tamer Abdel-Raouf, un giornalista del quotidiano Al-Ahram che perde la vita in questo governatorato il 20 agosto. È in macchina Hamed El-Barbary, collega del giornale Al-Gomhoreya, quando la polizia sparato alla loro vettura. Non sono riusciti a finire i loro servizi prima dell’ora X, ovvero le sette, e quel ritardo ha un prezzo salato.
Secondo i militari, i due non si sarebbero fermati quando gli agenti gli hanno intimato di frenare, ma le dinamiche degli eventi sono discordanti. Per il web però ci sono pochi dubbi. Tamer è la prima vittima del nuovo coprifuoco militare. La sua colpa è quella di aver voluto lavorare più del dovuto, o del concesso.
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